martedì 30 marzo 2010

No brainer



Chi ha dovuto scegliere l'attore per la parte di Pablo Neruda nel film Il Postino non deve aver fatto 'sta faticata :)

Eroi controvoglia

In qualche momento della nostra vita, volenti o nolenti, dobbiamo fermarci a riflettere davanti ad una edizione straordinaria di un notiziario.
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta saltavano in aria in un tratto d'autostrada imbottito di tritolo per l'occasione. Quasi due mesi dopo, Paolo Borsellino ed altri innocenti.

Nella mia memoria questo è uno dei periodi scolpiti in modo indelebile, come pure il sequestro di Aldo Moro. Storie che definiscono un paese, volendo essere duri. Forse sono i fatti più gravi e di maggiore impatto nella vita della repubblica italiana nel dopoguerra.

Figure quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono esempi suggestivi di eroi loro malgrado.

Uomini veri, svincolati da logiche di potere e di partito. Persone intelligenti e oneste, che credevano in quello che facevano, che non hanno mai nascosto umanità e debolezze. Loro vivi, tentarono ogni bassezza per screditarli, per farli passare da protagonisti o peggio da carrieristi, anche con l'improvvido aiuto di una bella mente come Sciascia, schierata purtroppo dalla parte sbagliata.

Falcone e Borsellino sono stati la punta di quell'iceberg che va conosciuto in profondità, per capire che molto spesso le opportunità che abbiamo dipendono anche da dove siamo nati, e che questo non è giusto. La lotta alla mafia, nel tempo, è stata condotta da semplici cittadini che hanno accettato l'esclusione da un dato tessuto sociale per testimoniare contro un omicidio, da agenti di polizia che hanno perduto la vita in servizio di scorta per una miseria, da singoli poliziotti, penso a Beppe Montana e a Ninni Cassarà, che hanno accettato l'innalzamento del livello dello scontro e hanno pagato con la vita, di persone perbene all'apice di una carriera, come Carlo Alberto dalla Chiesa, che invece di godersi la pensione decise ancora una volta che aveva un dovere da compiere e venne trucidato tre mesi dopo avere assunto la carica di prefetto di Palermo, di onesti imprenditori come Libero Grassi che pagò con la vita la denuncia ad alta voce e la disubbidienza alle estorsioni, e di tanti giudici e magistrati, appunto come Falcone e Borsellino, come Rocco Chinnici, come Gaetano Costa, Rosario Livatino, Cesare Terranova e via in un lungo elenco di nomi, quasi asciutta contabilità.
Pochi politici onesti quali Pio La Torre e Piersanti Mattarella, in un panorama in cui connivenze, complicità, cointeressenze, contiguità erano semplici strumenti di mantenimento di un potere parafeudale. In una lotta senza esclusione di colpi fra ideali e potere i politici sono sempre dalla parte del potere. Sempre.

Quando nel 2008 vidi un servizio di telegiornale sui quindici anni dalla strage di Capaci notai che il cronista sbagliò il nome di uno degli agenti della scorta e riportò male la citazione di una frase di Giovanni Falcone. Si chiama normalizzazione, ed è una metastasi lenta che tende a cancellare le pulsioni più belle che abbiamo. Cerchiamo di non farci normalizzare mai, perchè in quel momento saremo meno di quello che abbiamo diritto di essere, cose che non hanno più la loro individualità. Forse in quel momento ci vergogneremo di vestrici diversamente dagli altri, o di far notare il nostro pensiero quando non la pensiamo come chi è più potente di noi.



"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande"
(Giovanni Falcone)

lunedì 29 marzo 2010

Lettura veloce

Ho seguito un corso di lettura veloce. Da sinistra a destra, da destra a sinistra, in verticale e in obliquo. Ho letto Guerra e Pace in quindici minuti. Parla della Russia.


