venerdì 16 aprile 2010

Who needs enemies... /1

In adolescenza non è che fossi propriamente uno stinco di santo. Raccontandola a tinte tenui, se c'era da farsi qualche sana risata anche alle spalle di qualcuno, anche in modo tutt'altro che politically correct, non mi tiravo indietro praticamente mai. Potessi riavvolgere il nastro, non posso garantire nemmeno che mi comporterei in maniera diversa, intanto perchè nel tempo sono diventato fior di bravo ragazzo, poi perchè se c'è da ridere, scherzare, far casino in modo quasi professionale mi riesce davvero difficile astenermi.


Dopo la doverosa premessa... durante il periodo del liceo uno dei compagni, anzi proprio amici, con cui passavo più tempo era letteralmente un dono per uno come me, alla luce di quanto premesso. Bonario, pure troppo. Paziente, pure troppo. A volte ci stava a lasciarsi mettere in mezzo, a volte si metteva proprio in mezzo da solo, con una comicità involontaria che sfociava in episodi dove di solito, alla fine, era lui l'unico che non rideva...


Nella beata sfrontatezza adolescenziale, il modo che utilizzavo per rimetterlo in pista, diciamo così, era il proverbiale pizzone. Dicesi pizzone l'imprimatur di tutto il complesso "palmo della mano più cinque dita" sulla faccia altrui. Il primo di questi mi partì durante una partitella in un parco. Prendemmo un gol che onestamente non si poteva evitare, lui portiere io libero vecchio stampo... Mi guardò ridendo commentando "Beh, erano in tre, che potevamo fare, cantargli una messa?". Non so cosa mi sia accaduto, ma la mano destra agì decorrelata da quella cosa che all'epoca poteva definirsi un cervello solo per convenzioni anatomiche, e andò a depositarsi fragorosamente in faccia al malcapitato, che continuò a ridere! Vediamola col tono di "la sventurata rispose", che segnò il destino della Monaca di Monza.


Da quel momento, il simpatico rituale del parcheggio delle cinque dita in faccia divenne una sorta di campanello semantico, un cordiale warning per comunicare che in quel momento non mi trovavo d'accordo. A capirsi, non è che gli facessi male, ma garantisco che non si trattava di carezze (tanto il tutto è abbondantemente prescritto...).


Arriviamo all'anno della maturità. Consueta autogestione fra gennaio e febbraio. In una mattinata in cui l'unica nota degna furono i fischi ad Antonello Venditti che in sostanza era venuto da noi a farsi pubblicità, visto che la pioggia sconsigliava le solite ordalie calcistiche, si optava per la briscola. Due contro due. Lui in coppia con me. Mano decisiva e dovevamo rimontare. La briscola è bastoni. L'avversario di mano esce pesante, con un asso. Io avevo due possibilità, o dargli sopra altri punti o ucciderlo malamente col tre di briscola. Chiedo "Come stai messo?". Lui, sicumerico "C'ho tre carichi!". Io impreco silenziosamente perchè non si danno quelle info così. Ma tant'è, calo il tre. Il terzo ovviamente liscia. Lui no. Aveva tre carichi, non poteva lisciare. Aveva tre carichi. Mi uccide il tre di briscola con l'asso! Nella stessa frazione di secondo l'amico alla mia destra percepisce come uno spostamento d'aria, una specie di fischio, seguito da un rumore quasi ai limiti della barriera del suono. Quella volta le cinque dita restarono tatuate per un po'...
Adesso capisco che non tutti potranno essere d'accordo, ma se uno t'ammazza il tre di briscola con l'asso in una mano decisiva, ci sta che ti incazzi un attimo? :)

1 commento:

  1. praticamente lui era il tuo Bombolo e tu il suo Monnezza.

    poi c'era un'altra cosa che ti dovevo dire...
    ah si:

    ROTFL!

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