venerdì 28 giugno 2013

Ratatouille e i suoi derivati

Come molti prodotti Pixar, Ratatouille è un film veramente coi fiocchi. 
Godibilissimo, ad ogni età. Storia coerente nell'assurdo, plot sviluppato bene, caratterizzazioni sontuose, musiche all'altezza, animazioni e grafica di un altro livello. 
Bello. L'ho visto tante volte e quando ricapita in televisione lo guardo sempre volentieri. L'intreccio delle vite di Alfredo Linguini e del topolino Remy nella cucina del ristorante Gusteau è il nucleo di una bella storia.

Remy, protagonista di Ratatouille


Metto qualche punto fermo.
Se la glorificazione della vita tra i fornelli diventa oggetto di un film, di un bel film di animazione, non ho nulla in contrario. Quando però la gastronomia viene prima un po' sovraesposta, poi viene imposta nel vero senso della parola in tutti i tempi e i modi possibili dai media, il mio spirito di sopportazione comincia ad andare in sofferenza. Ovviamente non ho problemi se il tutto resta nel contesto di un canale tematico, ci mancherebbe altro. Mi posso tutelare semplicemente con il telecomando. Come esistono canali tematici per lo sport e la musica, ci può stare benissimo un analogo. Ma il debordare di rubriche e trasmissioni gastronomiche su ogni rete ad ogni ora in ogni salsa possibile e immaginabile comincia a denotare, alla fine, una pochezza di contenuti e una inadeguatezza a parlar d'altro abbastanza evidenti.

Mi spiego meglio: stante la presenza di talent show, canali tematici, trasmissioni anche consolidate nel tempo, la rubrica di cucina nel telegiornale cortesemente toglietela dalle balle. Invitare cuochi come opinionisti nelle trasmissioni salottiere è una specie di giustificazione ex post di un mio ventennale rifiuto per quel tipo di intrattenimento. Vissani che spiega come ha condito lo spaghetto per D'Alema non mi interessa un gran che. 

Attenzione perchè fare gastronomia di un certo livello è una sfida impegnativa e bellissima: sia come individuazione del tipo di servizio e di cliente che come organizzazione e integrazione dei processi produttivi. Far funzionare bene un ristorante è un lavoro serio e impegnativo, non è semplicemente il risultato dell'estro di un bravo cuoco. E questo tipo di sfida organizzativa è proprio intrigante. Mi gustai letteralmente un bellissimo parallelo del prof. David Blank Edelman fra la ristorazione e l'amministrazione di sistemi internet, dove skill informatiche e culinarie erano messe su tre livelli, quasi categorie esistenziali. Riporto solo la parte culinaria, per brevità: 
  • Il ristorante di fascia bassa, il fast food. Cibo massificato, menu essenziale e codificato. Il cliente ordina, il suo livello di soddisfazione è sintetizzabile con "Burp! Sono pieno."
  • Il ristorantino sfizioso. Cibo di un certo tipo, menu solitamente stagionale. Il cliente ordina ma accetta i suggerimenti e le proposte del cuoco. Il suo livello di soddisfazione si esprime con "Beh, qui ci torno"
  • Il guru. Il menu è pressochè imprevedibile. Il cliente non ordina. The guru already knows. Il cliente non può che concludere l'esperienza esclamando "Life is wonderful!"
Però l'inflazione di questa sorta di gastropornografia comincia decisamente a stufarmi. Ovviamente la nutrita casistica di queste trasmissioni porta alla ribalta un certo numero di casi umani. Devo segnalarne due, per motivi diametralmente opposti...

Ce vo' pazienza...
Gordon Ramsay alla fine mi starebbe anche simpatico. Viene solitamente sguinzagliato all'interno di topaie improponibili gestite da gruppi escatologici di opinionisti del colesterolo. Arriva lui, prima li insulta e poi si presenta, spacca tutto a testate ma ogni tanto ottiene drastici cambi di rotta e risultati incoraggianti (ammesso che non si tratti di fiction). Un buon equilibrio fra studio del proprio personaggio e professionalità vera e propria. Mi permetto velatamente di suggerire al focoso personaggio di evitare i famosi ristoranti da camionisti in Italia poichè, come da luogo comune, si mangia comunque bene. E soprattutto perchè, citando Er Libanese, tempo cinque minuti esce coi piedi davanti. Ho presente il ristorantino di Caprarola dove andavamo a festeggiare le tornate di esami universitari, ecco.

