mercoledì 6 marzo 2013

Genialità califfa

Look inizio anni Ottanta
Se un Nobel per la letteratura è stato dato a Saramago e a Dario Fo, non capisco questo ostracismo verso Franco Califano. 

Ok, scherzo. Ma fino a un certo punto. Non per mettere sullo stesso piano creatività e contesti così differenti. Accostare letteratura, teatro e Califfo però non è del tutto fuori luogo. A voler banalizzare, Franco Califano (1938 and counting) ha narrato e raccontato a suo modo il proprio palcoscenico di vita, con una sensibilità personale spesso cinica e disillusa, ma a volte insospettata e insospettabile in un personaggio che il tempo ha chiuso dentro un clichet diventato quasi stantio.

Califano non è solo una conclamata icona del latin lover romano (anche se lo è solo d'adozione), vincente e un po' trucido (nel senso nobile). E' stato un autore molto apprezzato nel tempo, arrivando a scrivere testi anche per Mia Martini e Ornella Vanoni.

I miei primi ricordi ormai cominciano a essere un po' sbiaditi. In macchina con mio padre, quando mi portava al mare. L'autoradio, all'epoca, dovevi incollartela sempre: non c'era ancora il frontalino estraibile. E la musica era su cassetta, col rischio che se prendevi una buca per strada si inceppava tutto e quando la tiravi fuori era un profluvio di nastro e imprecazioni, magari. A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Mi risuona "gratta gratta gratta amico mio", andando proprio in profondità.

Ignorando le comparsate televisive, che non mi interessano, il mio viaggio verso il Califfo è cominciato grazie alla fantastica parodia di Latte e Derivati, che riuscirono a caratterizzare molto bene il personaggio.  
Me so' 'ngrifato è un capolavoro, quasi un tributo. Tant'è che nel tempo il Califfo si è prestato anche per qualche cameo col gruppo demenziale romano.

E poi è proseguito con Romanzo Criminale, la serie: secondo me il miglior lavoro televisivo degli ultimi dieci anni. Nel continuo mix tra finzione e realtà Califano è ovviamente un idolo per tutti i componenti della banda. Il Dandi sbracato nella vasca che canta Tutto il resto è noia a squarciagola, l'invito al matrimonio di Scrocchiazzeppi, con la presentazione fatta dal Libanese in persona.

Va detto che ci sono alcuni testi che meritano veramente. Esulando dalle canzoni da tombeur de femmes (ma Tutto il resto è noia è notevole), ci sono alcuni gioielli veri e propri. Testi da restare piegati in due per le risate come Avventura con il travestito e l'inarrivabile La vacanza di fine settimana, altri che stanno lì a stringerti la gola come Nun me portà a casa, dialogo tra un alcolizzato in crisi con se stesso e un amico con una vita normale. Sentirli declamati dalla voce del Califfo è fantastico, sia per la profondità che per l'impostazione del tono e l'uso del dialetto.

Avventura con il travestito e La Vacanza di fine settimana sono veramente due perle comiche. 

Nella prima, il latin lover infallibile viene miseramente ingannato dalle apparenze ("In faccia era più liscio della cera/che barba s'era fatto quella sera"), avvia il solito trionfale approccio fino all'atterrita constatazione della verità ("amo scherzato, dissi, pìa quer pacco/sennò je dò du carci e te lo stacco"), alla cruda consapevolezza del fallimento ("A Vincenzo, tu non sei un conquistatore, sei 'no stronzo"). Si può tranquillamente ascoltare anche da youtube, merita.

Il secondo brano narra le disavventure familiari di un onesto faticatore da cantiere ("Lavoro cinque giorni a settimana/me faccio 'n culo come 'na campana/ritorno il venerdì per riposare/ma tu sei pronta già pe annà a sciare"), impietosamente costretto dalla moglie a un fantozziano fine settimana in montagna. Il pover'uomo è sfatto dalla fatica e dagli imprevisti. 

Magistrale la sequenza del montaggio delle catene

"anzi - me dici - forse ci conviene,
fermarci per montare le catene!
Me fermo e le catene nun me sbajo,
so' sempre dietro all'urtimo bagajo.
Scarico, monto e poi rimetto dentro. 
Un giorno o l'artro, giuro che te sventro! "

E via di tragedia in tragedia, fino al dramma del rientro

"Sull'autostrada pare de sta a Monza
La gente fa la gara a chi è più stronza"

La conclusione è un inevitabile e sussurrato

"Pe' me 'sto viaggio è l'urtimo strapazzo,
tu e la montagna, m 'ate rotto ..."

Dove si rimane senza parole, a pensare ad una storia e a rispettare un autore è nel dialogo di "Nun me portà a casa". L'ubriaco depresso che si rende conto di una inadeguatezza quasi cosmica ("perchè so bene che la vita mia/serve a riempì du metri d'osteria"), si confida con un amico in maniera spietata, senza farsi sconti. Fino a rendersi conto che ha comunque qualcuno che tiene a lui, anche così com'è. E dall'autocommiserazione passa ad un minimo di orgoglio, di consapevolezza, perchè lui è bravo "a fare la spesa" e almeno rivendica un pezzettino di utilità, perchè per la sua famiglia così non è solo un peso. Da sentire e da rispettare. M'è piaciuta tantissimo.


Mi permetto di consigliare un approfondimento, più sui testi che non sul personaggio. Alcuni hanno veramente il loro perchè.