Woody Allen

venerdì 26 marzo 2010

Modellini

Uno dei miei hobby adolescenziali preferiti era il modellismo. Vista l'ambiguità del termine e la possibilità di generare solenni guerre di religione, mi spingo fino alla dizione corretta di aeromodellismo statico in plastica.

Qualche divagazione sul genere automodellismo in metallo pressofuso, ed una consulenza esperta in famiglia per la costruzione di un modello di portaerei, che però non mi intrigava oltre misura. Non disponendo di un laghetto privato o di un capannone industriale, la scala del modello condannava ad una totale mancanza di particolari sulle parti piccole. Mi limitai a lavorare di scotch e vernice sulla water line esterna della USS Enterprise ma quasi con nonchalance. Come piccola aggiunta avevo perfezionato una specie di scia per i Lockheed in decollo, con un filo di ferro sottilissimo contornato da un po' di ovatta. L'effetto d'insieme, oltre ad essere ributtante motu proprio, snaturava l'idea di modello statico che mi interessava.

All'inizio feci pratica con modelli semplici, in generale in scala piccola 1/72, marche economiche quali Airfix o Italeri, velivoli della seconda guerra mondiale. Un Hellcat, un Henkel HE 111, uno Zero. Più che i modelli in quanto tali, in quella fase era simpatica l'evoluzione della mia piccola cassetta degli attrezzi. Prima una scatolotta di cartone per le scarpe, ma rischiavo che si versassero vernici e solventi, che la colla mi facesse scherzi con il pennello, che il coltellino per incidere sperdesse le lame in giro. Quindi passai alla classica cassetta per gli attrezzi, sebbene piccolina. In un vano le vernici ad olio, in fase di paranoia le lucide in uno scomparto le opache in un altro perchè l'effetto "nero lucente da discoteca" sugli pneumatici di un caccia giapponese non era il top. Qui taglierini e lamette, qui materiale riciclabile, tutto quadrava. Quando la mia tecnica divenne passabile, iniziai a costruire aerei in scala più grande 1/48. Un buon 80% della mia paghetta di quindici-sedicenne era devoluta alla Monogram, rapporto qualità-prezzo eccellente, con punte deliranti verso i modelli Hasegawa, la Ferrari del modellismo statico (vedere il Tomcat in figura).

Ma restava un che di artificiale nel prodotto finito. Buona tecnica, buona cura, ma tutto un po' stereotipato.

Finchè non mi regalarono un bel libro, dove imparai due dritte fondamentali. La prima: investire sul pennello! Non serve una parure di pennellini di tutte le misure. Serve un pennello buono, un pennello di martora numero 3. Feci un mutuo, praticamente... Teneva un quantitativo di vernice sufficiente a non dover intingere nel barattolino ogni tre pennellate, e poteva essere sagomato a punta anche per i particolari piccolini, i dettagli della tuta del pilota. La seconda: la patina di invecchiamento. Un caccia della seconda guerra mondiale perde se sembra appena uscito dalla fabbrica. Allora mischiare in varie parti latte e fiele di bue, un preparato esoterico in vendita presso negozi per disegnatori e pittori ben intenzionati... Avendo già intaccato le finanze per il pennello optai per un surrogato proletario ottenibile con tempera color seppia, latte e un po' di solvente per le vernicette. Risultati passabili.

Poi acquistavo riviste di aeronautica e di modellismo, per vedere come era fatto un circuito frenante, rifarlo con stucco e plastica fusa (argh!!!). Poi la ricostruzione storica. A Roma c'erano due negozi dove era possibile acquistare fogli di decalcomanie di aerei storici (l'Enola Gay, a capirsi). Quando cambiai casa, purtroppo, fu necessaria una sanguinosa selezione dei modellini da salvare, causa riduzione di spazio. Quattro in tutto, due anonimi ma tecnicamente ben costruiti, l'Enola Gay che subì un trauma mortale durante il trasloco, e un caccia Phantom F4 che rappresentava la sintesi di tutte le cose che sapevo fare. Era invecchiato a dovere, avevo staccato le coperture dei freni di coda, ricavato tubi e tubicini dell'impianto lavorando di stucco, il pilota era perfetto, con tanto di bordatura della visiera del casco in silverblack.
Era.
Ma sfiga e un cuginetto piccolo curioso ci misero lo zampino. Fine della storia. Non combinai più nulla, per tanti motivi. Ma chissà...