La seconda figura, proprio l'estremo opposto, non mi va nemmeno di nominarla. Poi dici che la televisione di stato va chiusa. Questa tizia qui, per meriti che non intravedo pur con tutta la buona volontà, da almeno un decennio funge da spalla nella solita trasmissione-riempitivo prima del telegiornale. Tra untumi e fritti vari, questa purtroppo parla pure. E fra il tono querulo e i contenuti di quello che dice, lascia due alternative nette: cambiare canale o farsi estrarre un dente da sveglio. E' proprio l'esempio più fulgido che l'Italia in effetti è veramente il paese delle opportunità. Tempo fa questa pretendeva pure di presentare un chiamiamolo libro nel mercatino nei dintorni di casa mia. Quindi passando di là l'unica alternativa era quella di accelerare proprio, non avendo a portata di mano nè il telecomando nè il dentista. C'era una terza via, ma essere citato il giorno dopo in cronaca nera in fondo in fondo non sarebbe stato il massimo.

Alla fine vale sempre il buon vecchio adagio "Una risata vi seppellirà".
Antonio Albanese che fa il sommelier merita!

E buon appetito :)



lunedì 13 maggio 2013

Analisi e sintesi "2.0"

Sto scrivendo di meno. Più cose da seguire, meno tempo per scrivere come dico io di quello che dico io. E una riflessione di fondo, quasi sistemica: che cosa vuol dire adesso scrivere e pubblicare contenuti in rete? Che senso può avere? A cosa può portare?

Fino ad ora, per scelte personali, mi sono divertito a scrivere di libri, film, football, aneddoti vissuti ma senza risvolti personali o intimistici. Del tutto fuori la vita privata. E poichè in questo blog ho la fortunata condizione di essere il capo di me stesso, non devo rispondere dei tempi e della continuità di produzione, non incorro nella paura di offendere nessuno (sia perchè anonimizzo, sia perchè molto spesso c'è da ridere, ma non da restarci male o offendersi).

Insomma uno sfogo senza troppe pretese. Ogni tanto trovo qualche commento di amici e mi fa piacere, o anche di sconosciuti, che mi fa piacere anche di più. La sintesi non è mai stata il mio forte, se voglio scrivere su argomenti complessi cerco di documentarmi prima su un certo numero di fonti fino a trovare una convergenza accettabile, provo a limare la forma per rendere il tutto più leggibile e quando sono sicuro, magari anche con la pazienza di qualche amico che si presta a una lettura preliminare, clicco su "pubblica" e non se ne parli più. Lo faccio per divertimento, per variare un po' il menù della quotidianità, per svegliare in me e in chi mi legge magari un ricordo divertente, una curiosità. No less no more, nessuna pretesa messianica nè tanto meno politica. Proprio non mi interessa discuterne in questo contesto.

Uno spazio per la discussione


In pratica ritengo di avere un mio modo di utilizzare il mezzo. Molto convenzionale, molto vanilla. Non ho la pretesa di partire da uno spazio bianco e di lasciare una traccia nella storia con un unico taglio alla Fontana, anche perchè non ho quel dono. Mi sto sforzando però di capire dove ultimamente sta andando questo tipo di mezzo, come si evolvono le modalità di fruizione, quali fini si prefigga chi lo usa in maniera estensiva. Nel tempo si sono affermate due modalità di utilizzo della comunicazione in rete un po' antitetiche. Ora, associare blogging e twitting a due categorie di pensiero nobili quali analisi e sintesi può apparire un po' forzato, ma secondo me qualche tratto comune può starci. Gestire e curare un blog, per quanto con la libertà di tempi e modi che vogliamo, è un esercizio articolato. Si cerca un taglio grafico, una impostazione della scrittura, anche un certo insieme di argomenti da cui tenersi lontani. Si ragiona. Si scrive, si legge, si rilegge. Magari qualcosa non torna, magari qualche argomento merita approfondimenti diversi. Il twitting no. E' una intramuscolo di caratteri che alla fine, più che informazioni, rischiano di essere metabolizzati come dati

