lunedì 23 aprile 2012

Lascia stare i Santi?

La vicenda del Bountygate che ha recentemente coinvolto i New Orleans Saints è una delle storie più urticanti per chi, come me, si ostina ad avere una visione non dico idealistica ma almeno positiva sul football, sul rispetto dei valori di fair play in uno sport strutturalmente duro, violento ma vero e spesso umano. No, nulla di tutto ciò. Questa storia è putrida, non mi viene altro. Un colpevole principale, plurirecidivo. Troppi complici illustri, troppi controllori indulgenti. 

A cosa abbiamo assistito in questi anni a New Orleans? Che cosa resterà della storia di questa squadra? La faccia pulita di Brees, protagonista positivo in campo e fuori, rischia seriamente di essere accostata a quanto è stato appurato in questi mesi. In estrema sintesi è emerso che l'allenatore della difesa Gregg Williams ha costruito e incoraggiato un vero e proprio sistema a premi che incitava i giocatori della difesa a far male agli avversari.

Ho sempre avuto l'idea che sul campo da football non sia necessario tirare a far male. Il contatto violento è insito nella natura di questo sport, senza bisogno di forzature. Giocatori che si colpiscono a piena velocità, contatti che si sentono in uno stadio con ottantamila persone che urlano sotto. Botte, fratture, legamenti, tutto quello che è già compreso nel package pare già sufficiente di suo, no?

I Saints hanno giocato una partita diversa. Gregg Williams, che aveva orchestrato un sistema ad incentivi anche a Washington e a Buffalo, aveva trovato un modo tutto suo per incitare la propria difesa a dare il meglio. Una specie di squallido tariffario che prevedeva tot per levare tizio dalla partita, un bonus aggiuntivo se veniva portato fuori campo con il cart. E aveva i suoi complici: Jonathan Vilma, middle linebacker e capitano della difesa, che aveva anche rilanciato, convincendo i compagni a mettere una fiche nel piatto per aumentare i premi. E Bobby McCray, l'esecutore più conclamato, che riuscì a togliere dal divisional del 2010 Kurt Warner e rischiò di aggiudicarsi questo discutibile jackpot cercando di far male anche a Brett Favre nel championship dello stesso anno.

McCray su Warner
In tutti e due i casi, il plot è lo stesso. Il bersaglio è il pezzo più pregiato, il quarterback. Kurt Warner viene colpito dal lato cieco mentre, con tutti i suoi trentotto anni, cerca di placcare il difensore che lo ha appena intercettato. Non si rialza e finisce la partita. Brett Favre viene fatto sistematicamente bersaglio di late hit e carinerie varie nel corso della partita. Nel placcaggio sotto riportato, abbondantemente dopo il lancio, l'ottimo McCray ci si mette d'impegno sulla caviglia del quarantenne quarterback dei Vikings.

McCray su Favre
Dopo la partita, la caviglia di Favre era ridotta ad un melone verdognolo. La strategicità di quel comportamento apparve chiara. Quelle due partite portarono i Saints al loro primo Superbowl, vinto peraltro con merito e coraggio. Ma resta quella macchia.

La National Football League tiene eccome alla sua immagine, ormai nel mondo intero. Dopo i primi rumors, i primi reclami da parte di giocatori di altre squadre, qualcosa comincia a scricchiolare. Questi giocano sporco. Domenica dopo domenica. Ma sai, visti Raiders e Steelers negli anni settanta, questi sono delle educande. Stop. Non ho detto che giocano duro, non ho detto che giocano in modo intimidatorio. Questi giocano proprio sporco. E qualcosa comincia ad emergere. Una parola che in un mondo con una immagine vincente, in una lega che ormai è rinomata a livello planetario e che ogni anno sfodera un main event che supera il miliardo di telespettatori, nessuno vuole sentire: bounty system. Un sistema di taglie, con bonus in dollari passati sottobanco a chi provoca infortuni agli avversari.

La NFL ovviamente ha i suoi tempi. Prende nota, svolge i suoi accertamenti. E fa rotolare un bel po' di teste dalla collina. Gregg Williams, l'architetto di questo verminaio, radiato a tempo indefinito (vuole appellarsi. Buona fortuna). Sean Payton, il suo capo allenatore, sospeso per un anno senza paga (parliamo di sette milioni di dollari) e senza contatto con i giocatori e la squadra. E adesso tocca ai giocatori. Vilma, McCray, Harper, Sharper i nomi più noti. La NFL ha parlato di una ventina di elementi che rischieranno robuste sospensioni. E qualche silenziosa, inevitabile ritorsione in campo, non illudiamoci. 

E ci saranno altre sanzioni per i Saints, in termini di perdita di scelte e di multe.

E' brutto doverne parlare, ma va fatto. Togliamo i lustrini, le cheerleaders, i fratelli Manning, i lanci da 50 yards. Parliamo anche di questo, perchè serve per capire come funzionano le cose.