giovedì 25 marzo 2010

Talk Radio

Il 5 ottobre 2009 ci ha lasciato Gianni Elsner.

La sua notorietà era limitata semplicemente al mondo delle radio private di Roma, ma non reputo sbagliato spendere due parole per un vero e proprio pioniere di un certo modo di fare radio, almeno per ringraziarlo per la compagnia che mi ha fatto nelle pause di studio, nelle code in mezzo al traffico.

Gianni Elsner (nato a Merano nel 1940) aveva un background di attore teatrale (accademia d'arte drammatica). Da giovane, come si dice in questi casi per "sbarcare il lunario", arrivò a Roma dove venne investito da una malsana passione per la città e, purtroppo per lui, per la Lazio.

Attore teatrale di medio successo, quindi in un mondo di media incolti e massificati rischiava di restare un signor nessuno. Particine con Gino Cervi in Maigret, non molto altro. Ma inventò un modo nuovo di fare radio (inizio anni 70) . Faceva ogni giorno 4 ore di diretta da casa sua, e oltre alla sua passione sportiva, faceva passare messaggi diversi, tante battaglie anche del tutto personali in favore e protezione delle differenze.

All'inizio degli anni ottanta parlamentare con i radicali, scelse di devolvere l'intero stipendio ad una casa di riposo per artisti. Escluso dal partito perchè non versava il suo obolo nelle casse interne, finì la legislatura da indipendente, e tornò a fare solo radio. Il suo modo di fare radio, però, non era eguagliabile da nessuno.

Si batteva per pubblicizzare piccole compagnie teatrali con lavori innovativi, cercando di fare avere biglietti a prezzi "sociali" per gli ascoltatori, ma riempendo i teatri. I suoi ospiti, che riceveva nella sua casa studio, erano in linea con un modo di fare radio "diverso". Le sue letture da "Il sole dei morenti", Pamela Villoresi che recitava "A Silvia" , Roberto Benigni dopo l'Oscar (stiamo parlando di una radio locale a mezzogiorno, non della tv in prime time) Sabrina Ferilli, Gigi Proietti, giocatori di Roma e Lazio, registi, cantanti, attori, scrittori, politici, varia umanità con qualcosa da dire.

Tanti impegni umanitari, quello più bello è una raccolta fondi che va avanti da circa 15 anni che permetterà a più di 1300 bimbi del Paraguay di avere un cursus studiorum garantito. Una sua battaglia personale verso i familiari di Giorgio Bassani (cfr Il Giardino dei Finzi Contini) che negli ultimi anni lo avevano fatto interdire. Tanta compagnia alle persone anziane, bellissima cura per il linguaggio (adoravo quando buttava giù il telefono a chi diceva "attimino" o massacrava chi sbagliava la consecutio), insomma una persona che non era facile chiudere all'interno di qualsivoglia schema.

Una persona buona, con il dono di una voce da vero attore teatrale, calda e magnetica anche quando impostata. E proprio un male incurabile alle corde vocali, brutto scherzo, lo ha consumato. Andato in onda quasi fino alla fine, ma aveva bisogno di pause sempre più lunghe in trasmissione. Ma era sempre lui, vero, viscerale, burbero, ma con un cuore enorme e un approccio "open minded" non da poco.

Una persona perbene. Mancherà.