Quello che mi sta facendo riflettere, al riguardo, è una specie di sopravvalutazione del mezzo. Ho sentito, purtroppo anche su argomenti drammaticamente seri e attuali, rispondere più e più volte con uno ieratico "ti mando un link". Mi è venuta una specie di paura di autoreferenzialità della rete, per più di un motivo: i meccanismi di gestione delle informazioni e di creazione del consenso che soggiacciono ad un mezzo così potente sono intuibili quando non evidenti. L'uccisione della dialettica nelle discussioni in rete mi terrorizza, proprio perchè è la negazione del concetto di agorà che la rete prometteva di essere. Ora mi pare diventato uno dei tanti luoghi in cui semplicemente ha ragione chi urla di più o chi ti sommerge di link, a prescindere dal fatto che i link diano effettivamente una risposta alle questioni che stai ponendo, a prescindere dall'autorevolezza della fonte: a farla facile, anche su internet una cialtronata resta tale. Un male interpretato senso dell'analisi e della sintesi poi ha fatto sì che la rete sia rapidamente diventata il regno delle frasi decontestualizzate. Il gioco della decontestualizzazione è troppo noto e troppo facile. Lo hai scritto, sta lì ben visibile, ti viene attaccato addosso. Che poi si tratti di una affermazione che pesata nel suo proprio contesto ha tutt'altro peso, tutt'altra specificità, tutt'altro significato è ovviamente marginale, no?

Vedo un personale riscontro a quanto ho scritto nella brutta svolta che sta prendendo la dialettica politica in questo paese. Dopo vent'anni di involuzioni, di finti dualismi e altre storie note, c'era finalmente la possibilità di dare una spinta diversa. Ho avuto un robusto interesse agli albori per le istanze presentate dal tizio genovese (scusate, non ce la faccio a definirlo comico: sono di Roma, questo significa che rido con Sordi, Proietti e Verdone. Discorso chiuso). Quando scrisse di Parmalat, di rinnovabili, di molti altri aspetti controversi ero decisamente ben disposto all'ascolto. Portava avanti cose palesemente sotto gli occhi di molti, ma nessuno aveva il coraggio nè la notorietà per fare avere la giusta risonanza a quei fatti. Quando da movimento di opinione si è mosso verso la politica ho cominciato a notare storture che non mi piacevano, da subito. Una di queste era l'autoreferenzialità dell'informazione in rete. Ho perso il conto delle volte in cui verità sacrosante sono sonoramente cadute sulle verifiche, o che la rete stessa ha riportato a galla palesi incongruenze o uscite pesantemente discutibili proprio dal punto di vista umano (due esempi facili facili: gli Inti Illimani e Rita Levi Montalcini). Un'altra era la totale, e sottolineo totale, assenza di dialettica e di confronto: le rare volte che ho parlato con persone che la pensavano come lui, ho avuto una bruttissima esperienza: se ero d'accordo non in maniera completa, totale ed acritica, ma diciamo anche in nove punti su dieci diventavo automaticamente parte del problema. Impossibile tentare di spiegare il perchè di una diversità di opinione, un motivo, un ragionamento. "Vai a leggerti questo, c'è un link che ti spiega davvero come stanno le cose". Fine della dialettica, della gestione di un proprio esercizio critico. E poi c'è il link, sta già bello lì. 

Una buona lettura sui danni che sta facendo l'accettazione acritica di tutto quello che si trova in rete è "Togliamo il disturbo", di Paola Mastrocola. Una insegnante di lettere.

Forse è meglio che mi rimetto a scrivere di football, quando mi va.


mercoledì 6 marzo 2013

Genialità califfa

Look inizio anni Ottanta
Se un Nobel per la letteratura è stato dato a Saramago e a Dario Fo, non capisco questo ostracismo verso Franco Califano. 