Ad eterna infamia di questo modo di fare, ecco la trascrizione del modo in cui Gregg Williams motivava i suoi giocatori a gennaio di quest'anno, prima del divisional round contro i 49ers.

We don't (expletive) apologize for how we're going to play. You're here for a reason.
You're here because we saw in you and we hope we picked the right person that won't apologize for competing the way we have to compete.
There may be better athletes, but not defensive football players that have to go into war tomorrow and play the way we (expletive) play.
A mind troubled by doubt, cannot focus on victory.
The NFL's a production business, don't ever forget about it.
Where are we at right now? We got a tie at the top.
We've got a lot of guys up at the top.
Kill the head and the body will die.
Kill the head and the body will die.
We've got to do everything in the world to make sure we kill Frank Gore's head.
We want him running sideways.
We want his head sideways.
Little 32 (Kendall Hunter), we want to knock the (expletive) out of him.
He has no idea what he's in for.
he's on the sidelines, we've gotta turn that (expletive) over, turn their coaches over, turn the spectators over, go get that (expletive) on the sidelines.
It's a great game, it's a production business.
We hit (expletive) (Alex) Smith right there.
(Williams points to his chin).
Remember me, I've got the first one. I've got the first one.
(Williams rubs his fingers together to indicate he'll pay money for the hit).
Go lay that (expletive) out!
We're gonna dominate the line of scrimmage and we're gonna kill the (expletive) head.
Every single one of you, before you get off the pile, affect the head. Early. Affect the head. Continue, touch and hit the head.
They're gonna come in, they're gonna be shocked with our contact.
They're gonna be shocked with our speed.
They're gonna be shocked with our strip.
Make 'em kick field goals. Be the best defense in that stadium.
Remember the walk-aways, and remember whatever it takes.
Whatever it takes to get on that bus, drive back to that airport, and get ready for the next one.
Respect comes from fear.
This is how you get respect in this league.
We need to find out in the first two series of the game.
The little wide receiver, No. 10 (Kyle Williams) ... about his concussion. We need to (expletive) put a lock on him right now.
He needs to decide. He needs to (expletive) decide.
We need to decide whether Crabtree wants to be a fake (expletive) prima donna, or he wants to be a tough guy. We need to find it out.
He becomes human when we (expletive) take out that outside ACL.
We need to decide on how many times we can beat Frank Gore's head.
We need to decide how many times we can bull-rush, and we can (expletive) put Vernon Davis' ankles over the pile.
We need to decide and when they are fearing us, they give us the ball.
Alex Smith, in the preseason game, when you guys (expletive) avalanched that (expletive), had eyes that big.
You all saw 'em.
Another thing we always say, in this room, is never apologize for the way we compete.
If you're in this room, you understand that. We don't apologize."

Ci sarebbe da seguire l'appello che questo galantuomo farà per essere riammesso ad allenare tra i professionisti. E ce li mettesse lui i legamenti.


lunedì 16 aprile 2012

Er feramenta

(in lingua originale e senza sottotitoli)


In periodi de conclamata crisi de tutto, ogni tanto serve pure sapesse arangià, mette le mani dove de solito uno nun ce se azzarda, vòi pe pigrizia, vòi perchè magari più che aggiustà fai danni. Stante la situazione, er negozietto de feramenta a du isolati da casa se sta a rivelà na benedizione.
E' na vite da legno, nun cercate er messaggio.


E' na specie de antro de Aladino, ner senso che nun è er megaferamenta che c'ha tutto ma nun empatizzi cor commesso e poi c'è da prenne er numeretto e da fa la fila. Figùrate. No, questo è un buchetto, saranno un par de vani più un deposito. Ma essendo solo er titolare, c'hai sicuramente più ascolto sulle cose che te servono, e poi c'hai quello che potremmo definì una diagnostica coerente, cioè parli solo co lui, e se l'input che fornisci è sbajato lui un po' t'aiuta, te 'nterpreta, te corègge la postura, ma se sei propio confuso de tuo, l'output è de conseguenza e la robba che compri, senza giracce attorno, te la dai n faccia.

Va detto che er tizio è ovviamente competente, sennò co sti chiari de luna da quer dì che aveva abbassato saracinesche. Giusta dose de simpatia interpersonale e un debole pe colori pennelli e belle arti che ovviamente me lo fà risurtà simpatico pure quanno vado là a comprà lo sturone pe er lavandino. Cioè, quanno vedo i barattoletti de vernice a ojo che usavo da ragazzo pe fà i modellini dell'aerei, è ovvio che me s'apre er core, no? E quello che me piace, ripeto, è che ce trovi de tutto. 

