lunedì 30 maggio 2011

Il mondo migliore

Non mi metto a scrivere di calcio volentieri, forse per la nausea indotta dall'italian style. Sono decalcificato quasi come uno scaldabagno nuovo. Nel calcio, come nemmeno in politica vale tanto la rosea uscita di Clint Eastwood "Le opinioni sono come le palle. Ognuno ha le sue". 
Se tifi per una squadra, di solito non c'è nulla che ti faccia cambiare idea, a condizione che tu non sia Emilio Fede.

L'idea di calcio che in questi ultimi tre anni ci ha regalato il Barça, però, è qualcosa di altro. Un calcio bello da vedere, un calcio che prova ad essere un valore positivo dentro e fuori dal campo, è una specie di difesa del sogno. A meno di non essere Mourinho, non è facilissimo trovare difetti a questa organizzazione. 

Il Barça è un proud sponsor dell'Unicef, organizzazione per la quale fa pubblicità e fund raising. Il loro settore giovanile nel tempo ha regalato alla prima squadra l'intelaiatura e l'anima. La forma di proprietà è l'azionariato diffuso (ehi, pure i Green Bay Packers!). E' raro vedere uno spending scriteriato. Ovviamente fanno i loro acquisti, ma non con la spocchia del Real che in un giorno solo acquistò Kakà e Ronaldo (Chuck Norris era impegnato) spendendo l'importo di una finanziaria di un paese sano...
Loro hanno preferito fidarsi degli scout interni. E anni fa in Argentina pescarono un ragazzino con evidenti problemi di crescita. Lo portarono in Spagna con la famiglia, gli pagarono le cure, ebbero fiducia in lui. E ora si ritrovano un Leo Messi in campo...

Anche l'allenatore è un prodotto di casa. Pep Guardiola, 40 anni e un passato di giocatore dei blaugrana e un passaggino a Roma e Brescia, in tre anni di panchina ha vinto 3 titoli spagnoli, due Coppe dei Campioni e appetizers vari. Vinte otto finali su nove giocate.
E raramente risponde alle provocazioni, tranne che in un caso. Sarà che fra iberici e lusitani non si amano poi troppo...

Il gioco del Barcellona poi è una festa per gli occhi. Non buttano via un pallone. Non corrono, fanno correre palla e conseguentemente avversari. Sono sempre in superiorità, si divertono a fare quel tipo di gioco, raramente sono in affanno. Niente lanci lunghi, niente cross dalla tre quarti. E spesso niente cross nemmeno dal fondo, se hanno il compagno vicino giocano palla corta e a terra (visto pure che in attacco non hanno propriamente delle torri). Un possesso palla praticamente continuo. In media per il 70% della partita tu nemmeno la vedi.

L'esempio eclatante, la loro migliore sinfonia è stata la finale di Wembley contro il Manchester. Gli inglesi sono partiti col coltello tra i denti esattamente per i primi dieci minuti di gioco. Il tempo necessario per il Barça per trovare la vena, più o meno. Non c'è stata mai partita, eppure è stato uno spettacolo di calcio eccellente. Una squadra di gente che sa usare il pallone come nessuno. E i gol arrivano, con quella gente. Inevitabili, questione di tempo e loro sembrano non avere mai fretta. Tre perle per intelligenza ed esecuzione, Pedro, Messi, Villa. Risultato mai incerto, nemmeno sul pari. 
E i Red Devils nemmeno hanno giocato male. Sembrava tutto così inevitabile. Il volto di Sir Alex Ferguson, che pure di calcio ne ha visto molto, che minuto dopo minuto realizzava la slow death cui stavano correndo incontro. 

Il finale della partita va ricordato però per un altro motivo, forse la migliore spiegazione di che cosa sia davvero il Barcellona di adesso. A poco dalla fine, Guardiola mette in campo Carles Puyol, capitano storico della squadra, per fargli alzare la coppa. Mentre salivano le gradinate verso la tribuna centrale di Wembley, Puyol si è tolto la fascia da capitano e l'ha data ad Abidal (operato di cancro a febbraio e rientrato tra l'affetto di tutti), perchè fosse proprio lui a sollevare per primo il trofeo. Sarà retorica facile, ma è stato veramente un bellissimo gesto.