Ok, scherzo. Ma fino a un certo punto. Non per mettere sullo stesso piano creatività e contesti così differenti. Accostare letteratura, teatro e Califfo però non è del tutto fuori luogo. A voler banalizzare, Franco Califano (1938 and counting) ha narrato e raccontato a suo modo il proprio palcoscenico di vita, con una sensibilità personale spesso cinica e disillusa, ma a volte insospettata e insospettabile in un personaggio che il tempo ha chiuso dentro un clichet diventato quasi stantio.

Califano non è solo una conclamata icona del latin lover romano (anche se lo è solo d'adozione), vincente e un po' trucido (nel senso nobile). E' stato un autore molto apprezzato nel tempo, arrivando a scrivere testi anche per Mia Martini e Ornella Vanoni.

I miei primi ricordi ormai cominciano a essere un po' sbiaditi. In macchina con mio padre, quando mi portava al mare. L'autoradio, all'epoca, dovevi incollartela sempre: non c'era ancora il frontalino estraibile. E la musica era su cassetta, col rischio che se prendevi una buca per strada si inceppava tutto e quando la tiravi fuori era un profluvio di nastro e imprecazioni, magari. A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Mi risuona "gratta gratta gratta amico mio", andando proprio in profondità.

Ignorando le comparsate televisive, che non mi interessano, il mio viaggio verso il Califfo è cominciato grazie alla fantastica parodia di Latte e Derivati, che riuscirono a caratterizzare molto bene il personaggio.  
Me so' 'ngrifato è un capolavoro, quasi un tributo. Tant'è che nel tempo il Califfo si è prestato anche per qualche cameo col gruppo demenziale romano.

E poi è proseguito con Romanzo Criminale, la serie: secondo me il miglior lavoro televisivo degli ultimi dieci anni. Nel continuo mix tra finzione e realtà Califano è ovviamente un idolo per tutti i componenti della banda. Il Dandi sbracato nella vasca che canta Tutto il resto è noia a squarciagola, l'invito al matrimonio di Scrocchiazzeppi, con la presentazione fatta dal Libanese in persona.

Va detto che ci sono alcuni testi che meritano veramente. Esulando dalle canzoni da tombeur de femmes (ma Tutto il resto è noia è notevole), ci sono alcuni gioielli veri e propri. Testi da restare piegati in due per le risate come Avventura con il travestito e l'inarrivabile La vacanza di fine settimana, altri che stanno lì a stringerti la gola come Nun me portà a casa, dialogo tra un alcolizzato in crisi con se stesso e un amico con una vita normale. Sentirli declamati dalla voce del Califfo è fantastico, sia per la profondità che per l'impostazione del tono e l'uso del dialetto.

Avventura con il travestito e La Vacanza di fine settimana sono veramente due perle comiche. 

Nella prima, il latin lover infallibile viene miseramente ingannato dalle apparenze ("In faccia era più liscio della cera/che barba s'era fatto quella sera"), avvia il solito trionfale approccio fino all'atterrita constatazione della verità ("amo scherzato, dissi, pìa quer pacco/sennò je dò du carci e te lo stacco"), alla cruda consapevolezza del fallimento ("A Vincenzo, tu non sei un conquistatore, sei 'no stronzo"). Si può tranquillamente ascoltare anche da youtube, merita.

Il secondo brano narra le disavventure familiari di un onesto faticatore da cantiere ("Lavoro cinque giorni a settimana/me faccio 'n culo come 'na campana/ritorno il venerdì per riposare/ma tu sei pronta già pe annà a sciare"), impietosamente costretto dalla moglie a un fantozziano fine settimana in montagna. Il pover'uomo è sfatto dalla fatica e dagli imprevisti. 

Magistrale la sequenza del montaggio delle catene

"anzi - me dici - forse ci conviene,
fermarci per montare le catene!
Me fermo e le catene nun me sbajo,
so' sempre dietro all'urtimo bagajo.
Scarico, monto e poi rimetto dentro. 
Un giorno o l'artro, giuro che te sventro! "

E via di tragedia in tragedia, fino al dramma del rientro

"Sull'autostrada pare de sta a Monza
La gente fa la gara a chi è più stronza"

La conclusione è un inevitabile e sussurrato

"Pe' me 'sto viaggio è l'urtimo strapazzo,
tu e la montagna, m 'ate rotto ..."