La rutìn der sabato mattina...
Smerijatore per frullino, e lui t'arisponne "A disco? Pe i metalli? diametro?". 
Devo rifà er tubbo pe aggancià le camicie dentr'all'armadio, che quello vecchio s'è sfarinato er fermo de plastica? Te lo taja a misura, te ce dà i du ganci boni de metallo pe fissallo, e le vitarelle.
Vedo poi i colori... Trovo uno "Steel" acrilico che me servirebbe pe un po' de effetti metallescenti pe le statuette dell'Engri Brrds Speis che sto a fa più pe divertimme io che pei regazzini... "Ma se mischia co la tempera?" "Pe forza, so a base acquosa". A proposito, c'ha pure er Dasse. A panetti da un chilo, che se sparambia rispetto alle confezioni piccole. Ah, e me dia pure er pennello. No de martora, va bene in sintetico ma che nun perde peli.
E il suddetto sturone pe er lavandino pigro "Occhio che questo è forte davero". E me venne un AccaDueEsseOQuattro titolato TQ 175 che va a capì che vor dì. So' solo che poi er lavandino ha fumato e sacramentato pe na decina de minuti, poi coll'acqua fredda è ito tutto bene (aoh, speramo perchè nun me va de dà sordi all'idraulico, pe principio).

E nun me venite a parlà de Leruà Merlen o robba simile, che ortre ar traffico e annesse incazzature pe arivacce, ai commessi tutti uguali che je fanno er corso de formazione e nun te sanno interpretà, e a du ore de fila alle casse, propio nun vale manco er confronto.


mercoledì 11 aprile 2012

Armadi, cassetti, scaffali e ricordi

Vi capiterà ogni tanto di riordinare in casa in maniera radicale, no?
E quante volte la sacra missione viene interrotta da questa o quella cosa che cattura l'attenzione per i più svariati motivi? Poi alla fine i motivi sono più o meno riconducibili al termine ricordo. Sicuramente le fotografie fanno in questo caso la parte del leone. Persone, posti, affetti, amori, risate. E proprio per questo le fotografie hanno vinto in partenza, in questo contesto. Chi di noi non si ritrova una fotografia al parco, chiuso in un passeggino, con un cappellino improponibile in testa, o chi di noi non tira un sospirone su quella foto dei genitori o dei nonni in bianco e nero, che stanno lì e ci ricordano un po' della nostra storia? Proprio per la loro ovvia espressività, le foto andrebbero trattate con la giusta devozione, a parte.

Qui è proprio l'oggettistica in sè che mi acchiappa. E' quasi un post intimistico e di solito non ne scrivo. 
Ma cavolo, spesso mi succede di dover risistemare qualcosa e di imbattermi in altro, che gioco forza mi porta gradevolmente fuori tema. 
E alla fine tiro fuori un elenco di cose che non voglio dire che mi definiscano o che siano parte di me. Ma sono cose che mi fanno pensare, sorridere, ricordare. E che porterei con me fra una fase e l'altra della vita

Un po' di esempi, a capirsi. Ordine rigorosamente casuale.

La mia penna stilografica. Una spettacolare Mont Blanc Meisterstuck, regalatami per la laurea dal professore universitario con cui mia mamma ha lavorato per circa trent'anni. Un oggetto esteticamente superiore, va detto. Il pennino con la punta in oro, numerato. La bottiglina da cui aspirare l'inchiostro. E la voglia di scriverci, prima o poi, qualcosa di bello magari senza macchiarmi le dita di inchiostro per imperizia.

Brillare di luce propria...

Le maglie da football. Una piccola collezione, nemmeno troppo piccola. Due perle, talmente nella leggenda che mi piace indicarle quasi come fossero vini. La Tredici Bianca di Dan Marino, 1984. La Sedici Rossa, Joe Montana, 1990. Non è roba per profani, mi pare ovvio.

La Tredici Bianca
Il coltellino svizzero. Ovviamente Victorinox, regalo di mia moglie. Ho perso il conto delle funzioni installate. Il cavatappi, la penna, il minicacciavite piatto, il cacciavite a stella, il desquamatore da pesce con annesso tool per rimuovere l'amo (sostituendolo con un più congruo la stimo profondamente). Seghetto da legno, lima con righello in centimetri da una parte e pollici dall'altra. E l'immancabile ago per pulire il getto d'acqua sul parabrezza. Fantastico!

La cassetta dei ferri da tasca

Qualche quadernino di italiano delle elementari tenuto in un ordine maniacale, con cui mi bullo con mia figlia tutte le volte che la colgo in flagrante mentre cancella sui suoi :)

Un diario scolastico su cui sorvolo, che avalla comunque l'idea che un diciottenne a volte ha problemi neurali seri.