E diverse fonti, diverse scuole di giornalismo che discutono se si possa o meno parlare di questa come della migliore squadra di tutti i tempi. Per la mia limitata esperienza, io ci metterei un bel sì :)

venerdì 27 maggio 2011

Er signor Brega

"Viè qua, a cornuto!"
Per motivi generazionali e per vicinanza geografica non posso non essere affezionato ai primi film dell'immenso Carlo Verdone.

Carlo, che incontravo ogni tanto (per caso, ovvio) in un bar a Via Giulia un po' di annetti fa, è un osservatore di tipi sensazionale. Coglie aspetti comici, tragici, patetici. Nel tempo i suoi film sono diventati una miniera di aneddoti, di citazioni da estrarre al momento giusto. E sono comunque buonissimi film.

Una delle cose dei film verdoniani che non posso non menzionare è la presenza sia di ottime "spalle" (Alberto Sordi può bastare, credo!) che di caratteristi talmente perfetti nei loro cameo da indurre a pensare che i portantini di Un sacco bello facessero quel lavoro anche fuori dal set. Meritata menzione per Luciano Bonanni: "Ce sta, ce sta. Ce sta er dottorino!". Generico di lungo corso. Me lo ricordo almeno in Un Americano a Roma e in Febbre da cavallo, dove ovviamente faceva il portantino ("T'ho portato cortisone e insulina, tutta robba svizzera costosissima")

Ma ovviamente in questo contesto il re è uno solo.

Il terrificante, onnipotente e debordante Mario Brega!

Brega (1923-1994) era un caratterista dalla lunghissima gavetta. Molti ruoli in film di Sergio Leone. Verdone, praticamente agli esordi, lo conobbe a casa del regista e gli propose subito la parte dell'irascibile padre dell'hippy in Un sacco bello. Da quel momento in poi il sodalizio fu praticamente indissolubile per tutta la prima fase della carriera di Verdone. Brega fu il leggendario "Agusto", suocero in Borotalco, fu "Er Principe", camionista infermiere di Bianco Rosso e Verdone, e altre particine minori.

Forte di una preponderanza fisica, specialmente vocale e addominale, il nostro non recitava, accentuava solo un po' il suo io. Romano un po' caciarone, spaccone, prepotente, sicuramente poco dialettico ma in fondo non (troppo) cattivo. Ma davvero, una miniera di citazioni.

I suoi  due cavalli di battaglia (secondo me):
- Lo sfogo leggendario del padre dell'Hippy in Un sacco bello: "Ma 'n padre pò avè 'n fio così??". Escalation terrificante che termina nell'imperituro "Io mica sò communista così", che Verdone stesso dice essere interamente uscito a braccio durante la recitazione
- La passeggiata con la figlia a Via Veneto in Borotalco: "J'ho rotto er setto nasale, j'ho frantumato le mucose e je dicevo arzate, ARZATE A CORNUTO, ARZATEEEE!!!"

Racconta poi Carlo Verdone che la scazzottata a Via Veneto è avvenuta davvero, con tale pugile-attore americano a nome Gordon Scott. Brega si risentì di una recitazione un po' sopra tono, e chiese spiegazione a modo suo

Pochi minuti di recitazione in ogni film, passati alla storia più del film stesso.
"Papà ch'è successo?"
"Gnente, due de passaggio. 'Nnamo a comprà le scarpe"

Un genio inconsapevole, credo.


giovedì 26 maggio 2011

Il rotocottero

Si fa in un minuto!
Per una curiosa forma di contrappasso, nel periodo in cui andavo a manifestazioni pacifiste e per il disarmo il mio banco del ginnasio pareva la plancia della Nimitz...

Numero, varietà e forma di aerei cartacei era tale per cui qualche professore (non quella bottiglia di H2SO4 di lettere) era addirittura arrivato ad accettare quella specie di task force che avevo attrezzato. E con un certo ordine. Sopra il banco c'era l'essenziale. La plancia di comando e il poco che era in transito, onestamente non disturbavo troppo. Pure un po' troppo secchione, anzi. Ma sotto il banco c'era veramente di tutto. La metà di quella roba erano creazioni estemporanee, aerodinamicamente ardite, che nonostante ragionamenti anche coerenti fra bilanciamento dei pesi, superfici alari e flap ben rifiniti cascavano miseramente a piombo appena lanciati. A volte però qualcosa riusciva anche bene e per aria ci restava il suo tempo.