Dove si rimane senza parole, a pensare ad una storia e a rispettare un autore è nel dialogo di "Nun me portà a casa". L'ubriaco depresso che si rende conto di una inadeguatezza quasi cosmica ("perchè so bene che la vita mia/serve a riempì du metri d'osteria"), si confida con un amico in maniera spietata, senza farsi sconti. Fino a rendersi conto che ha comunque qualcuno che tiene a lui, anche così com'è. E dall'autocommiserazione passa ad un minimo di orgoglio, di consapevolezza, perchè lui è bravo "a fare la spesa" e almeno rivendica un pezzettino di utilità, perchè per la sua famiglia così non è solo un peso. Da sentire e da rispettare. M'è piaciuta tantissimo.


Mi permetto di consigliare un approfondimento, più sui testi che non sul personaggio. Alcuni hanno veramente il loro perchè.






venerdì 2 novembre 2012

Il vedovo

 (sottotitolo: elogio del Marchese Stucchi)

Non ho la pretesa di conoscere a menadito tutta la filmografia di Alberto Sordi. Sarebbe impresa ardua e tutto sommato non sono tutti film imperdibili.

L'ultimo vero capolavoro è Il Marchese del Grillo, un precipitato di saggezza romana come pochi, con una resa magistrale. Quella parte non poteva non essere data ad altri e fu un successo notevole.

C'è un gruppetto di film datati che adoro rivedere di tanto in tanto. Sarà per la sensazione del bianco e nero, per la miniera di citazioni che hanno generato, per la forza della recitazione di un attore giovane ma maturo...
Insomma per chi volesse una intensiva di Albertone, mi sentirei di consigliare almeno
  • Un Americano a Roma (e ci mancherebbe)
  • Il vigile (definire spalla Vittorio de Sica fa un certo effetto)
  • Il Conte Max (vedi sopra per Vittorio de Sica...)
  • Arrivano i dollari ("...conte Dei Pasti. Dal momento che il titolo c'è perchè non usarlo!")
  • Il vedovo
... e poi appunto la fase più moderna. Non tantissimo, tutto molto soggettivo. M'è piaciuto Riusciranno i nostri eroi, onore delle armi per Un borghese piccolo piccolo (un po' pesante, onestamente) e applausi a scena aperta per sua eccellenza il Marchese Onofrio del Grillo, inarrivabile.

Il vedovo (1959) è un gioiellino. Trama coerente nell'assurdo. Un imprenditore megalomane e arrivista vuole togliersi di torno la moglie (una fantastica Franca Valeri) per mettere le mani sul suo patrimonio e continuare a salire nella scala sociale. Stereotipi dell'Italia all'inizi del boom. L'amante, i collaboratori, il modello inarrivabile (il mitico Carletto Fenoglio!).

Quei film si tenevano sia su un plot giusto che sulla bravura degli attori. Franca Valeri è perfetta nel ruolo della moglie ricca e cinica. Sordi è al meglio, ci sono scene che resto lì a rimirare, a gustarmi il particolare. La scena della catastrofe ferroviaria è immortale. "Dove è andata la mia stellina bella e buona?"... 

Il film è godibilissimo e ha ritmo e battute. Si trova tranquillamente su youtube.
Resto deliziato dalla qualità degli attori. Sordi e Franca Valeri ovviamente avevano già un nome consolidato. I caratteristi, i cosiddetti generici aggiungono ancora qualcosa al film. Nando Bruno ("Io sono il zio del vedovo"), ma soprattutto un fantastico Livio Lorenzon, nei panni dell'improbabile Marchese Stucchi, merita un deciso elogio del gregario

"Giacca da caccia..."

