lunedì 31 maggio 2010

Who needs enemies.../4


Una delle perle di saggezza che ci ha regalato il Marchese del Grillo è che "quanno se scherza bisogna esse seri". Verissimo. Se fai scherzi di un certo tipo, in una certa scala c'è poco posto per improvvisazioni, pressappochismo, approssimazioni varie. Bisogna definire il plot dello scherzo, avere un piano B, investire tempo e risorse nella preparazione. Uno dei periodi più divertenti della mia vita iniziò proprio con l'incontro di un gruppo di amici molto eterogeneo, per età, interessi e quant'altro, ma "con il gusto difficile di non prendersi mai sul serio".

Nell'estate dei miei 20 anni, incappai appunto in un gruppo di professionisti coi quali mi trovai praticamente nel mio habitat da subito. Vacanza in un bel campeggino in Calabria, sulla parte ionica. C'era da movimentare il ferragosto con qualcosa che non fosse la scontatissima guerra di gavettoni (l'anno prima il gestore ci aveva chiuso l'acqua, come se col mare davanti uno si ferma...) o altri divertimenti "nazionalpopolari". Mapperfavore.

L'idea, pretenziosa, traeva spunto dal fatto che il campeggio affacciava su una piccola deliziosa conca, e che quindi quel tratto di spiaggia era isolato dal contesto. Proprio per questo ci venne in mente qualcosa che tenesse tutti quanti fuori dall'acqua per aumentare il climax verso la scena madre che avevamo in mente.

Due squadre quindi lavorarono alacremente per tutta la notte. C'era chi curava l'allestimento dello squalo, ottenuto foderando di nero un windsurf e alterandone un po' la deriva. Io e altri due amici avellinesi curavamo quella che doveva semplicemente essere la scenografia a supporto.
Lo scherzo era quello di seminare un po' di psicosi per tenere tutti fuori dall'acqua tranne qualche imprudente, che a mezzogiorno in punto sarebbe stato inseguito dallo squalo auspicabilmente fra le urla di terrore dei campeggiatori, per poi rivelare la burla.

Per tenere qualcuno fuori dall'acqua nel giorno di ferragosto bisogna essere convincenti. Preparammo quindi quattro bellissimi cartelli, scritti in uno stampatello sufficientemente intimidatorio e burocratichese.
- "Con l'ordinanza numero X del giorno 14/8/1989 della Unità Sanitaria Locale Catanzaro-3 e del comune di Isola Capo Rizzuto si fa divieto assoluto di balneazione a tutta la popolazione causa invasione di segozzi" -
In basso, diligentemente, sulla sinistra il timbro della USL, sulla destra quello del comune, fatti disegnando le matrici su una patata tagliata a metà.

Pur con l'indubbia buona volontà, l'impianto del tutto restava fragile senza un adeguato contorno di mestatori opportunamente reclutati. Piantammo i cartelli alle 4 del mattino, e restammo a goderci l'alba in spiaggia. Verso le nove, cominciavano ad arrivare mamme con bimbi piccoli, che vengono prudentemente tenuti fuori dall'acqua, qualcuno anche con le maniere brusche. Poi scesero un po' degli adulti con cui eravamo d'accordo. Famiglia della buona borghesia avellinese, che comincia a ricamare sul problema :"Ummaronn. I segozzi pure qua. L'anno scorso a Marina di Camerota insieme alle sanguisughe c'hann fatt'na chiav'c overamente!" E quindi per il momento stavamo riuscendo a tenere tutti fuori dall'acqua...

Finchè, poco prima di mezzogiorno, scende altro gruppetto di romani. Il ras, peraltro persona simpatica, si pianta davanti ad uno dei divieti e pontifica "E' 'no scherzo!". E lui e gli altri del gruppino entrano in acqua, con l'alone del dubbio che erano riusciti a sollevare e con un bel po' di invidia da parte nostra che morivamo di caldo.

Dopo dieci quindici minuti in acqua, il tizio esce tutto beato e soddisfatto, e si avvicina a noi per prenderci un po' in giro... "Regà, che spettacolo l'acqua oggi, come si sta bene, ma che ve state pure a fidà de quelle stronzate, ma figurateve...." e lì scattò il genio di uno di noi, che lo gelò con un semplice "Ma allora perchè ti stai grattando?"
Il tizio non si stava grattando, ovviamente, ma da quel momento in poi iniziò furiosamente a massacrarsi da solo braccia e schiena. Convincemmo lui e i suoi amici a versare un po' di latte sulle zone irritate, in attesa di trovare una farmacia e dei farmaci opportuni. Al terzo litro di latte decise che il problema era serio e richiedeva l'intervento di un medico di pronto soccorso. Andò via con due suoi amici scortato dalle nostre fraterne raccomandazioni di riferire al medico che forse si trattava dei terribili segozzi.

Ritornò a pomeriggio inoltrato, appena contrariato dal fatto di essere stato sbeffeggiato anche dal medico di pronto soccorso, che era uno che aveva visto Amici Miei e lo aveva trattato di conseguenza. Sbollita l'arrabbiatura per la figura che gli avevamo fatto fare, la prese a ridere anche lui :)

Ovviamente nessuno ha notato lo squalo, erano tutti intenti a versargli il latte addosso...

giovedì 27 maggio 2010

Passeggiata istruttiva

Negli ultimi due giorni del viaggio a Dallas nel 2007 non avevo impegni di training, le attrattive della città non erano poi tantissime, non potevo spostare il volo per tentare di trovare un biglietto per vedere Redskins-Cowboys allo stadio, e peraltro dovevo anche lasciare la stanza all'Hyatt Regency perchè era tutto esaurito per il weekend. Trovai un alberghino caratteristico nei dintorni, di quelli con le scale antincendio al centro dei balconcini delle stanze. Prezzo onesto, pulitino, nulla di trascendentale ma alla fine si trattava di una notte sola. Mi divertii a girare la città praticamente a piedi, senza usare i bus, nè il delizioso servizio di tram antichi, restaurati da una associazione del posto, che fanno la spola fra Downtown e il Village. Insomma, una decina di chilometri in quel pomeriggio li avrò anche fatti. Ma la parte interessante di quella giornata fu la mattina. Come anticipavo, al di fuori dello scenario dell'omicidio di John Kennedy a Dallas non c'è altro. Bon. Vediamo di che si tratta.



Come noto, le conclusioni della commissione Warren stabilirono che Lee Harvey Oswald sparò dall'ultimo piano della biblioteca pubblica (angolo Elm Street - Dealey Plaza) tre colpi in un massimo di sette secondi, il terzo decisivo, il secondo un po' strano (la teoria della pallottola magica, perorata dall'avvocato Arlen Specter, che ultimamente da senatore s'è occupato dello spygate dei Patriots. Strano che ne siano usciti profumati come rose...). Quello che può essere interessante è una semplice constatazione di un po' di evidenze. Proprio per eliminare equivoci, non intendo discutere delle tesi di complotto di Jim Garrison in JFK, che peraltro non riscuotono consensi unanimi, anzi.

L'unico dato di fatto da cui non recedo è la validità del filmato di Abraham Zapruder.