Qualcosina in rete

http://www.giannielsner.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Elsner

mercoledì 24 marzo 2010

Mardi Gras


New Orleans non è una zona florida dal punto di vista economico. Economia "a stento", turismo stagionale, un po' di storia del jazz, e Bourbon Street. L'uragano Katrina ci mise del suo, e la zona divenne "depressa" secondo tutte le accezioni del termine. Sportivamente, i New Orleans Saints sono sempre stati il resto di nulla, nonostante negli anni ottanta schierassero il grandissimo Archie Manning, papà di Peyton e Eli. Peyton Manning gioca con i Colts, è nettamente il miglior quarterback di questa generazione, Eli Manning gioca con i Giants, un bel talento anche lui, un po' più raw. Vabbè, dato crudo: i due fratellini Manning da soli hanno contratti garantiti con un numero di zeri enorme...

I tifosi dei Saints si riconoscevano storicamente perchè andavano allo stadio con le buste di cartone della spesa calate in testa per la vergogna. Nel 2005 Drew Brees venne "cordializzato" dai San Diego Chargers per problemi alla spalla destra, quella che lancia. I Miami Dolphins non se la sentirono di rischiare (porca miseria!!!!) e i Saints in sostanza lo presero su per un tozzo di pane (insomma, non proprio).

Brees è un atipico. Non è un colosso, è un semplice 1.78 per 85 chili. Da ragazzo, in Texas, quando era una promessa del tennis batteva con discreta regolarità Andy Roddick.

Brees è una persona per bene. Nel post Katrina iniziò subito a darsi da fare, come pure la famiglia Manning: ha organizzato raccolte di fondi, attività per togliere i giovani dalla strada sia con il football che con altre cose, insomma un bell'esempio di "giving back to the community". Quando ero ricoverato e persi il mio viaggio a Londra per vedere Saints-Chargers, mi raccontarono che nel dopo partita si fermò a farsi le foto praticamente con tutti (anche con i miei amici), e a fare autografi. E una partita di football non è rilassante. Insomma, una bella persona. A New Orleans, a prescindere dall'esito del Superbowl, hanno iniziato a festeggiare da una settimana prima della partita. Pensate cosa è successo alla fine, dopo la vittoria. "Buddy Brees", miglior giocatore dell'incontro, è ovviamente stato nominato "King Bacchus" del Mardi Gras di New Orleans.

Tutto il precedente sproloquio risponde alla eventuale domanda "Chi è quel tizio vestito di nero e oro?"

Here's to you, Nicola and Bart


Il 23 agosto 1927 lo stato del Massachussets metteva a morte due italiani, anarchici e immigrati, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

In quel periodo storico la coesistenza degli status di italiani, anarchici e immigrati era sufficiente per trascurare il dato di fatto che i due erano innocenti, non avevano commesso il duplice omicidio per cui vennero giustiziati.

Il processo si protrasse per sette anni, fra subornazioni di testimoni, intimidazioni, atteggiamenti apertamente razzisti del pubblico ministero Katzmann e del giudice Thayer.

Negli anni venti una congiuntura economica difficile determinò un livello di insicurezza nel paese che si riflesse in una fase di durezza, di vera e propria intolleranza verso alcune ideologie o di atteggiamenti (per definizione, l'anarchia non è una ideologia...) Il ritratto dell'american way che esce fuori da quella vicenda non è onorevole. Va dato atto che nel 1977 il governatore del Massachussetts Michael Dukakis chiese pubblicamente scusa ai familiari dei due condannati, ammettendo la loro innocenza. Per me il nocciolo della questione è proprio questo: non l'uccisione di due anarchici, ma di due innocenti, che divennero un simbolo loro malgrado.

Nicola Sacco era un ciabattino pugliese, che agevolmente immaginiamo nel limbo di Ellis Island appena sceso dal traghetto, a cercare con lo sguardo "Lady Liberty", la statua della libertà, con la moglie e le loro cose nelle scatole di cartone legate con lo spago. Gira gli States, ma non fa fortuna come sperava. Le sue frequentazioni sono quelle, anarchici e immigrati.