Il Marchese Stucchi è l'aitante tuttofare della Nardi Ascensori. Nobile decaduto, già comandante in guerra del commendator Nardi. Si abbiglia come blasone comanda, presentandosi in ufficio con la leggendaria giacca da caccia con inserti in cuoio. Parla come gentiluomo d'altri tempi, usando espressioni fantastiche come "bella cera" o "senza fallo", con un italiano privo di inflessioni calato su una bella voce baritonale. Complice obbligato nelle sgangherate idee omicide di Nardi, che lo maltratta oltremodo, mandandolo a comperare effetti cambiari e sigarette, fino a farlo prorompere in un sostenuto "Si ricordi che ho anche io una dignità". Personaggio mai in difficoltà, nè in casa della ruspante amante di Sordi, nè al cospetto del grande Fenoglio. Resta involontaria vittima di un piccolo disguido operativo al momento culminante del film, quando trovandosi costretto ad operare al buio incorre in uno scambio di persona, che racconterà lui stesso durante le esequie del povero Nardi

"...quando ho sentito la voce del povero commendatore che diceva 'Ma che fa Marchese, spinge?' era ormai troppo tardi..."



martedì 9 ottobre 2012

Touch Football

Per evangelizzare le masse al giuoco della palla-lunga-un-piede, esistono utili varianti dello stesso che permettono di mantenerne i tratti essenziali senza la necessità del contatto fisico fra i giocatori.
Non sono dei surrogati, sono delle variazioni spesso anche usate dalle squadre vere per raffinare schemi e automatismi, cercando di minimizzare traumi e infortuni.

I due flavour più noti sono il touch e il flag.
Nel primo un giocatore con la palla in mano si intende placcato quando l'avversario riesce a toccarlo con una o due mani, ci si accorda prima. Più fedele alla realtà è il secondo, in cui il placcaggio si realizza togliendo all'avversario una flag fissata in vita con un velcro. Tutti e due servono per far apprezzare i rudimenti del gioco senza passare per Ray Lewis, a farla facile.

Da giovine, nel periodo iniziale dell'università, ero allegro partecipe delle imprese di un gruppo di debosciati  conosciuti in vacanza aperti a qualsiasi esperienza: uscite, vacanze, zingarate di ogni tipo... Nottate passate sul Risiko filosofando su tutto, improbabili trasferte irpine, goliardate varie ed eventuali.

Una parte del corredo del gruppo era costituita, per motivi lunghi da spiegare, dal pallone da football...
Per un fortunato incastro, infatti, non ero l'unico che si dilettasse con l'insidioso passatempo. Avevo la fortuna di avere la presenza di A, ufficialmente linebacker ma secondo me tight end inespresso. E vista la mole di risate che spostavamo ogni volta, ogni tanto ci stava pure che si riuscissero a coinvolgere gli altri in qualche oretta passata a lanciare in un parco.

Una domenica estiva, ci si trova ad essere in una decina di persone, fra noi e aggregati. In quel di Villa Pamphilj, leggiadro polmone verde nella capitale. Come da planimetria ufficiale presa da sito uebbe, quel parco stupendo ha anche un piccolo lago con un corso d'acqua di poche centinaia di metri che attraversa una parte della villa. Una freccia gialla messa sulla cartina può aiutare a orientarsi per il dopo.

Villa Doria Pamphilj, Planimetria con freccia gialla.


Per coincidenza, quella mattina eravamo sprovvisti di pallone isferico, ma non di pallone da football, vedi i casi della vita. Proponiamo un 5 vs 5 a touch. Per tenere la cosa alla portata di tutti, si fa solo coi lanci, e con traiettorie dei ricevitori elementari: elle interna, elle esterna, hook, post, fly. Giusto per.

Uno dei primus inter pares quel giorno per contorti motivi suoi aveva una calzatura che i meno attenti potrebbero definire non adatta all'attività sportiva. Basti la foto sotto...

Ho visto cose che voi umani...
Va detto che, da calciatore di serie imprecisatamente minori, aveva un cambio di passo che vicino a noi pareva Bolt. Ma Bolt andrebbe dritto, soprattutto con quel tipo di calzatura. Giocando a football ci sta che ogni tanto devi cambiare direzione, tagliare, frenare...

La partita procede accaldata. L'unico pezzo da highlights fino a quel momento era una buona ricezione di C, che stava per fare un frontale con il sottoscritto (a cui deve almeno una ventina di chili di differenza...). Riesco a inchiodare per tempo (non avevo quel tipo di scarpe, ovvio), ad alzarlo da terra e a dargli un bacio in fronte. Tuttora lui dice ai suoi figli che loro esistono perchè io quel giorno riuscii a frenare...