Il filmato mostra in vari momenti una successione di sei o sette spari, tra cui uno completamente a vuoto, uno che centra il governatore Connally alle spalle (che potrebbe anche essere compatibile con la posizione assegnata a Oswald), uno che fa portare a Kennedy le mani alla gola e quello decisivo, che fa esplodere il volto del presidente dal davanti, spostando la testa all'indietro. Incompatibile con la posizione di Oswald anche alla luce del fatto che costui avrebbe usato un fucile scadente e avrebbe dovuto espellere i bossoli a mano. E quello decisivo sarebbe stato l'ultimo colpo.



La foto sopra è scattata approssimativamente con una angolazione, se non una distanza, simile a quella da cui Zapruder stava girando il suo filmino. Il gruppo di turisti si trova nel punto in cui la limousine presidenziale era al momento dello sparo decisivo (c'è una piccola mattonella illustrativa sul marciapiede). Nella foto sotto viene presentata una posizione pressochè ideale per un tiratore per il colpo frontale, quello mortale. Defilato, dietro una recinzione ove potersi accovacciare, coperto da un po' di vegetazione. Posizione perfetta, possibilità di sparare anche più di un colpo perchè l'auto, procedendo a bassa velocità, non avrebbe di molto variato l'angolazione fra bersaglio e tiratore. Alle spalle di quasi tutti gli spettatori, quindi una via di uscita ragionevolmente defilata e comoda.

Quello che ho raccontato qui è nulla più che una opinione personale. Due ore spese in duecento metri di strada, a cercare di farmi un'idea su uno dei fatti più discussi e sviscerati della storia recente. Non mi interessa capire se le conclusioni della commissione Warren intendessero coprire chi e cosa, ma l'idea che uno ricava semplicemente osservando la crime scene stride con la verità ufficiale.

Un piccolo appunto a Oliver Stone... due cospiratori non sono molto credibili... Joe Pesci nel ruolo di David Ferrie se la cava anche bene, ma uno degli anticastristi cubani, francamente poco riconoscibile, è nientemeno che Tomas Milian :-)



martedì 25 maggio 2010

Coincidenze, sicuramente.

Ci sono certi posti a Roma in cui proprio non ci si riesce ad annoiare. Uno pensa ad un condominio silenzioso, in una zona bene, come posto in cui avere conforto e riparo dalla quotidianità. Cavolo, i requisiti della location ci sono tutti. Zona bene, la Cassia. Via piccolina, al riparo dal traffico e dal rumore delle auto. Quel po' di verde che se proprio non hai un affaccio sul Colosseo comunque ti riposa occhi e spirito. Via Gradoli ha proprio tutto. Stradina privata a ferro di cavallo appena defilata sulla Cassia. Certo che come catalizzatore di eventi curiosi il civico 96 è ben avanti.
Sono riportati esclusivamente due fatti.
- 1978, aprile. Una perdita d'acqua sicuramente accidentale porta alla scoperta di una base delle brigate rosse nel pieno del sequestro di Aldo Moro. Tutto pienamente casuale. La perdita era provocata da una doccia aperta e tenuta ferma su un tratto di bordo vasca dove, mancando il cemento di impermeabilizzazione, l'acqua colava al piano di sotto. Ma oltre ai pompieri, chiamati per fermare l'allagamento, nei giorni precedenti qualcuno aveva allertato la polizia (nella provvidenziale figura di un amico funzionario) di rumori di un telegrafo che mandava i classici segnali da codice Morse. Chi di noi non. Via Gradoli 96 era una base usata, fra gli altri, da Mario Moretti e Barbara Balzerani. Al nome Gradoli si era giunti peraltro in modo rigorosamente scientifico. Lo spirito di Don Sturzo venne interrogato da un gruppo di amici sul luogo della prigionia di Moro, giocando con un piattino e con un po' di lettere messe alla rinfusa su un tavolo. E questa singolare ambasciata venne affidata, nel 1978, ad un docente universitario (Romano Prodi...) che contattò le entrature che aveva a Roma per far usare l'informazione proficuamente.
- 2009, da luglio in poi. A via Gradoli 96 sembra che il governatore della Regione Lazio si recasse abbastanza spesso per ammazzare la noia delle giornate trascorse fra bilanci, consigli, riunioni. La compagnia era colorita ed eterogenea, e non mancavano salatini, bibite e quant'altro potesse allietare. E quei livelli si muovono con l'auto di servizio. Aggiungiamoci qualche tutore dell'ordine con una idea un po' elastica della legge e della morale, un pusher passato a miglior vita in quel periodo, un travestito morto in seguito in un incendio accidentale.

Mettiamoci un po' di condimento.
Per quanto riguarda la segnalazione sull'appartamento brigatissimo, come direbbero gli orripilanti annunci immobiliari, la segnalazione proviene da una coppia di inquilini. Come si legge nell'eccellente opera La tela del ragno di Sergio Flamigni, la signora che allerta le forze dell'ordine ha lo stesso cognome del businessman che in un eccesso di disinvoltura fra vari cimeli hitleriani acquistati in giro per il mondo, s'è ritrovato in omaggio un senatore eletto con metodi less than clear dagli italiani all'estero. Il senatore, stranamente, è saltato. Il businessman per telefono lo apostrofava gradevolmente come "portinaio mio". Dietro qualche problema fiscale magari agevolato da qualche manager di azienda che ha usato le proprie prerogative in modo poco trasparente. La signora di Via Gradoli 96 è la sorella del businessman.

Tenue curiosità che resta... Ma l'amministratore di condominio è Hannibal Lecter?