Bartolomeo "Trumlin" Vanzetti era piemontese. In fabbrica a tredici anni, non è l'humus migliore per affezionarsi al sistema. In America vive a Plymouth, stanziale, presso una famiglia di italiani: "Ho un carretto, vendo il pesce". Anche lui non ha modo di ambientarsi bene nel paese delle opportunità e incontra Sacco proprio per le medesime frequentazioni: nessuno di loro rinnegò mai la propria matrice anarchica, e il proprio disaccordo col sistema. Da qui a commettere un duplice omicidio a scopo di rapina ce ne passa. Ambedue ebbero modo di conoscere Andrea Salsedo, altro immigrato anarchico volato dal trentesimo piano di un grattacielo, dalle finestre dell'ufficio di polizia di New York.

Ad esser diretti, un esempio di italiano ben integrato nel tessuto civile americano dell'epoca era Al Capone. Arrestati in una delle numerose "retate" che andavano di moda, caddero in qualche contraddizione nel giustificare il possesso di un'arma. Con l'omofobia che permeava il contesto, questo era più che sufficiente per formulare l'accusa di omicidio di primo grado a carico dei due.

Il processo si svolse in due fasi. Inizialmente il difensore Moore (un leftwinger dichiarato) fece l'errore di trasportare la disputa sul livello politico, semplificando il compito all'accusa, pur in buona fede. A nulla valsero le numerose testimonianze a discarico, a fronte di tre o quattro testimoni ben istruiti dal procuratore distrettuale Katzmann.
Dopo la sentenza di primo grado un famoso e stimatissimo legale di Boston, l'avvocato Thompson, entrò in contatto con il comitato di difesa formatosi, e lottò per far riaprire il processo forse con la strategia più sensata che si poteva utilizzare (velata osservazione: che si poteva utilizzare da subito): Thompson accantonò integralmente tutto quanto collegato a politica e ideologie, e si mise a lavorare sui fatti. Riuscì a dimostrare che le perizie balistiche, se non sbagliate, erano state decisamente "polarizzate" in una direzione scelta dall'accusa, condusse la più normale delle indagini che si potesse impostare per un omicidio a scopo di furto, approfondendo nel contesto delle bande del luogo. Arrivò all'individuazione dei colpevoli, una tale "Banda Morelli", criminali comuni. Per l'ottusa inflessibilità della giustizia americana il portoricano Celestino Madeiros, afferente a quella banda, venne giustiziato venti minuti prima di Sacco e Vanzetti in quanto ritenuto oggettivamente responsabile di quel crimine.

Purtroppo l'avvocato Thompson non riuscì ad ottenere la riapertura del caso e vista la mole di prove raccolte la sua delusione fu tale da indurlo all'abbandono della carriera forense. Cercò di attivarsi sul versante umanitario col governatore del Massacchussetts almeno per la grazia a Vanzetti (Sacco aveva mollato, aveva perso fiducia e speranza), ma senza risultati.

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti morirono innocenti sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927.

L'uomo che affidava le sue aspettative di riscatto e le sue speranze al carretto del pesce ci ha regalato queste parole:


"If it had not been for this thing, I might have lived out my life talking at street corners to scorning men. I might have died, unmarked, unknown, a failure. Now we are not a failure. This is our career and our triumph. Never in our full life can we hope to do such work for tolerance, justice, for man's understanding of man, as now we do by accident. Our words - our lives - our pains - nothing! The taking of our lives - lives of a good shoemaker and a poor fish peddler - all! That last moment belong to us - that agony is our triumph."

Media:

Un unico grandissimo film, "Sacco e Vanzetti", di Giuliano Montaldo, con le belle e sentite interpretazioni di Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla.

