venerdì 28 giugno 2013

Ratatouille e i suoi derivati

Come molti prodotti Pixar, Ratatouille è un film veramente coi fiocchi. 
Godibilissimo, ad ogni età. Storia coerente nell'assurdo, plot sviluppato bene, caratterizzazioni sontuose, musiche all'altezza, animazioni e grafica di un altro livello. 
Bello. L'ho visto tante volte e quando ricapita in televisione lo guardo sempre volentieri. L'intreccio delle vite di Alfredo Linguini e del topolino Remy nella cucina del ristorante Gusteau è il nucleo di una bella storia.

Remy, protagonista di Ratatouille


Metto qualche punto fermo.
Se la glorificazione della vita tra i fornelli diventa oggetto di un film, di un bel film di animazione, non ho nulla in contrario. Quando però la gastronomia viene prima un po' sovraesposta, poi viene imposta nel vero senso della parola in tutti i tempi e i modi possibili dai media, il mio spirito di sopportazione comincia ad andare in sofferenza. Ovviamente non ho problemi se il tutto resta nel contesto di un canale tematico, ci mancherebbe altro. Mi posso tutelare semplicemente con il telecomando. Come esistono canali tematici per lo sport e la musica, ci può stare benissimo un analogo. Ma il debordare di rubriche e trasmissioni gastronomiche su ogni rete ad ogni ora in ogni salsa possibile e immaginabile comincia a denotare, alla fine, una pochezza di contenuti e una inadeguatezza a parlar d'altro abbastanza evidenti.

Mi spiego meglio: stante la presenza di talent show, canali tematici, trasmissioni anche consolidate nel tempo, la rubrica di cucina nel telegiornale cortesemente toglietela dalle balle. Invitare cuochi come opinionisti nelle trasmissioni salottiere è una specie di giustificazione ex post di un mio ventennale rifiuto per quel tipo di intrattenimento. Vissani che spiega come ha condito lo spaghetto per D'Alema non mi interessa un gran che. 

Attenzione perchè fare gastronomia di un certo livello è una sfida impegnativa e bellissima: sia come individuazione del tipo di servizio e di cliente che come organizzazione e integrazione dei processi produttivi. Far funzionare bene un ristorante è un lavoro serio e impegnativo, non è semplicemente il risultato dell'estro di un bravo cuoco. E questo tipo di sfida organizzativa è proprio intrigante. Mi gustai letteralmente un bellissimo parallelo del prof. David Blank Edelman fra la ristorazione e l'amministrazione di sistemi internet, dove skill informatiche e culinarie erano messe su tre livelli, quasi categorie esistenziali. Riporto solo la parte culinaria, per brevità: 
  • Il ristorante di fascia bassa, il fast food. Cibo massificato, menu essenziale e codificato. Il cliente ordina, il suo livello di soddisfazione è sintetizzabile con "Burp! Sono pieno."
  • Il ristorantino sfizioso. Cibo di un certo tipo, menu solitamente stagionale. Il cliente ordina ma accetta i suggerimenti e le proposte del cuoco. Il suo livello di soddisfazione si esprime con "Beh, qui ci torno"
  • Il guru. Il menu è pressochè imprevedibile. Il cliente non ordina. The guru already knows. Il cliente non può che concludere l'esperienza esclamando "Life is wonderful!"
Però l'inflazione di questa sorta di gastropornografia comincia decisamente a stufarmi. Ovviamente la nutrita casistica di queste trasmissioni porta alla ribalta un certo numero di casi umani. Devo segnalarne due, per motivi diametralmente opposti...

Ce vo' pazienza...
Gordon Ramsay alla fine mi starebbe anche simpatico. Viene solitamente sguinzagliato all'interno di topaie improponibili gestite da gruppi escatologici di opinionisti del colesterolo. Arriva lui, prima li insulta e poi si presenta, spacca tutto a testate ma ogni tanto ottiene drastici cambi di rotta e risultati incoraggianti (ammesso che non si tratti di fiction). Un buon equilibrio fra studio del proprio personaggio e professionalità vera e propria. Mi permetto velatamente di suggerire al focoso personaggio di evitare i famosi ristoranti da camionisti in Italia poichè, come da luogo comune, si mangia comunque bene. E soprattutto perchè, citando Er Libanese, tempo cinque minuti esce coi piedi davanti. Ho presente il ristorantino di Caprarola dove andavamo a festeggiare le tornate di esami universitari, ecco.

La seconda figura, proprio l'estremo opposto, non mi va nemmeno di nominarla. Poi dici che la televisione di stato va chiusa. Questa tizia qui, per meriti che non intravedo pur con tutta la buona volontà, da almeno un decennio funge da spalla nella solita trasmissione-riempitivo prima del telegiornale. Tra untumi e fritti vari, questa purtroppo parla pure. E fra il tono querulo e i contenuti di quello che dice, lascia due alternative nette: cambiare canale o farsi estrarre un dente da sveglio. E' proprio l'esempio più fulgido che l'Italia in effetti è veramente il paese delle opportunità. Tempo fa questa pretendeva pure di presentare un chiamiamolo libro nel mercatino nei dintorni di casa mia. Quindi passando di là l'unica alternativa era quella di accelerare proprio, non avendo a portata di mano nè il telecomando nè il dentista. C'era una terza via, ma essere citato il giorno dopo in cronaca nera in fondo in fondo non sarebbe stato il massimo.

Alla fine vale sempre il buon vecchio adagio "Una risata vi seppellirà".
Antonio Albanese che fa il sommelier merita!

E buon appetito :)