lunedì 24 maggio 2010

it.sport.americani

Il gruppo di discussione Usenet ufficialmente identificato come "it.sport.americani", per gli amici Ispa, vide la luce nel 1997 per iniziativa di un gruppo di appassionati, tra cui il sottoscritto, che seguirono l'iter di formulazione, inoltro e accettazione della RFD (richiesta formale di discussione). Da forum tematico su basket, football, baseball e hockey, questo gruppo nel tempo s'è evoluto verso varie forme di aggregazione social-internettiana, assumendo la configurazione, ormai stabile, di saloon.
La caratteristica prima degli sport Usa è la stagionalità: football da settembre a inizio febbraio, il basket che entra nel vivo ad aprile, il baseball che culmina a ottobre, e i college. La dinamica è riprodotta fedelmente nelle discussioni. Il gruppo ha identificato vari gruppetti di appassionati per ogni sport, chi regala la sua personale visione di un evento, chi sacrifica la ragione al tifo, chi spacca il capello in quattro, chi sta lì a leggere le discussioni anche per anni prima di intervenire, ad evitare cazziatoni dei senatori (o anche, semplicemente, di chi si trovava un risultato di una partita ancora da vedere buttato lì a tradimento).
La peculiarità della materia, però, ha cementato uno spirito di gruppo del tutto inusuale in contesti analoghi. Il fatto di avere in comune interessi sportivi così di nicchia, la competenza che ognuno di noi maturava nel tempo ed era costretto a tenere praticamente solo per sè, la comprensione e la passione che avevamo e abbiamo per un mondo sportivo diversissimo da quello italico, un po' stantio, ha fatto sì che nel tempo il gruppo divenisse altro da un semplice forum tematico su internet.
Alcuni volenterosi, sempre generosamente disposti ad adoperarsi per l'interesse di tanti, hanno creato blog tematici, siti web, hanno organizzato cene e incontri (i leggendari miting) ai quali si accorreva da tutta Italia con ogni mezzo, potendo. E viaggi a Londra a vedere il football (il primo, epico, dovrà essere trattato a parte).
Insomma il gruppino di amici di Ispa è uno dei due casi in cui ho avuto amicizie che sono nate esclusivamente grazie a Internet.
Ma Ispa è una miniera di aneddoti, purtroppo comprensibili solo ad un ristretto numero di buontemponi. Come in ogni aggregato umano eterogeneo, episodicamente saltava fuori il jolly, il tizio che entrava nel saloon pestando i pugni sul tavolo e che puntualmente veniva riportato sulla terra da salve di risate del gruppo quando si andava fuori dal seminato.
Tanti passaggi storici, che ognuno di noi ricorda a suo modo sghignazzando... La diatriba storica se quello di Brady era o non era fambol, la notte da carnevale di Rio quando Peyton Manning dovette affrontare l'inferno dell'Arrowhead Stadium, le diatribe fra chi tifa Dolphins e ormai il resto del mondo, gli scambi fra chi tifa Lakers e chi Celtics (con un pensiero a chi ci ha lasciato).
Ma la sensazione confortante che su qualsiasi topic venga buttato nel gruppo c'è da riderci su, scherzare, imparare qualcosa di nuovo da chi ne sa di più, confrontarsi e anche arrabbiarsi, ma con un modo di fare che raramente è andato oltre esilaranti prese in giro reciproche.
E un gruppo di amici che nato per un'idea di pochi, ha veramente creato una zona franca nella passione sportiva di ognuno di noi, una piccola comfort zone dove essere capiti e consolati dopo l'ennesimo transition year della tua squadra, o dopo una partita di playoff persa all'ultimo secondo. E vera ciliegina sulla torta, una amicizia molto più profonda con alcuni fra questi, persone che hai conosciuto prendendosi in giro per una vittoria o una sconfitta e che nel tempo si sono rivelati veri e propri diamonds in the sand, amici per tutto.
Vi pare poco?
Un abbraccio a tutti gli Ispers :)

venerdì 21 maggio 2010

Feynman!



Per chi ha fatto studi scientifici, credo sia difficile trovare una figura con un fascino maggiore di quella di Feynman. Non parlo qui solo del fisico premiato col Nobel, del padre dell'elettrodinamica quantistica, ma anche e soprattutto dell'uomo Feynman. Anzi, a dirla tutta, del personaggio Feynman!

Rimasi estasiato dalla lettura di un paio di libri divulgativi, veri e propri distillati delle esperienze di una persona dalle caratteristiche uniche, che ha dato alla scienza un contributo irripetibile sotto molti aspetti. Integrità, qualità e quantità, originalità dell'approccio.

Richard Feynman è stato un fisico teorico di valore assoluto. Reclutato nel progetto Manhattan, lavorò alla costruzione della bomba collaborando con Fermi, Einstein, Bohr.

Non ebbe semplicemente una formazione a tavolino. Da bambino, durante la Grande Depressione, riparava le radio a valvola ragionando, cercando di capire se c'era qualcosa che non funzionava nell'ordine dovuto, che scaldava troppo o troppo poco. Ogni problema della vita quotidiana veniva affrontato in modo laterale. Esilarante il racconto della parallelizzazione del taglio dei fagiolini nella cucina dell'albergo, terminato in un lago di sangue. Cursus studiorum fulmineo, e come ogni laureato in materie tecniche in quel periodo venne assorbito nello sforzo bellico. Dopo la bomba, ebbe bisogno di una pausa di riflessione su quello che aveva fatto fino a quel momento, e su quello che avrebbe voluto e potuto fare dopo. Maturò un profondo concetto di irresponsabilità attiva della figura di scienziato, troppo complesso per essere liquidato in due righe.

L'insegnamento universitario, la sfida della didattica, la comprensione della natura e delle sue leggi spinta fino ad un punto dove non era ancora arrivato nessuno. Fu il primo a formulare e rendere coerente l'elettrodinamica quantistica e venne insignito del Nobel. Contributi pionieristici anche nel campo delle reti neurali e dell'intelligenza artificiale. Partecipazione fondamentale alla commissione di inchiesta governativa sulla tragedia dello Shuttle del 1986. Morì di cancro nel 1988.
Il personaggio Feynman è una miniera di aneddoti. Esilaranti, improbabili, rivelatori. A volte commoventi, come la vicenda della prima moglie Arlene, morta giovanissima per un linfoma. Ma poi, quanti Feynman conosciamo? Il percussionista in un carro del carnevale di Rio, l'avventizio che accetta una sfida di calcolo contro un venditore di abachi in un bar, il duro che non arretra in una rissa da night club e il giorno dopo fa lezione con l'occhio nero, il disegnatore dilettante (pseudonimo: Ofey) che arriva ad esporre una personale apprezzatissima in una galleria di Pasadena, e viene ingaggiato per decorare le pareti di un bordello d'elite. Il turista che in taxi visita i bassifondi di Port of Spain e si fa raccontare le vite di coloro che stanno "in basso". L'apprendista playboy che va a ripetizione da una cantante di night club e dal marito presentatore. La preparazione maniacale del verso della rana da rifare durante la cerimonia del Nobel, le figuracce con reali e accademici impagliati di mezzo mondo. I discorsi di fine anno al Caltech, sbracciandosi come un attore davanti agli studenti estasiati.
Non posso e non voglio esaurire una figura splendente come Richard Feynman in un post. Nutro una robusta invidia per chi ci ha interagito, per chi lo ha avuto come docente, o semplicemente come amico o conoscente.
Per chi volesse approfondire, due facili volumetti divulgativi editi da Zanichelli che raccontano bene il personaggio: "Sta scherzando, Mr. Feynman" e "Che ti importa di ciò che dice la gente?"
Ulteriori spunti in rete, e reputo carino distinguere immagini e altre fonti.
Ah, la radice quadrata di 2704 ovviamente è 52 :)


mercoledì 19 maggio 2010

Nomen est Omen?



Bottiglia di buon vino bianco aperta ieri sera. Mi cade l'occhio sul tappo di sughero. Non volevo crederci.

lunedì 17 maggio 2010

Nostalgia subbutea

Ogni tanto, passando per la mia (ex) stanza, mi ricapita sott'occhio qualcosa che mi ha tenuto compagnia nel tempo a vario titolo, che ha il suo piccolo pezzetto di storia, di vissuto. Una scatola del mitico Front Page Sports Football 96, con Barry Sanders in copertina, acquistato in un bellissimo negozio a Berlin-KuDamm. Qualche automobilina, qualche vecchio fumetto ingiallito di Charlie Brown. L'ultima fuga verso il passato non è stata casuale, devo ammetterlo. Ho cercato e ritrovato il mio tomo del Subbuteo. Quattro quaderni legati per le copertine con colla e scotch. Ogni tanto qualche pagina staccata, la carta inevitabilmente un po' giallina, lo scotch che non tiene più molto. Ma l'importante era il contenuto, quello che evocava a titolo di ricordi di un ex malato di calcio. Il subbuteo, "calcio in punta di dito", era un "presunto" gioco per due, nel senso che ognuno di noi prendeva molto sul personale la possibilità che la sua squadra perdesse contro quella di qualcun altro. Quindi facevi da solo generazioni di tornei dalla logistica un po' ardita (coppe del mondo in annate dispari...) pur di non andare in astinenza agonistica. Ma quello che c'era al contorno era veramente gustoso.