Approfondimenti:
1. Wikipedia

2. The history of Sacco and Vanzetti
3. Vanzetti's Last Statement

Geografia

I cinque continenti sono quattro, e precisamente questi tre: l'Europa e un altro che non ricordo

(Andrea Pazienza)

Polpettoni


I film che raccontano storie vere mi piacciono. Spesso servono ad aprirmi un nuovo orizzonte, come stimolo per documentarmi e saperne di più. Recepisco il film in quanto tale, come racconto che deve avere ritmi e fruibilità di un certo tipo altrimenti perde appeal. Magari a valle del film una lettura seria di un onesto numero di fonti porta anche a riconsiderare i giudizi.
Il film "reality driven" è intrinsecamente condannato alla qualifica di polpettone, ovvero sia un preparato soporifero (a volte anche quando si è interessati alla storia) di un paio d'ore almeno, magari anche la bravura degli attori non aiuta più di tanto, e ad un certo punto la fine è quasi una liberazione.
Va bene che il regista ha la necessità di condensare anche anni di storia in tempi contingentati, va bene che privilegiare alcuni aspetti su altri a volte va contro verità, ma anche con tutte le attenuanti del caso certi prodotti sembrano spesso controproducenti.

Nessuno pretende che ogni film di questo tipo sia un JFK fatto in economia di mezzi, ma un filone italiano, riconducibile peraltro ad un unico regista, ha declassato questo tipo di cinema ad una serie di instant movie, robaccia scialba e didascalica.

Negli anni sono stati "vilipesi", magari senza una finalità ad hoc, fior di italiani eroici quali Aldo Moro, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Anche la bravura di attori quali Gian Maria Volontè, Lino Ventura, Giancarlo Giannini non riusciva a risollevare più di tanto la "tessitura" scadente.

E' un bene che una storia vera venga "favorita" da un mezzo che ha il suo fascino, ma francamente la verità sul sequestro Moro è scritta in "La tela del ragno" di Sergio Flamigni, ne "Il prigioniero", raccontato dalla brigatista Maria Laura Braghetti, non ne "Il caso Moro". Carlo Alberto dalla Chiesa ha avuto giustizia postuma dal bellissimo libro del figlio Nando, "Delitto imperfetto", e non da quella specie di spaghetti-pulp di "Cento Giorni a Palermo". Per sapere che cosa è stata la lotta a Cosa Nostra vale la pena leggersi Arlacchi, Saverio Lodato e Giovanni Falcone, non vedersi quella specie di inno allo sfruttamento della memoria.

Per colmo di masochismo, l'idea maturata deriva da almeno una decina di visioni di ognuno dei suddetti capolavori, alla fine quasi per conciliare un paio d'ore di sonno sul divano. Quindi proprio inutili non sono stati :)

martedì 23 marzo 2010

Libri


In un periodo di predominio del media veloce, il libro per me è quasi un genere di conforto. E' qualcosa che mi fa piacere regalare, ricevere, gustare. Non è immateriale, tutt'altro. Sta lì in tutta la sua regolarissima corporeità, parallelepipedo che racchiude più incognite delle sue dimensioni. Vai a capire se sei incappato in quel tipo di scrittura che reputi valida per traguardi più ambiziosi quali l'incarto delle uova, o se fra te e lo scrittore si instaura quell'intangibile che ti porta fino in fondo.

Leggo molto e il genere va a periodi. Accetto suggerimenti, perchè spesso da una sensibilità o un background diverso arrivano sorprese inaspettate. E' nato da zero un innamoramento per Carlos Ruiz Zafon, e la sua Barcellona retrò di "L'ombra del vento", ultimamente ho riso per un divertissement stilistico da leggere in due ore, "Il sifone di Sartre" di Mark Crick, riconciliazione di letteratura e bricolage. Ma la lettura a volte deve essere una finestra su cose che non puoi vedere e che devi sapere, perchè fanno parte del mondo e chiudere gli occhi è un modo ipocrita per tirarsi fuori anche da quel poco che ci è chiesto per non peggiorare il mondo in cui viviamo con silenzio e ignoranza.