Autografi sparsi. Non sono mai stato un cacciatore di autografi, ma qualcuno me lo sono ritrovato. Jim Plunkett, fresco di titolo coi Raiders. Sebino Nela, vai a capire i casi della vita, su uno strappo di blocco note. E giuro che non mi ricordo l'occasione. La Roma di fine anni Settanta, gentile omaggio di Roberto Cavallo Pazzo Scarnecchia, ala sinistra dell'epoca, che conoscevo per frequentazioni familiari. I Miami Dolphins del 1984, procuratami dalla mamma di un mio compagno di classe che lavorava all'ambasciata americana. Quelli restano i Dolphins più forti che io abbia mai visto giocare, con Dan Marino a lanciare e una vera e propria leggenda ad allenare: il grande Don Shula, quello della perfect season. Una garanzia, come mi avrebbero fatto notare anni dopo i miei amici insubri (cfr. "Ches chi l'è un Shula").

Sono curioso su cosa uscirà fuori al prossimo giro...


giovedì 5 aprile 2012

Persepolis

Persepolis (2007) è un bellissimo film di animazione, tratto da un libro a fumetti che nel tempo, direi e per fortuna, è diventato un caso letterario.
Una semplice autobiografia dell'autrice, contestualizzata nella storia tormentata del suo paese. Ma dove noi, per somma di luoghi comuni, ci aspettiamo noia e uniformità scopriamo una storia forte e degna, la somma di tante tante vite spese per un ideale, la voglia di ribadire la propria individualità anche quando altri hanno paura a farlo. Tra le altre cose, Persepolis è un bell'invito a riflettere sull'insidia delle generalizzazioni.

Marjane cresce in un contesto borghese, progressista e di buona istruzione.
La storia comincia con lei bambina, che vuole diventare profeta e vietare i dolori reumatici alle nonnine.
Nel 1979 l'Iran comincia a ribollire, dopo un periodo di pax persiana in cui una idea di benessere generale nascondeva quello che succedeva ad oppositori e intellettuali contro.
La caduta dello scià, la rivoluzione islamica.
La rivoluzione però rende l'aria molto pesante, per una famiglia in cui la curiosità per il mondo è vista come una ricchezza e non come una insidia. Una galleria di personaggi utile a far aprire gli occhi. La nonna, tenerissima, ironica e forte davvero. Lo zio comunista e i suoi due cigni di mollica di pane.
Nel tempo, la famiglia decide che Marjane non può stare ancora lì e la mandano al liceo francese a Vienna.

Esperienze paradossali e divertenti, la crescita, le delusioni d'amore. Anche qui una bella fauna, con due imperdibili: Frau Schloss, la professoressa che la ospitava e il ritratto di Markus dopo il tradimento.

Avendo infine constatato che dopo quella pagina della sua vita l'Europa non è più il suo posto e dopo aver davvero rischiato di morire per un tradimento, Marjane ritorna a Tehran all'inizio degli anni Novanta, dove trova un contesto a cui deve riabituarsi e lo stacco è tale da farla cadere in depressione. La guarigione dalla malattia inizia con un esilarante interpretazione di Eye of the Tiger (da Rocky Balboa...). Marjane si rimette in moto, rivuole la sua vita nella sua città con la sua gente, ma a modo suo (grandiosa: "E voi evitate di guardarmi il culo!").

Tutto il film è una alternanza di situazioni esilaranti e di disperazione che deborda. Ideali traditi, persone uccise e perseguitate. Una guerra che non finisce, se c'è ancora qualcuno che non accetta vincoli e restrizioni.

La narrazione termina dove era iniziata, con la nuova vita di Marjane, la partenza per Parigi. Dopo l'ennesimo dramma di una festa di amici interrotta dai guardiani, una fuga sui tetti, l'ennesima vita spezzata.

E l'ultima passeggiata con la nonna sulle rive del Mar Caspio.

Questo film mi ha fatto sorridere quando non ridere davvero. E commuovere. Mi ha fatto pensare tantissimo, ricordandomi che non scappiamo dal fatto che una grossa parte delle nostre aspettative di vita dipende dal luogo di nascita. Non è giusto e ci si può fare poco.

Il libro da cui è tratto è secondo me ancora più bello, vale veramente la lettura. Magari all'inizio siamo rapiti dal tratto dei personaggi, molto Peanuts prima maniera. Il disegno rotondo, l'uso esclusivo del bianco e nero. Ma poi nel seguito sembra proprio che ogni tratto è funzionale alla narrazione, e nulla come il bianco e il nero riescono a trasmettere umori e sensazioni integri, non mediati. Non c'è una scala di grigio. E davvero, si ride, si pensa e ci si commuove.

Marjane Satrapi (1969 and counting) viene definita quasi riduttivamente graphic novelist.
Persepolis è la sua opera principale.  Ha scritto anche altro e in rete si trova moltissimo.

Bella foto di Marjane Satrapi

La libertà ha sempre un prezzo
(M. Satrapi, Persepolis)