Il campo. Non arrivai alla generazione dell'Astroturf, avevo un normalissimo telo della confezione standard, con l'odiosa linea di tiro. Inchiodarlo ad una tavola con le puntine da disegno era un problema ai limiti della fisica. Le linee laterali disegnavano un inseguimento gibboso da una porta all'altra. Dovetti ripetere l'opera più volte prima di ottenere qualcosa che non sprofondasse nel ridicolo.


Scuole di pensiero sui portierini: me ne ricordo di due tipi... Una serie bellissima di portieri intenti in un plastico volo ma già piegati all'indietro, quindi pressochè inutili, ed una serie con un look improponibile, con visiera in fronte stile Zamora o Yascin, che però essendo dritti e con le braccia alte andavano da dio!

Dove effettivamente andava riconosciuta la superiorità dell'articolo era nel cataloghino delle squadre. Non ne ho più una copia, il negoziante non lo scuciva se non comperavi almeno due squadre insieme. Ma averlo era una festa. Un regolamento con qualche margine di ambiguità ma che si fissava sull'unico dogma del gioco "in punta di dito", che era una solenne scomunica per la "schicchera", sia nell'accezione plebea dell'utilizzo del pollice come leva, che nelle interpretazioni più subdole, dove usavi il campo come surrogato per far scattare l'ultima falange dell'indice per dare più potenza. Non si scherza nulla qui. E poi una serie di accessori spettacolari, alcuni coreografici e oggettivamente carini. I lampioni, gli spalti col pubblico. Altri che sono entrati nella fiera dell'inutile dell'immaginario di ogni subbuteista: vogliamo parlare dell'omino del fallo laterale e dell'omino del calcio d'angolo? Peraltro mai visti in nessun negozio, anche fornito bene.


L'arte vera era l'elenco delle squadre e delle divise. Circa quattrocento squadre, di tutti i continenti, di club, nazionali, qualche "throwback". Una festa di colori per ogni curiosità possibile. La terza divisa del Manchester United, verde.


Il mio concetto di Subbuteo si esauriva in due snodi fondamentali. Le squadre e il quaderno. Per le squadre mi ritenevo un privilegiato. Sapendo usare benino il pennello, riuscii a combinare qualcosa di gradevole. La "mia" Roma aveva sulle maglie qualcosa che poteva ricordare la leggendaria "Barilla". Pruzzo con i baffi, Bruno Conti coi capelli lunghi, e Falcao quasi biondo, come da prescrizioni iconografiche dell'epoca. Ma i due capolavori erano il Saint-Etienne, con una maglia verde con coppie di righine sottilissime, e i numeri delle maglie del Liverpool, con un outlining fatto davvero coscienziosamente.


E il quaderno. Decine di tornei, mondiali, europei, coppe, competizioni più improbabili in cui mescolavo squadre secondo i criteri più assurdi. Ma una onesta cura per la grafica, visto che sapevo usare il pennello, ma per i disegni ero veramente negato. Il top, forse, è la pagina di presentazione della finale di Spagna 82, riportati in figura, fra Scozia e Germania...


Valeva il fuorigioco e i giocatori rotti si riparavano chirurgicamente con la colla degli aerei, mi pare chiaro :)




venerdì 14 maggio 2010

Lawrence Taylor

Quando ti massacrano gli idoli di gioventù ci resti male. Quando chi compie il sacrilegio è l'idolo stesso, ci resti anche peggio. Vedi che un'indole negativa non la correggi con i soldi, il successo, la gloria. Non basta mai, mai, mai.

Un esempio chiaro fu la storia di OJ Simpson, forse uno dei giocatori più belli da vedere in azione. Uscì pulito dall'accusa di duplice omicidio semplicemente grazie alla potenza monetaria che poteva mettere sul tavolo rispetto alle famiglie delle vittime. Ma chiaramente ognuno di noi può avere il suo giudizio.

Però non è la stessa cosa rispetto a LT. Simpson era la generazione precedente, lo conoscevo solo dai filmati. LT era uno di quei giocatori che valeva da solo il prezzo del biglietto, ho visto sue partite intere a decine. LT è stato senza nemmeno pensarci il miglior difensore degli anni Ottanta, e a tutt'oggi è il termine di paragone per ogni outside linebacker. Uno di quelli per cui scomodi la definizione di best ever nel suo ruolo senza troppe esitazioni.
Atleticamente di un altro mondo. Alto, grosso, veloce, reattività assurda, tecnica sopraffina, forza fisica impensabile. Capace di battere i bloccatori con la forza e con la velocità. Vero e proprio terrore degli attacchi avversari, che arrivavano anche a triplicarlo con l'ovvio risultato di lasciar strada libera ai vari Marshall, Carson, Reasons.

In soldoni, i NY Giants vinsero due titoli quando la difesa era, come si dice, ancorata dalla sua presenza. Quando un attacco deve approntare un game plan in funzione di un singolo avversario non è mai un buon segno. Tra l'altro, Lawrence Taylor in campo non era neppure un soggettaccio, s'è visto e si vede abbondantemente di peggio. Rimase anche impressionato dalla frattura che chiuse la carriera di Joe Theismann. Era una azione di gioco e quel tipo di infortunio poteva starci, purtroppo. Si ritirò nel 1993, dopo una carriera sontuosa, con qualche macchiolina per abuso di sostanze non consentite, ma anche qui c'è di peggio.
Introdotto nella Hall of Fame nel 1999, degno coronamento.

Questo era il giocatore.

Negli anni successivi ha vivacchiato sulla fama sacrosanta guadagnata sul campo. Tornei di golf, una parte in Any given Sunday, la solita partecipazione a Dancing with the Stars, che negli States sembra una parata di glorie del football.
Nel frattempo qualche incidente da VIP, diciamo così. Troppa disinvoltura con sostanze non ortodosse, qualche incomprensione col gentil sesso in camera da letto. E cominciavano anche ad emergere episodi del passato non proprio cristallini, in varie interviste rilasciate o dai suoi ex compagni o a volte anche da lui stesso, che lo faceva tanto per, non per dare esempi o avvertimenti ai giovani. In sostanza, Taylor anche da giocatore era molto disinvolto nell'uso di droghe, un fuoriclasse anche nell'eludere i controlli. E la sua classe gli permetteva di fare quello che voleva in allenamento, coi compagni, con il concetto di squadra, fondamentale anche quando girano milioni di dollari. Racconta Joe Morris, runner dei Giants, che addirittura un sergente di ferro quale Bill Parcells gli perdonava praticamente tutto. "C'erano due regolamenti interni, uno per noi mortali e uno per lui".