Arriva poi il mio turno in attacco. Una buona serie offensiva, e arriviamo vicino all'area di meta degli avversari, situata nelle vicinanze della freccia gialla. Il climax sale, dobbiamo rimontare. Chiamo i miei schemi, e il mio ricevitore stivalomunito mi fa notare che in coincidenza della sua traiettoria c'è il fiumiciattolo. Cambio al volo lo schema, dicendogli "Non fare dieci passi, fanne sette". Continua a guardarmi perplesso, ma da un certo momento in poi la chiamata del quarterback è cassazione. Ci si perdono le partite per errori di miscommunication, che diamine. Mi guarda, prima della partenza, con aria perplessa. Con fare da veterano navigato, lo conforto pur lasciandolo nel dubbio.

L'azione parte. Al momento del taglio, come mi aspettavo, lascia sul posto il suo marcatore. Lo vedo che si libera, ma qualcosa non torna. Avevo detto sette, non dieci passi. In un eterno slow motion, si vede il mio lancio (calibrato col contagiri per esattamente sette passi) che cade ingloriosamente a terra, si percepisce uno  strano rumorino di sciabordio coperto da un "MAPPORC...." e un inequivocabile splash nelle acque non proprio cristalline del rivoletto...

Tutti quanti distesi a terra in lacrime, tranne il sottoscritto che, tassonomico fino in fondo, voleva spiegare che il lancio era al posto giusto... Ma non feci in tempo. Vedere il mio amico letteralmente nella merda fino alle ginocchia che mi guarda e dice "Stronzo! Hai visto che c'avevo ragione io?" è stato troppo.

Lesson learned: anche il touch football non è completamente privo di rischi...


martedì 2 ottobre 2012

Manzo criminale

Radio24 è ormai una fonte inesauribile di spunti di riflessione. Da un po' di tempo ho fatto caso a uno spottino, garbato nella sua impresentabilità, che decanta un portale tematico costruito con denaro pubblico in Lombardia per mettere in evidenza ai (due?) internauti che vogliano avventurarsi quali iniziative siano in programma: degustazioni, mostre e quant'altro, dove e quando. 
Nulla di sbagliato nè di scandaloso, ma nulla che non possa trovare ospitalità in una apposita sezione di un portale istituzionale già esistente. Non mi avventuro in considerazioni di marketing, ma accostare un settore con un tipo di specificità quale l'agricoltura con una modalità di fruizione quale il web è almeno avventuroso. Può starci che sia un portale specialistico, ma non lo è. 

Il suddetto portale è stato poi menzionato durante Focus Economia dal bravissimo Sebastiano Barisoni, che andava elencando, mentre masticava una compressa di antiacido, le tante spese delle regioni che in un periodo impegnativo come questo faticano a trovare giustificazioni sensate. 
Appunto, parlando delle spese della regione lombarda, Barisoni tuonava giustamente contro voci assurde, come una campagna per un corso di make up (make up, regione Lombardia... una mezza idea di chi può averlo proposto uno ce la può anche avere...). Giganteggiavano i 75mila euro messi a budget per un prototipo di dispositivo per avvistamento scoiattoli, prova evidente che L'Era Glaciale non è stato ignorato al Pirellone.

E questo portalino agreste, che cubava qualche decina di migliaia di euro.

Vabbè. Il fatto che possa essere discutibile veicolare quelle iniziative in rete magari è solo una idea mia. Non mi voglio avventurare a discettare su come viene speso denaro pubblico, giusto per rispetto a Batman che proprio da oggi per un po' di tempo vedrà il sole a quadretti...

E' che mi chiedo...
O intrepido committente, ma come ti viene in mente di chiamare un portale

vuvuvupuntolafacciagiovanedellagricolturalombardapuntoit  ?

E' tautologico che chi si rapporta in questo modo con la comunicazione via web non sa di cosa sta parlando. Se vuoi far passare un concetto, massimamente se vuoi farlo in rete, ti serve immediatezza. 
Immediatezza: non

soggetto-con-attributo-più-complemento-di-specificazione-con-attributo.

