lunedì 19 aprile 2010

NonLuoghi


Da fidanzatini, facemmo un bel viaggio in treno acquistando un biglietto a zone e scorazzando una ventina di giorni in varie parti d'Europa.
In Danimarca a far visita a L, amico storico e indissolubile, a Berlino per passare un po' di tempo con G, compagno di liceo che dopo la maturità, per citare Manuel Fantoni, optò per il mare. Poi G venne con noi qualche giorno a Praga, dove ci salutammo.

Al tempo, L viveva ad Aarhus, seconda città della Danimarca. Aarhus è una ridente (diciamo) cittadina nella penisola dello Jutland, ammantata dal perenne odore di luppolo in lavorazione negli stabilimenti Ceres, mentre Kobenhavn (ribattezzata in seguito "l'antica Felsina"), è sulla Seeland, l'isola ad est dello Jutland di fronte ai paesi scandinavi.

Primo siparietto alla biglietteria di Roma Termini, qualche giorno prima della partenza. Io ero piegato a elle per parlare all'operatore dall'apposita finestrella.
"Salve, dovremmo andare ad Aarhus, in Danimarca".
In risposta ottengo un secco: "Scritto come?"
"Annamo bene", faccio fra me.
"A...a...sì, due a all'inizio...erre...acca...u...esse...Guardi, forse al posto delle due A potrebbe anche trovare una A sola con una specie di pallerchio sopra".
Il tizio interpella l'oracolo telematico...
"Dovete da passà pe Copenhagen".
E da lì a nuoto, stavo per dirgli... Ma presi la situazione in mano, e dettai le tratte con autorità derivata dall'aver fatto quasi lo stesso giro due anni prima. "Facciamo così: Roma Monaco, Monaco Amburgo, Amburgo Flensburg che è il confine, e Flensburg Aarhus".
Sul biglietto trovammo una botta di supplemento fra Monaco e Amburgo. A Monaco capimmo perchè. Tre minuti prima della partenza, sul binario si presenta una specie di astronave bianca e rossa, l'ICE. Il simpatico operatore ci aveva piazzato sull'alta velocità locale (in effetti pareva guidasse Schumacher, si stava costantemente sui 350). Per frenare ad Amburgo probabilmente avrà buttato l'ancora a Gottingen... E ovviamente tre ore di attesa ad Hamburg HBF, non il top.
Insomma dopo un bel totale di venti ore di viaggio da Roma, arriviamo ad Aarhus dove ci aspetta L. Passiamo qualche giorno con loro, poi decidiamo di fare una puntata a Kobenhavn perchè merita. Ma in alta stagione non è banalissimo trovare alloggi ben collegati con un rapporto qualità-prezzo accettabile. Ci aiutò la moglie di L, con gentilezza tutta danese, che fece tutte le prenotazioni necessarie, ivi incluso un ostello in un posticino a venti minuti di treno dal centro. Ishoj.
Esperienza a dir poco surreale. Per essere collegata bene lo era, nulla da dire. Ma l'ostello era praticamente un centro sportivo deserto in tutto e per tutto. Arriviamo e il custode, con l'aria di quello che si chiedeva "Ma questi come ci sono arrivati qui?" ci guida nella nostra stanza, praticamente l'intero spogliatoio di una squadra di calcio. Grosso come una palestra, con tanto di docce collettive dietro alla parete separatoria. Uno spogliatoio vero e proprio, appunto. Accostammo i due letti se non altro quasi per supporto reciproco, perchè non c'erano poi problemi di spazio. Ma il posto era completamente deserto, a parte noi e il custode che peraltro era sparito dopo averci lasciato la chiave della nostra suite.
Beh, una doccia, ci si cambia e si va verso la stazione per andare a Kobenhavn. Era ora di pranzo, e continuavamo a non incontrare anima viva, anche se quello che avevamo intorno aveva tutti i requisiti di decoro urbano delle città nordeuropee. Palazzi, strade, alberi, pulizia. Tutti cartelloni del luogo, le indicazioni stradali e i cartelloni pubblicitari erano dediti alla celebrazione del Bycenter, peraltro attaccato alla stazione. Il Bycenter era elogiato anche dall'unico volantino che avevamo su Ishoj. Il centro commerciale. Wow. C'è vita anche qui, allora. Scarpinando un po', arriviamo dove ci si aspettava di trovare rinchiusa l'intera città, a quel punto. Il nulla. Nulla di nulla. Negozi aperti, senza nessun cliente dentro, ogni tanto senza personale. Boh. Spazi ampi, un bel centro commerciale al coperto, pulitino. Ma vuoto, cavolo. Completamente vuoto. Unica nota del posto, dei piedoni adesivi enormi attaccati a terra che dovevano guidarti verso chissà quale meta. Come numero di scarpe siamo dalle parti di King Kong. Colore verde acido indimenticabile, sul linoleum neutro. Contenti loro. Torniamo da Kobenhavn col treno delle ventuno. Ovviamente fra il complesso Bycenter-stazione e il nostro ostello non incontriamo anima viva nemmeno stavolta. Non eravamo neppure intimoriti dall'ambiente, constatavamo allegramente che forse in un posto così anche un serial killer non si fida poi troppo la sera... Riposammo non proprio tranquillissimi. La mattina dopo prima di andarcene si rese necessaria una mezz'ora di peregrinazioni nel centro sportivo per trovare qualcuno a cui saldare il conto e non fare la solita stereotipata figura da italiani. Peraltro, nemmeno registrati come visitors al momento dell'arrivo.
Boh. Chiederei alla coniuge se è interessata a ripassarci, una volta o l'altra.

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