Ultima bravata, una accusa di stupro nei riguardi di una sedicenne fuggita da casa. La sua difesa ora è il classico "incontro a pagamento con presunta maggiorenne". Garantisti anche qui? Boh. Non vedo perchè e per chi. Non mi interessa coccolare l'icona di uno che ha avuto tutto e scientemente lo ha usato nel peggior modo possibile.
Forse la conclusione giusta è quella riportata dal grande Peter King in questo articolo di Sports Illustrated.
He's just mean.

mercoledì 12 maggio 2010

Field of Dreams!

La mia prima e per ora unica visita negli States è stata nel novembre 2007, quando andai allo Usenix-Lisa di Dallas, TX. Per un malato di football come me, che il primo viaggio negli USA fosse nella città dell'America's Team sembrava quasi un regalo del destino. A capirsi, a Dallas non c'è veramente niente. Si mangia dell'ottima carne, si può spendere una mattinata fra Elm Street, Dealey Plaza e il Sixth Floor Museum per vedere i luoghi dell'omicidio di John Kennedy. Skyline riconoscibile dall'Hyatt Regency at Reunion, lo spettacolare albergo dove eravamo alloggiati. Spazi ampi, non troppo traffico, shopping mall qua e là. Un Apple Store serio. Basta, quasi tutto qui. Ma il dato che per me conta, è che questa è la città che da settembre a febbraio respira football come nessun'altra in America.

Il mall più noto nella zona si chiama The Galleria. Molto elegante, è il tipo di mall che ti aspetti nella provincia ricca. Negozi di griffe, commesse stupende, prezzi in linea... Tutte cose che (a parte le commesse) riscuotevano il nostro più conclamato chissenefrega! La tappa d'obbligo iniziale non poteva non essere lo Starbucks (nostalgia canaglia). Poi, mentre D e T si immergono in ogni geek store del mall, io resto ovviamente incastrato nel più grosso Cowboy Store della zona. Un po' di shopping, ma non tifo per loro. Continuo a camminare, finchè non mi imbatto in un negozio nemmeno grande, vista la media.

Field of Dreams.

Una parte del mio paradiso personale è fatta proprio così. Field of Dreams è una catena di punti sparsi negli States dove si possono acquistare cimeli sportivi autenticati di football, baseball, basket, hockey. Per il principio di località valido nel merchandising sportivo USA, Dallas uguale Football. In Texas giocare a football significa semplicemente essere del luogo. Ma in quel negozio non c'era solo l'inevitabile museo dei Cowboys.
Il negoziante (o meglio: la guida dei miei sogni) vedendomi girare rapito fra i banchi si mise a parlare con me, si mise a spiegarmi tutti gli articoli, che coprivano davvero quattro decenni del mio sport preferito. Le cose più recenti (la maglia della prima partita di Adrian Peterson), le glorie della mia adolescenza: maglie originali autografate di Dan Marino e di Joe Montana. Cimeli veramente inestimabili, per chi ama questo sport. Una maglia bianca dei Miami Dolphins, numero 73 e la scritta "Undefeated" al posto del nome. E sono riuscito a leggere qualche autografo: Larry Csonka, Manny Fernandez, Bob Griese, Nick Buoniconti.

Uno di quei momenti della tua vita in cui ti senti più di te stesso, non so dire diversamente. Quando sei esattamente dove vorresti essere, e in nessun altro luogo. Il tizio, impressionato dalla mia passione viscerale un po' stridente con la mia nazionalità, era prodigo di dettagli, spiegazioni, aneddoti. La maglia delle duemila yards di Barry Sanders. La maglia di "The Catch", di Dwight Clark, esposta proprio a Dallas!

E il momento più bello di quel viaggio: quando mi dice quasi con aria cospiratoria "Let me show you this box".

Una scatolona in plexiglas trasparente. Dentro un casco e una foto. Mi tremavano le gambe, davvero. Il casco di John Elway usato nel Superbowl vinto contro i Packers, e la foto leggendaria del 3rd and 7 convertito su corsa. The Helicopter. Per i profani: forse una delle giocate più belle e intense che si siano mai viste in una finale, in cui un trentottenne con una immeritata fama di perdente mise a repentaglio le proprie gambe per guadagnare il terreno necessario per continuare a giocare, neppure per segnare. Forse è meglio che certe cose non siano vendute, che restino patrimonio collettivo degli appassionati.

Rimasi lì, a vedere il casco e la foto, l'azione davanti ai miei occhi, la scelta di correre, i due difensori che lo puntano, il tuffo in avanti a vita persa, a trentotto anni. E il primo down. Sweet Redemption, come avrebbe titolato Sports Illustrated, con una foto di copertina leggendaria.

Mi uscì il più strozzato dei "Thank you for this", quando D e T mi trovarono nel negozio con una espressione che viene sintetizzata bene dalla loro domanda "Mauro, ma ti senti bene?".
Ragazzi tutto a posto. Difficile stare meglio ;)

Chi maltratta i bambini

Il post di oggi è semplicemente un passo di Dostoevskij.
E' tratto da I fratelli Karamazov, è un dialogo fra Ivan Fedorovic e Aleksej, parte Seconda, libro Quinto, "Il pro e il contro".
Durissimo nella sua attualità.
"Una bimbetta di cinque anni era stata presa in odio dal padre e dalla madre, persone stimatissime del ceto burocratico, istruite e ben educate. Vedi, io affermo ancora una volta recisamente che esiste in molti uomini un'inclinazione speciale, e cioè la passione di torturare i bambini, ma soltanto i bambini. Con tutti gli altri componenti del genere umano questi stessi aguzzini sono anzi cordiali e gentili, da veri europei civili e ben educati, ma hanno la passione di tormentare i bambini, e in questo senso hanno anche la passione dei bambini. E' appunto l'aria indifesa di queste creature che eccita gli aguzzini, l'angelica fiducia del bambino, che non sa dove e da chi rifugiarsi; è proprio questo che accende il sangue schifoso del carnefice! Certo, in ogni uomo si nasconde una belva; la belva dell'ira, la belva della lussuria eccitata dagli urli della vittima, la belva delle passioni scatenate, la belva delle malattie contratte negli stravizi (podagra, mal di fegato, eccetera eccetera). Questi genitori bene educati sottoponevano la povera piccina a tutte le torture possibili e immaginabili. La picchiavano, la frustavano, la prendevano a calci, senza sapere neanche loro il perchè, e le riducevano il corpicino tutto un livido. Alla fine raggiunsero l'estrema raffinatezza: col freddo, col gelo la rinchiudevano tutta la notte nel cesso, e siccome non chiamava mai in tempo (come se un bambino di cinque anni, che dorme il suo sonno profondo di angelo, potesse imparare a chiamare in tempo!) per punirla le imbrattavano tutto il viso coi suoi escrementi e la obbligavano a mangiarli. Ed era la madre, proprio la madre che la costringeva a farlo! e questa madre riusciva a dormire, mentre si sentivano nel buio i gemiti della povera creaturina rinchiusa in quel lurido posto! Te l'immagini, un piccolo essere che ancora non può nemmeno capire cosa gli fanno, rinchiuso nel cesso, al buio e al freddo, che si batte il petto straziato col minuscolo pugno e piange lacrime di sangue, lacrime buone, senza rancore, chiamando 'il buon Dio' perchè lo aiuti! Riesci a capire questo assurdo, mio dolce novizio del Signore? Tu che mi sei amico e fratello, riesci a capire perchè questo assurdo sia stato creato e sia necessario? Dicono che l'uomo non potrebbe esistere se non ci fosse tale assurdo, perchè non conoscerebbe il bene e il male. Ma a che scopo conoscere questo maledetto 'bene e male' , se ci deve costare tanta pena? Tutto il sapere del mondo non vale le lacrime di quella povera piccina che prega 'il buon Dio'. Io non parlo delle sofferenze dei grandi, quelli hanno mangiato il frutto proibito, e vadano pure al diavolo tutti quanti! Ma i bambini, i bambini.... Io ti faccio soffrire, Alesa, mi sembra che tu stia male. Se vuoi, smetto"

martedì 11 maggio 2010

Moz-za-rel-la...