Ci mancava solo "lapuoitrovareinquestobelsito", ma non potendo mettere la spaziatura nella url, il lemma finale "belsito" magari in Lombardia un po' stonava. Avranno pure valutato di portare in giudizio organismi quali Icann o Ripe per l'impossibilità di inserire l'apostrofo?

Ma poi questo odio pervicace nei confronti del gestore del DNS. Perchè? Ma se un malcapitato avesse la necessità di fare un whois a riga di comando? 

Per non citare l'aver voluto pertinacemente mettere a rischio la salute dello speaker dello spottino radiofonico, che per dire tutto in un fiato

vuvuvupuntolafacciagiovanedellagricolturalombardapuntoit

(benedetto copiaincolla nei secoli) i suoi rischi li ha corsi. Certo, ti salvano i motori di ricerca, l'autocompletamento del browser, ma in effetti il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e la comunicazione in rete è questo. Insensato, inefficace, inutile.

Non per sindacare su poche decine di migliaia di euro per un portalino insignificante. Ma per questo i soldi ci sono, per gli insegnanti di sostegno no. Per coerenza, mi permetto sempre di ricordare che la vita quotidiana ci mette davanti al fatto che il paese reale non è diverso da chi lo governa, non mi stanco di dirlo.

Identità di politiche regionali fra Lombardia e Lazio...





martedì 11 settembre 2012

In loving memory

Oggi mi andava di scrivere qualcosa di sensato sulla mia vacanza altoatesina, sulle cose stupende che ho avuto modo di vedere, sul verde violento e perfetto degli alberi sopra le montagne. Insomma mi andava di riprendere in mano il blog, perchè è da tanto che non scrivo e stavo facendo la punta a due o tre argomenti sfiziosi.
Oggi no.

Ormai le notizie viaggiano per più canali, si sa. Da un post su Facebook a metà mattinata ho letto che Francesca Bonfanti si è tolta la vita. Oggi, suo compleanno. Nelle prime ore della notte.

Per far capire fuori dal raccordo chi fosse Francesca Bonfanti non ho paragoni da usare. Boh. Forse è un po' come Totti, per parlare di tipi romani: è un problema di chi non ce l'ha. Per paradosso, i suoi colleghi conduttori di radio la stanno ricordando in questo momento, alternando lacrime a risate sguaiate per quello che questa ragazza negli anni ha saputo combinare in radio.

Colta, intelligente, sensibile, gentile, pungente. Sempre allegra. A volte in mezzo al traffico scoppiavo a ridere da solo come un pazzo ascoltando quello che era in grado di fare. Qualche apparizione televisiva, ma non era quello il suo lavoro. Era una assoluta protagonista radiofonica. Spaziava dai modi da compagna di banco (quella che ti prendeva in giro sempre e comunque) alla professionista irreprensibile. 

Francesca Bonfanti (1971-oggi)

La sua trasmissione capolavoro era la leggendaria State bene così.
Definirla come l'equivalente radiofonico di Blob rende un po' l'idea, anche se non aveva le pretese di informare e far riflettere di Blob. Ma era un concentrato di risate a tutto tondo, una presa in giro completa e costante di quello che gira nell'etere romano. Dallo sfottò assoluto alle sgrammaticature dei capi ultras che fanno radio (che ovviamente non le hanno risparmiato offese, minacce e carinerie varie: non sono tutti spiritosi come lei), alla sua personale infatuazione per la leggendaria Robertina di Radio Maria, una baciapile via etere di una cattiveria umana terrificante. Francesca la massacrava ogni tre sillabe.

E vogliamo parlare di quello che poteva fare su Richard Benson? Lei parlava in trasmissione e a tradimento partiva lo stacchetto con l'urlo "I NANIIIIIIII!!!". E io lì a ridere alle lacrime in macchina, con la gente che ti guarda con aria compassionevole. 

Ebbi modo una volta di mandarle una riga tramite Fb sulla sua pagina e mi rispose gentilmente e con la solita verve in pochi minuti. Debordante, deliziosa, caustica, mai cattiva o supponente. Un modo intelligente di farci ridere.
Non sarà facile fare a meno di lei. Chi ci fa ridere non dovrebbe andarsene mai.

No, no e ancora no.