Fra tutte le minch... le creazioni di quell'epoca, una mi riusciva veramente alla grande e anche oggi a volte si rivela inaspettatamente utile in situazioni in cui diventa necessario catturare almeno l'attenzione dei bimbi. 

Il rotocottero è un concetto aerodinamico che non auguro a nessun umano di provare (a meno di scommesse perdute, ma lì sono fatti suoi). Si prende una strisciolina di carta, la metà inferiore viene richiusa su se stessa (l'attach in basso forse pesa anche troppo, va bene anche una lacrima di pongo e comunque anche liscio vola benissimo). La parte superiore viene divisa a metà. Io lo posso fare a mano, per i newbye vanno bene anche le forbici. Orientare in maniera contrapposta le due striscioline. Hint: lavorare di minimizzazione sulla lunghezza dei rotori cartacei! Più si accorciano e migliore è l'effetto della rotazione, anche se non ci giurerei su variazioni del numero dei giri. Ma se si eccede e i rotori sono troppo corti il rotocottero tonfa a terra ingloriosamente.

Indi, per garantire l'effetto speciale, colorare i rotori a tinte vivaci. Sollevare in alto fino a totale estensione del proprio braccio e lasciare. Il rotocottero scenderà a terra ovviamente girando su se stesso, con studiata lentezza!

In caso di sessioni impreviste di baby sitting, fidatevi che ha un minimo di appeal, se non altro per i primi sei o sette voli, dopo i quali verrà generalmente reso inservibile. E' di carta, non di carbonio e kevlar.

E quindi tenete pronto un Super Mario di riserva, chiaro ;)

mercoledì 25 maggio 2011

Libro contro film

Lo ammetto.
Ho letto Rambo.
Oltre ad averlo visto l'ho anche letto.
L'età adolescenziale mi darebbe al massimo le attenuanti generiche, ma il fatto rimane. Libro abbastanza imbarazzante. Non che mi aspettassi Dostoevskij, anche quello letto in quel periodo, lo dico per riequilibrare, ma il libro era veramente accio.

Preambolo che mi porta su qualche riflessione che incubavo da tempo su alcune differenze che fatico a capire tra i film e i libri da cui questi vengono tratti...

A volte ci sono ricostruzioni fedeli, un bel film all'altezza di un bel libro. A volte il film ti ammazza il libro, o te lo fa rivalutare... In alcuni casi una narrazione un po' ferma, come può essere Guareschi, viene nobilitata dalla bravura di Fernandel e Gino Cervi. Ma quando il racconto originale (facciamo l'ipotesi che il libro arrivi prima del film) viene piegato, deformato per motivi non comprensibili uno ci resta un po' così. Non parlo di comprimere i tempi o di cercare di andare incontro alle esigenze sceniche, è che spesso alla fine una storia viene riscritta per motivi di business, segnatamente per montarci sopra un sequel o per altri motivi insulsi. E lì non puoi non stroncare, fra te e te.

Casi clamorosi. Ho scomodato Rambo. Libro scritto coi piedi (di uno che nemmeno se li lavava). Il film può avere un senso come azione, come film di genere. Pubblico di adolescenti o di cultori del film o dell'attore. Non è che li biasimo a prescindere. Alla fine del libro, ad onor del vero, sia l'irascibile veterano del Vietnam che l'ottuso sceriffo di provincia che lo perseguita, muoiono sparandosi vicendevolmente. Che riposino in pace, quindi. Un rispetto della trama originale ci avrebbe risparmiato tutto il polpettone che ne è seguito, che lasciai perdere anche in età adolescenziale, ci tengo a dirlo. Sono curioso di sapere come si è regolato l'autore. Lo ha fatto risuscitare? Il finale del primo era un sogno? Mah. La frase che passa alla storia non arriva nemmeno dal film, ma da uno dei fenomenali caratteristi trucidi che lavoravano con Carlo Verdone... "Ariccòjete quer giaccone, a Rambo..." 