Cifrevole tempo fa restammo incastrati in un esilarante sketch a metà fra la mitica gag "Hostaria!" di Gassman e Tognazzi, e un grottesco-surreale tipo Jeunet e Caro.

Raggiunti da una coppia di amici che erano venuti con la corriera, ci avventurammo di sabato sera nel borghetto medievale di Nettuno. Estate iniziata, senza prenotazione, poteva anche starci che in una località di mare fatichi a trovare un tavolino libero in una pizzeria qualsiasi.
Dopo una mezz'oretta di tentativi senza successo e di generici inviti a lasciare il nome e a ripresentarsi fra un'ora, troviamo un posticino promettente, con tavolini in una piazzetta aperta a quel minimo di aria proveniente dal mare che non guasta. Tavoli occupati, persone che mangiano, due o tre tavoli liberi. Chiediamo se possiamo accomodarci, e ci fanno sbrigativamente cenno di sì. Bene. Ci sediamo e aspettiamo. Nemmeno poco. Noi eravamo comunque intenti alle nostre chiacchiere fra amici, ancora lontani da quello che in effetti ci stava accadendo intorno, finchè non si presenta un cameriere di mezza età, in tenuta quasi istituzionale... Pantalone scuro, camicia bianca, panciotto scuro con taccuino in tasca... Annota le bevande, il tradizionale giro di bruschette e frittini di accompagno... noi praticamente in automatico procediamo con le pizze.... Funghi e mozzarella.
Il cameriere si china verso il tavolo poggiando il taccuino... "Aspettate 'n attimo... Moz-za-rel-la... Guardate come lo scrivo bene, poi qua me dicono che prenno l'ordini sbajati...".
Oltre alla pittoresca rivendicazione, non potevamo non notare uno sguardo non lucidissimo, e una fiatella inequivocabile, proprio di quelle che fanno saltar su l'antivirus. Il nostro eroe, sull'onda di una discreta bevuta, come fu e come non fu si annotò le ordinazioni.
Perplessi, continuiamo a parlare fra noi ma nel frattempo stava maturando una gustosa escalation indotta dalle condizioni meno che ottimali del tizio... Clienti molto impazienti ai tavoli che entravano in sala per chiedere notizie delle ordinazioni... Il cuoco spazientito che usciva urlacchiando "Ma de chi so' sti fritti!!!".
Il tipo continuava a vagare serafico fra i tavoli, prendendo le ordinazioni sempre in quel modo un po' naif, rientrando in sala con una portata non ordinata da nessuno (strano...) o bighellonando fra i tavoli e intrattenendo a modo suo i clienti.
Dopo una buona ora di attesa, vantammo la paternità della prima cosa che sembrasse un antipasto per quattro e poi ci accontentammo di pizzette striminzite con pomodoro secco e mozzarella pure stantìa. Che magari fra cucina e servizio era tutto proporzionato... La nostra amica, persona che giuro di aver visto sempre serena e sorridente, incavolata come una furia perchè rischiavano di perdere il pullman, i clienti di uno dei tavoli a fianco che si sono alzati dichiarando tranquillamente di andar via senza pagare... e lui che tranquillo svolazzava leggero fra i tavoli, incurante dei crucci terreni dei clienti. Rispetto a quanto abbiamo mangiato il conto era anche alto. Alla fine il servizio al tavolo era quasi pittoresco.


La location era carina, ma chissà perchè non sono certissimo di volerci ritornare, se devo dirla tutta :)

lunedì 10 maggio 2010

La notte della gallina

Ci sono dei passaggi nella vita di ciascuno di noi che delimitano in maniera netta la fine di una fase e l'inizio della successiva. A volte sono individuati dalla tristissima espressione quando ero giovane queste cose le facevo senza accorgermene. Volenti o meno, queste cose succedono in tutte le categorie dell'esistenza umana, con vari tipi di impatto.

Nel 2002 il mio 33esimo (!) compleanno cadde nel lunedì di Pasquetta, peraltro giornata lavorativa.
La precedente domenica, come da tradizione pasquale, aveva visto la presenza di libagioni di qualità e quantità ragguardevoli. E come da copione, una certa libertà di accesso alla cioccolata, cibo degli dei, su cui non faccio sconti in tempo di pace, figurarsi in guerra...
Fra le varie prelibatezze, un parente aveva portato una spettacolare gallina di cioccolata al latte aromatizzata all'arancia. Vuoi prima dei pasti, vuoi dopo i pasti, ora come aperitivo, ora come dolce, quella sera probabilmente avevo sulla coscienza circa mezzo chilo della suddetta gallina, ad esser signori.
Tornati a casa, ci si corica con la lieta prospettiva che il giorno dopo, oltre al turno pomeridiano (sicuramente più leggero) mi aspettavano le solite e gradite telefonate di persone care per il mio compleanno. Ma c'era il conto in sospeso con la gallina. Verso le due di notte mi sveglio per un doloroso cerchio alla testa. Gocce per il mal di capo anche in quantità generosa, poichè non avevo certo il problema di essere a stomaco vuoto. Mi alzo, essenzialmente per non infastidire oltre misura la coniuge in dolce attesa. Vado in salotto dove mi metto un film alla tele perchè il sonno venisse almeno agevolato (strano ma funziono così). Nulla. Il mal di testa aumenta. Fastidio. Passo alla cd. fase del rantolo, dove biascico mugugni nemmeno silenziosi a mezza bocca, a intervalli regolari. Camomillina, come di prammatica. Macchè.
Verso le quattro del mattino, ormai ridotto uno straccio, entro nel luogo di decenza e mi inginocchio di fronte all'idolo di porcellana bianca (devo delle royalties a chi so io...). Tra una performance purificatrice e l'altra trovo il coraggio di chiedere alla coniuge se almeno veniva a reggermi la fronte. Non ho idea se questo pietoso ufficio abbia poteri taumaturgici particolari oltre a quello di evitare dolorose craniate "a bordo vasca", diciamo così.
Dopo il lungo e rumoroso redde rationem mi alzo, passo inevitabilmente davanti allo specchio dove, se possibile, lo spettacolo era anche peggiore rispetto al solito. Occhio iniettato di sangue, strage di capillari esplosi in viso che facevano un curiosissimo effetto del tipo Heidi dopo dieci chilometri di corsa in salita sotto il sole. Una vera chiavica, a farla facile.
Purtroppo il rituale catartico non aveva nemmeno esaurito il conto in sospeso con la gallina. Vuoi per le premesse, vuoi per lo sforzo, permaneva un ricco mal di testa. In mattinata valuto una specie di soluzione omeopatica: non avendo contanti in casa, faccio una passeggiata fino al bancomat, magari mi ricreo un po'. Provatissimo per la nottata, arrivo quindi di fronte al maledetto ordigno eroga-soldi.
Primo tentativo.
"Inserire il codice segreto facendo attenzione a non essere osservati".
x...y...z...v...w
"Codice errato. Riprovare"
Secondo tentativo
x...y...v...z...w
"Codice errato. Riprovare"
Mapporc...
Telefono alla coniuge, peraltro risentito perchè lei non aveva idea di dove io potevo aver messo i dati del mio bancomat nell'ordine poco meno che aristotelico in cui tengo le mie cose...
Per evitare ulteriori grane col sistema bancario, mi riprendo il tesserino senza ritirare contanti. Rientro a casa e poichè il mal di testa imperversava, chiamo uno dei vari amici medici ereditati in famiglia, solo per sentirmi dire "Ah. Hai le nausee? Ma guarda che quella incinta è tua moglie... Dici che hai mangiato mezzo chilo di cioccolata? Ah, è proprio strano che tu sia un po' in disordine...". Saluto diplomaticamente il buontempone per evitare che finisse a schifio...
Chiamo in ufficio. "Mi sento niente bene, ci si vede domani".
E buon compleanno, Mauro. Quando avevi vent'anni la cioccolata la digerivi meglio...