Saviano è indicativo, in questo contesto. Gomorra è il pugno sullo stomaco, "La bellezza e l'inferno" è meno crudo, ma apre comunque la finestra su una durissima collezione di storie di diritti negati, di coraggio, di sfida alla vita. Non è da tutti accomunare con coerenza le storie di Miriam Makeba, Lionel Messi e Anna Politkovskaja. Anche l'esposizione televisiva di qualche tempo fa fu all'altezza. Ci vuole coraggio a contrapporre la storia di Ken Saro Wiwa all'ennesimo inutile reality di turno. Ma Gomorra va letto, il pugno sullo stomaco spesso è un passaggio necessario. Non capita spesso che un libro decida oggi per domani la privazione della libertà del suo autore, non capita spesso che un libro a suo modo incida più di una operazione di polizia. Gomorra parla del tessuto economico, dei modelli malavitosi, dell'environment che rende questo possibile. Va letto, e quando uno di quei nomi emerge nella cronaca quotidiana va riletto, perchè è anche una griglia interpretativa del fenomeno.

E di riflesso, adesso sono su "Proibito parlare", di Anna Politkovskaja. Dopo di che mi sono meritato una full immersion in Jules Verne :)

lunedì 22 marzo 2010

Evoluzione professionale



Forse involuzione è più realistico. Non vuole essere una lamentela, sarebbe indelicato nei riguardi di chi è investito dal problema in maniera più drammatica. Magari è una semplice constatazione di come nel tempo mutino le condizioni e lateralmente può essere un invito a riflettere sulle distorsioni del sistema, lato sensu.

Ho passato la prima fase della mia esperienza professionale in contesti dinamici, a volte anche troppo, dove l'obiettivo davanti ad un problema era la risoluzione e non l'outsourcing.
A volte mi sono trovato sotto notevole pressione e questo può indurre una crescita, sia dal lato di "quello che so fare" che di "quello che so gestire".

Il contorno umano a questi scenari è sempre stato molto positivo. Dove esiste una dinamica di squadra lì sono a mio agio. La vetta irripetibile è il leggendario "villaggio di Asterix" dove ho passato periodi notevoli, gruppo di "teste pensanti" molto diverse, persone umanamente deliziose, professionalmente eccellenti e con un gusto per il tempo comico del tutto sopra media, con un capo degno di tale ciurma.

Ma mi preme qualche osservazione sull'evoluzione di quello che ci è richiesto di fare, il tutto senza mai citare il tipo specifico di lavoro, ma per una percezione che sia comprensibile all'esterno, senza scendere in tecnicismi. La descrizione più bella delle diverse fasi di specializzazione del nostro lavoro è quella fatta a Dallas dal grande prof. David Blank Edelman, nella lettura finale dello Usenix 2007, usando come paragone il lavoro nella ristorazione.

La fascia bassa è il McDonald: prodotto massificato, specifica dei requisiti interamente in mano al cliente ("Un cheeseburger, patatine e coca cola"), il parametro di soddisfazione è banale ("Burp! Sono pieno"), lo skill richiesto è pressochè inesistente, si infilano tot preparati nei dispositivi di preparazione, si aspetta un timer e si serve.
Poi c'è il ristorantino di un certo tipo, dove il cliente ordina, ma accetta il consiglio della casa, il preparato è più elaborato, la soddisfazione può essere qualcosa del tipo "Niente male, se capita ci torno".
Poi c'è il guru. Il cliente non ordina, the guru already knows.Il cibo si consuma in silenzio e ad occhi chiusi, centellinando con ogni papilla gustativa. Il livello di soddisfazione è rinchiuso nella frase "Life is wonderful!"
Senza esagerare in un senso nè nell'altro, ero nella fase del ristorantino e per qualche specializzazione di nicchia mi stavo avvicinando al guru.

