Per spiegare chi sia Letizia Battaglia e quale testimonianza immensa ci ha fornito finora con il suo lavoro mi viene un paragone forse un po' scolastico. Quando ci troviamo davanti ad un evento di un certo tipo, gli elementi di giudizio che si formano hanno anche origine dai nostri cinque sensi, dalle percezioni dirette e immediate su quello che è successo. Se ragioniamo su trent'anni di delitti di mafia in Sicilia, Letizia Battaglia è il senso della vista per molti di noi.
Letizia è uno dei due professionisti della fotografia che hanno contribuito a rafforzare ricordi e sensazioni, spesso durissime, nell'immediatezza di un delitto di mafia. L'altro è Natale Gaggioli. Il cronista Saverio Lodato racconta che Gaggioli, arrivando sulla scena di un omicidio, era sempre seguito da un assistente che trasportava una cartolinistica pala di fichi d'india, da porre nei pressi del cadavere coi giusti calcoli di luce. Altrimenti nel continente l'articolo perdeva di appeal. Fa quasi sorridere, sebbene l'osservazione sia estremamente cruda.
Letizia Battaglia è una fotografa bravissima, con un amore viscerale per la sua Sicilia. Molto bello il documentario In un altro paese, in cui guida Alexander Stille attraverso i decenni di cui, suo malgrado, lei è stata testimone privilegiata. L'occhio non comune con cui lei ha percepito quello che aveva intorno non si limita semplicemente allo "shot" sul cadavere ancora caldo e crivellato di colpi. Girando per la rete si vede la sua sensibilità per le persone sul fondo del barile, per coloro ai quali si nega un diritto con poco sforzo, donne con lo sguardo rassegnato e col figlio in braccio, nudi, volti in lacrime. Con una fede integrale nella forza della fotografia in bianco e nero.
Ma l'arte di Letizia, la sua raffinata percezione visiva e il suo gusto per rendere con forza e grazia gli aspetti della sua terra e dei suoi concittadini, ci hanno dato prove contundenti anche quando nel mirino del suo obiettivo non c'era una figura o una sensazione, ma un dato di cronaca, e quello più inesorabile di tutti. La morte.
Letizia ha reso un servizio quasi civico, aiutandoci a capire che cosa siano in grado di fare questi criminali a chi si frappone ai loro disegni. Era il capo dei servizi fotografici del quotidiano L'Ora, vera e propria voce di Palermo. E le sue foto sul giornale del giorno dopo, non potevano indurre a nascondere la testa, come hanno fatto in molti per rimuovere qualcosa che veniva pudicamente visto come un semplice dato ambientale, non come una fenomenologia criminale radicata in ogni settore da cui si può trarre potere e profitto.
Nella foto a fianco, l'unica che mi permetto di riportare, è ritratto il Consigliere Istruttore Cesare Terranova. Uno dei tanti funzionari statali per bene che fra un posto garantito in parlamento e un impegno in prima linea nella sua città non ha avuto il minimo dubbio nel fare un passo avanti. Ucciso, lui e il suo angelo custode, agente Lenin Mancuso.
Letizia Battaglia si è trovata nel tempo a ritrarre troppo spesso questo tipo di scene. Michele Reina, Piersanti Mattarella, tanti corpi senza nome di vittime di vendette.
E poi il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la giovane moglie, Emmanuela Setti Carraro. Il motivo principale per cui quella foto non può essere mostrata è lo scempio, la volontà precisa dei carnefici di cancellare due identità: quella di chi ha avuto il coraggio di combattere e quella di chi ha avuto il coraggio di stargli vicino. Ridotti a due ammassi di carne sforacchiata, l'uno proteso nell'inutile tentativo di proteggere l'altra.
E la resa finale, anche per una come Letizia. L'attentato in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Letizia raccontò di essere arrivata sul posto poco dopo e per la prima volta di essere disorientata per quello che vedeva. Resti umani sparsi senza logica. Una gamba, una testa, un corpo dilaniato.
"Non ho avuto il coraggio di fare nemmeno uno scatto".
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