venerdì 7 maggio 2010

La certosa di Calci


Recentemente abbiamo trascorso un weekend incantevole a Pisa, dove siamo andati a trovare dei carissimi amici. Il weekend è iniziato con una sontuosa cena di pesce a Viareggio venerdì sera, dopo aver posato il bagaglio praticamente senza scendere dall'auto. Sabato mattina passeggiata in Piazza dei Miracoli, per far vedere ai bimbi che la vera torre pendente non è quella del negozio di gomme di Cars...
Sabato pomeriggio siamo andati a visitare la Certosa di Calci.
Nello stesso complesso è stato allestito anche un museo di scienze naturali abbastanza interessante, con tanto di acquari con pesci a dir poco strani ed esposizione di scheletri di balene. Dopo tanta ortopedica magnificenza, ci siamo aggregati ad un gruppetto di quattro o cinque persone che si accingevano a visitare la certosa, accompagnati da colui che a tutti gli effetti era un semplice custode, ma che ci ha regalato un racconto talmente immaginifico, talmente vissuto da lasciarci immersi nella bellezza del posto.
La visita è iniziata dall'officina farmaceutica, dove oltre a mostrarci il gusto squisito del mobilio interno la nostra guida ci faceva anche ragionare sul lavoro di preparazione dei farmaci. Ci ha fatto vedere una bilancia, che non deve esser poi nuovissima, in grado di avvertire sul piattino la presenza di uno scontrino.
Siamo poi entrati nel complesso della certosa vera e propria, partendo dalla chiesa. La prima sosta è stata sul cd. centro mistico, più o meno la X dove scavare quando la nostra vista va alla ricerca di un tesoro. Inizialmente posti di fronte a una statua di un angelo, alcuni metri davanti alla scalinata dell'altare principale, il centro mistico è quel punto in cui poi, almeno per il nome, ci si aspetta che accada qualcosa. Il nostro accompagnatore ci ha fatto fermare. Ha aperto una porta alla nostra destra e una alla nostra sinistra, che schiudevano due corridoi di settantun metri ciascuno, dove il sole inondava il passaggio. Quindi in quel momento eravamo alla giunzione dei bracci di una croce greca, a forma di tau. Girando su noi stessi, sopra i coppi del tetto dell'officina farmaceutica che copriva il resto della visione, si stagliavano in lontananza la torre e il campanile del duomo. Emozionante, con i giochi di luce di mezzo pomeriggio.
La visita è proseguita all'interno del complesso, con sale, ambienti di preghiera, celle dei frati, chiostro.
Pavimentazioni con i giochi prospettici che avrebbe ripreso anche Maurits Cornelis Escher, dipinti che realizzavano deliziose illusioni ottiche sulla profondità delle stanze, scene di refettorio che ruotavano mentre noi percorrevamo la sala camminando, con la meraviglia e le risate dei bimbi, che forse gradivano più quella magnificenza silenziosa che non qualche divertimento massificato...
E il giardino con i limoni, ovviamente non trattati, che mandavano un profumo quasi commovente nella sua autenticità. Effimero come tante cose belle, perchè essendo frutti non trattati, non c'era nulla che conferisse durata, lucentezza, odore artificiale. Ma vero.
E tanti momenti da ricordare, come un bellissimo incipit di Ave Maria con cui la nostra amica ha provato che cosa suprema sia l'acustica di quella chiesa.
E tutti gli accorgimenti utilizzati dai certosini che lì dentro non dovevano far poi una vitaccia (castità a parte, prendendola per buona).
E la bacheca con i compiti che il priore stabiliva per i fratelli (figli della nobiltà cittadina, non dimentichiamo). Rotazione delle celle, degli ambienti di preghiera, del lavoro, fino al taglio dei capelli. Tutto senza profferire verbo, ma con un delizioso sistema di monitoraggio, azzarderei.
Un'immersione in un ambiente unico, due ore fuori dal mondo.
Devo e voglio spendere due parole per la persona che ci ha accompagnato in quel viaggio.
Dal punto di vista delle mansioni, ci ha spiegato di essere semplicemente un custode. Andrà in pensione il prossimo anno, con suo grande dispiacere. "Vivo immerso nel bello, che altro devo chiedere?" ci spiegava con un gradevolissimo accento napoletano che in quel luogo poteva apparire quasi una forzatura, ma che con il passare del tempo ci affabulava tutti con quei racconti, quegli aneddoti e quella passione derivata dall'orgoglio di aver vissuto in un posto così e di averlo capito ed amato.
Ci ha detto che è anche stato rimproverato da qualcuno perchè non limitandosi a dire il nome delle sale e ad aspettare i visitatori ingenerava aspettative non lecite che gli altri non potevano soddisfare. Gentilissimo con tutti noi, sorridente con i bambini a cui ha regalato i limoni veri. Che bella persona.
Scatterebbe quasi un impietoso confronto con gli "impiegati" che hanno interrotto il concerto di archi al pantheon per un extratime di un paio di minuti, facendo sbrigativamente uscire pubblico e artisti...
Per chi volesse approfondire, si può vedere qui e qui.
Ma credetemi, non è la stessa cosa ;)
E un affettuoso grazie ai nostri amici che ci hanno portato lì

mercoledì 5 maggio 2010

Who needs enemies... /3

Oltre a non essere propriamente un fuoriclasse a briscola , il buon diavolo che avevo per vicino di banco al liceo aveva delle tecniche di networking col gentil sesso a volte opinabili, almeno. In estrema sintesi, non è che col fascino del cinquantenne quando sei al liceo hai poi tutto questo successo. Il problema, in effetti, è che lui era cinquantenne dentro. Esistenzialismi astratti, discorsi da italiota vero, di quelli con l'autoradio nella mano destra, gusti musicali che andavano da Fred Bongusto a Milva. Diciamo appena demodè. Ciononostante, non era neppure un tipo malvagio e ogni tanto mi omaggiava con qualche breaking news su tipe che aveva puntato. Un pomeriggio, mentre si studiava insieme, mi racconta addirittura che il giorno prima era tornato con l'autobus con quella della IID, quella moretta con i capelli all'indietro. Chiedo subito "Quella con le tettone?" (è sorprendente quanti pochi elementi siano necessari a diciassette anni per costruire un identikit incontrovertibile). "Si, bravo. Proprio lei". Mh. Realizzo anche qualcosa altro, che ovviamente tengo per me solo.