Per qualche incastro, le cose sono cambiate. Facciamo conto che l'intero processo sia la guida di una automobile. Prima gestivo oneri e onori in proprio. Prima. Adesso... Siamo in prima. Bene, cambiamo marcia. Fermo là! Devi aprire un ticket agli "spingitori di frizione". Loro valuteranno precondizioni, postcondizioni, impatti, varie ed eventuali, e con i loro tempi ti diranno che l'operazione è stata eseguita (nel frattempo si resta in prima, senza se e senza ma). Ok, si può mettere la seconda? Sì, da parte dell'apposita struttura "mettitrice di seconda" e così avanti. Piano, molto molto piano.

Altro parallelismo efficace. Fossimo medici, ci si riconoscerebbe in una scuola professionale abituata a visitare il paziente, verificare, mettere a frutto la propria conoscenza, accollarsi oneri e onori di diagnosi e prognosi, applicare delle euristiche opportune, confrontarsi con altri e condividere un risultato potenzialmente utile. Adesso ogni patologia deve essere inquadrata in un protocollo collaudato. Se non è inquadrabile nel protocollo non se ne esce, non esiste la patologia. Il tutto con l'apporto dei fornitori, che mediamente il primo anno ti vendono una metastasi per venderti la chemio negli anni successivi, purtroppo.

Tutto qui. Non è facilissimo

La redazione

Come accennato, si compone in tutto e per tutto di due neuroni (quelli rimasti), insediati in buona disciplina nelle due aree principali della testa. Sparo in libertà perchè, luogo comune principe, "del cervello nessuno ci capisce gran che".


Il neurone razionale è praticamente il presidente della AssoPedanti, diciamo così. Fiscale, curioso, analitico, si documenta, ricerca, legge, gugla, confronta, pone sul tavolo tutta l'informazione disponibile prima di sbilanciarsi in una decisione che è subito pronto a confutare in base ad eventuali nuove evidenze. Disposto alla discussione, ma con pazienza limitata. A volte presuntuoso. A volte ha uscite con un tasso inopinato di sicumera, che lo espongono a figure epocali, visto il congruo numero di nemici che ormai, in riva al fiume, hanno attrezzato una tribunetta coperta.


Il neurone emotivo ride, scherza, riflette, si esprime, comprime e deprime a ritmi abbastanza regolari. Prende corsie laterali su quanto ha intorno, ascolta Guccini, tenta di darsi un tono ma spesso ammette la superiorità di qualche testo di Califano, fra settembre e gennaio diventa monodimensionale, davanti alla tv di approfondimento, quella seria, si fa un fegato grosso come una betoniera. Ha imparato a non giudicare, ad ascoltare di più prima di parlare e come età impone, comincia a tendere verso il paranoide rompipalle. Riconosce di dover versare congrue royalties a Woody Allen.


Sarà ardua, soprattutto per i pochi martiri che si avventureranno nella lettura.

venerdì 19 marzo 2010

Ready for some stuff

Premetto. Non ho il dono della sintesi.


Ma a volte mi piace scrivere, magari per condividere pensieri e opinioni, per dare la visione di un fatto, per raccontare un aneddoto. L'idea di mettere in piedi un blog, che soffrirà di ogni possibile sbalzo umorale, discontinuità operativa, restyling improbabili, varie ed eventuali, mi frigge da qualche tempo. 
Walking on the net, ho notato un numero di blog amici ben maggiore di quanto mi aspettassi, quindi, con buona pace della coppia di neuroni che si alterneranno alla redazione dei contenuti e che verranno a breve presentati opportunamente, ho deciso di intraprendere. Ci saranno reprise da scritti di varia natura che qualcuno avrà anche già letto, ovviamente contributi originali, spunti per ridere (spero) riflettere (se capita) sfogarsi (nei limiti in cui). 


Al momento it's enough. Come orologio suggerisce, cambio aria.