mercoledì 21 aprile 2010

Who needs enemies... /2

Nel tempo ho appreso che il football non è uno sport per tutti. Anche a mie spese, e per un prezzo neppure banale. Ma mi divertiva troppo. Iniziai che ero poco più che un ragazzino, robusto e incosciente quanto bastava. La passione fino al midollo che ho per quello sport inizia intorno ai tredici anni, quando per la prima volta V si presentò a scuola con un pallone arancio evidenziatore, di forma strana. Troppo snello e appuntito per essere da rugby. Il primo anno passò più o meno nello studio delle regole, con le benedette telecronache della domenica mattina su Canale 5.

Ogni tanto V e io riuscivamo a coinvolgere i compagni di classe in queste strane fagiolate a Villa Borghese, nel pratone disseminato di pini secolari dove si andava anche a giocare a calcio. Verso i quindici anni, mentre nella giovanile della mia squadra giocavo addirittura guardia, cominciavo a prenderci gusto con i lanci. Ma tanto.


In un bel pomeriggio primaverile, riusciamo a proporre la fagiolata a football in luogo della solita, scontata partitella a calcio. E diamine, in sei contro sei c'era da largheggiare. Schemi obbligatoriamente semplici, essendo tutti pivellini. Avevo in squadra R, più fondista che sprinter, ma che comunque aveva una velocità rispettabilissima. Inoltre, per definizione di fondista, era ancora fresco come una rosa quando noi eravamo prossimi all'infarto. Ennesima serie in attacco. Usavamo i pini secolari per individuare le yards. Certo, non puoi non vederli. Bene. Chiamo gli schemi, e il count per la partenza. Hut! Arretro mentre i ricevitori tentano di smarcarsi. R si gira verso di me, perchè il difensore che lo marcava era scivolato e lui era rimasto solo, libero e bello per sei punti facili facili.

Con la mano faccio segno di andare più lontano, un bel lancione lungo lì ci stava tutto. R sprinta, con la testa girata verso di me che avevo appena lasciato partire una onesta fucilata. Tutto perfetto. Quello che ti aspetti ora è un over the shoulder da manuale, come quelli di Dan Marino che vedevo alla tele la domenica mattina. R prosegue, sempre guardando indietro, concentrato sulla traiettoria della palla che stava per arrivare morbida morbida tra le sue mani. A piena velocità. "Miaaaaaaa!"


Un ricevitore deve sapere che c'è sempre un difensore fra lui e la meta. E' quel giocatore che tecnicamente chiamasi free safety, ultimo baluardo fra te e la gloria. Tonfo sordo. Un pino secolare come free safety non si pone troppi problemi. Magari non è mobilissimo. Magari non intercetta il lancio. Ma sta lì, non si toglie. R lo centra a piena velocità, con una buona ventina di metri di rincorsa. Bastardi fino agli elettroni, noi tutti sdraiati a terra a ridere.
R ovviamente tramortito. L'esito del frontale con il pino era evidente, lui era arrivato ad una velocità tale per cui sulla faccia si trasferivano anche eventuali cuoricini scolpiti sulla corteccia da amanti in transito. "Oddio me sento male". E ti credo, povero. "Vedo tutti teschietti verdi". Come teschietti verdi??? Rassicurati dalla demenzialità dell'osservazione, scortiamo R alla fontanona dietro le giostrine, dove con cameratesca solidarietà lo ritempro, perchè come V osservava anni dopo "San Mauro Arcangelo i traumi cranici li cura con l'acqua".

Lesson learned. C'è un motivo per cui si usa il casco.

PS. Niente di rotto, per fortuna. Solo una signora botta.

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