Bene.

Nei giorni successivi vengo aggiornato meticolosamente sul flirt nascente, che pareva andare avanti un po' a corrente alternata. "Sai, oggi mi ha consigliato un libro". "Boh, oggi mi pareva un po' freddina". "No, oggi era di buonumore, mi ha pure detto che ha il cane" (Sapevo del cane, e non solo...). Insomma, a suo modo stava portando avanti le trattative con onesto successo, e si sentiva pronto per il grande passo... "Domani l'aspetto alla fermata e le chiedo se vuole venire al cinema". In bocca al lupo, come di prassi. Confidente che il destino a volte aiuta, resto in attesa del minuzioso resoconto serale, che arriva puntuale con la solita telefonata.

Incipit trionfale: "Io le donne non le capirò mai!"

- Che è successo?

- L'ho aspettata alla fermata, è arrivata, oggi si vede che era un po' incavolata

- Beh?

- Io le parlavo, si e no mi rispondeva, a un certo punto sull'autobus s'è proprio girata

- Ah.

- Io comunque le ho chiesto se volevamo andare al cine domani pomeriggio, e a quel punto è proprio scesa, tre fermate prima. Ma che cavolo le avrò mai detto?

- Io un'idea ce l'avrei...

- Che idea?

- Era la gemella sbagliata...

- Mapporc....Hai capito perchè questa andava a giorni alterni. Era l'altra! Ma tu lo sapevi che erano due gemelle?

- Ovvio

Ora non è tanto il fatto che io abbia taciuto la perigliosa realtà in cui il nostro eroe tentava di intrufolarsi, ma diamo atto alla gemella silenziosa di essere veramente un genio del male, una regina dell'identity stealth ante litteram... Applausi!

lunedì 3 maggio 2010

Replica Jersey


La mia passione sportiva principale è il football. Il resto è diventato quasi un semplice riempitivo fra febbraio e settembre. Non so come è cominciata, ho vaghi ricordi dell'inizio, ma seguo la NFL da quando ho tredici anni.

Ventisette Superbowl consecutivi, da John Riggins a Drew Brees.

L'aspetto caratteristico di questo sport è la sua telegenia innegabile. Stadi pieni, uniformi splendide, azione coinvolgente, cheerleaders, fior di personaggi in campo e fuori. Atletismo, pathos, ambientazioni mistiche , battaglie epiche a loro modo pezzi di storia di un paese che ha poca storia.

La primissima maglia che ho avuto è del 1987, era la maglia di William "The Refrigerator" Perry, NT dei Chicago Bears, ma chi me la regalò fece un po' di confusione fra misure europee e misure americane, tant'è che la maglia mi arrivava sotto le ginocchia e anche come larghezza era, per così dire, un po' in crescenza.
Poi mi arrivarono repliche di Marino (verde acqua, ma senza il nome), e Montana (rossa, senza il nome). Insomma pochino, ma trattandosi di regali per giunta non economicissimi non potevo che esser contento e ringraziare.

Con la diffusione di internet cominciai anche a distinguere fra le varie tipologie di maglie, pregio in termini di finitura, reperibilità, prezzi. Replica Jersey: scritte e numeri stampati a vernice, mediamente resistenti e ben fatte, forse nel tempo potrebbero deteriorarsi. Premier: nome, numeri, logo non sono stampati ma sono cuciti punto a punto. Belle belle. Throwback: fatte come le premier, con i nomi dei grandi del passato e il look dell'epoca. Stupende, da intenditori. Personalized: si può indicare il nome, richiedono fra le 2 e le 4 settimane di tempo e come prezzi partono dalle replica e possono arrivare anche a costare quanto tre throwback. In ogni caso nulla di economico eppoi non fanno spedizioni in Europa.

Buio integrale fino al 2007. Qualcosa nei negozi, ma con campionari estremamente limitati e dettati dal momento. Fino al 2007, anno zero delle NFL International Series.
Con parte del gruppo storico del leggendario newsgroup it.sport.americani (vero e proprio pezzo di cuore) riuscimmo ad organizzarci per andare a vedere Miami Dolphins-NY Giants a Wembley. Londra s'era attrezzata di conseguenza e in un bel negozio di Carnaby Street riuscii a regalarmi la mia prima replica con il nome. Per affezione di ruolo, scelsi la 18 bianca di Peyton Manning. Un paio di mesi dopo ebbi la possibilità di andare a Dallas per un corso e per la prima volta presi coscienza del principio di località che regola distribuzione e vendita di queste maglie. Mi aspettavo riedizioni personali della mia idea di paradiso, con maglie di tutte le squadre, tutti i giocatori, tutte le epoche, tutte le taglie... Il risveglio fu un po' diverso. Dallas uguale Cowboys, facile. Se cerchi qualcosa dei 'boys ti accontentano fino a limiti estremi, tappetini per auto con la "lone star", scendiletto con il terreno del Texas Stadium. Per non parlare delle maglie dei grandi di tutti i tempi, dei loro grandi (nemmeno pochi, tra l'altro). Staubach, Aikman, Emmit Smith, Too Tall Jones, Michael Irvin, Deion Sanders... insomma vere e proprie esposizioni permanenti della squadra identificata più che bene dall'etichetta the America's Team.
Unico piccolo problema... non tifo per i Cowboys! Il deserto dei tartari. Solo qualche media darling come Reggie Bush, Vince Young. Stop. I miei Dolphins in quel periodo erano la squadra più debole della NFL. Richiedere a Dallas la maglia dei Fins provocava, nel migliore dei casi, un ironico sorrisino della commessa. Sfidai decisamente la signorina, passandogli alla cassa come prima la maglia degli Eagles (McNabb), poi però la riportai dalla mia parte con un "doppio Romo carpiato", vedi foto. Per me e per lo junior, con tanto di bottoni per pannolino. Il ghiaccio era rotto, ormai. A dicembre rimasi commosso quando M e S mi regalarono la numero 16 di Joe Montana, throwback 1990! L'anno dopo un collega mi aveva anticipato un passaggio a Miami. Fermo là! Mando il link via mail, con un po' di scetticismo perchè non è detto che chi passa a Miami abbia le mie paranoie come priorità. Ma al suo ritorno "Mauro, t'ho portato la maglietta!" Ossignur! La Tredici bianca, throwback 1984! La maglia della migliore annata di Dan Marino. Il mio Gronchi Rosa!

Insomma, ogni persona che incroci o per una città o per un aeroporto americano diviene ormai oggetto delle mie speranzose richieste, automaticamente.

E in tutto ciò ho scoperto un negozio anche ben fornito, a un chilometro da casa...