Il silenzio degli innocenti è un capolavoro. Grande libro, gran film in cui due interpreti supremi come Jodie Foster e Anthony Hopkins resero il pathos di quella storia in maniera così magistrale che quel film, oltre al suo giusto numero di premi e riconoscimenti vari, in effetti ha resistito all'usura del tempo. Il libro stesso era molto ben scritto nel suo genere. Thomas Harris tutto sommato sa catturare l'attenzione (Black Sunday e Drago Rosso si salvano). 
E parliamo di Hannibal, va. Il libro non è proprio da buttare ma è un po' scontato. La ricerca del riscatto dei due protagonisti, l'insistere su particolari, un insieme di dettagli che spesso sembrano un po' fini a loro stessi. Ma nel complesso si legge. Il film. Ahia. Già la mancanza di Jodie Foster dovrebbe far riflettere. Se lei stessa lascia lì la montagna di dollari che dovrebbero averle proposto, un perchè deve esserci. Niente contro Julianne Moore, ma non scherziamo. Certo, in assenza di Anthony Hopkins il film saltava, quindi gli avranno triplicato la parcella, almeno. Quel film secondo me è una robusta minchiata. Troppe differenze dal libro anche in parti non marginali. E il finale, l'ennesimo cambio in corsa dalla storia. Nel libro i due finiscono insieme più di quanto la prudenza consigli, nel film no, un accenno, le mani che si sfiorano. Anche qui penso per lasciare la strada aperta al sequel. Tristezza.

L'ultimo confronto, in ordine di tempo. Angeli e Demoni. Il libro qui ha addirittura ritmi più serrati rispetto al film. Due storie diverse, il film piegato a non si sa quali esigenze. Personaggi soppressi, perbenismi di comodo che non capisco: per quale motivo il sacerdote che nel libro è padre adottivo di Vittoria e ha un ruolo non secondario nel film praticamente non viene menzionato? E il direttore del CERN mischiato col capo delle guardie svizzere? E il cardinale che alla fine viene eletto pontefice nel libro fa ben altra fine, e anche qui non si capisce il motivo. La storia, già di per sè insulsa nel libro (anche se ha la sua dignità di avventura) nel film diventa quasi uno spot mal riuscito sulle bellezze di Roma, perchè non ci si raccapezza molto sugli altri aspetti della narrazione originale. Il professore che senza ossigeno negli archivi vaticani risolve enigmi secolari in pochi istanti (e senza passare per Google...). Boh. Tutto molto fragile.

Unica scelta che condivido è quella di aver cambiato il nome al Camerlengo nel film.
Non avrei resistito ad una presentazione in cui uno dei due si annuncia come Ventresca!

venerdì 20 maggio 2011

Cecità (Josè Saramago, 1995)

Disclaimer. Non è un post serio.

Yawn. Estraggo da quarta di copertina.

"In un tempo e un luogo non precisati, all'improvviso l'intera popolazione diventa cieca per un'inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un'esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici."

Cecità è un romanzo strano. Io non posso criticare Saramago, una bella mente del presente (oltre che un premio Nobel), non ho nè l'intenzione nè meno che mai gli strumenti culturali per farlo. 

Per curiosità mi sono addentrato nella lettura di questo libro. La trama è semplice, sviluppa una situazione non collocata in tempo o spazio, quindi molto adattabile. Una epidemia di cecità (un velo bianco calato su tutto) si diffonde tra la popolazione in maniera graduale ma costante, senza che nessuno capisca le modalità del contagio, le possibilità di cura o altro. C'è chi si approfitta del malanno piovuto sul suo prossimo per un furto d'auto e diventa cieco poco dopo, chi si ritrova improvvisamente cieca e nuda su un letto di albergo dopo un incontro... Alcuni personaggi vengono disegnati meglio perchè comporranno una sorta di squadra di persone intorno alla quale viene incentrata la narrazione. Il dottore, la ragazza con gli occhiali, l'orbo, il ragazzino che non trova la madre. L'unica persona che mantiene il senso della vista, la moglie del dottore, arriva a fingersi cieca per non abbandonare il marito e nel corso del racconto si carica sulle spalle le vite di altre persone in maniera silenziosamente eroica.

Interessante è il modo in cui Ordine e Potere si manifestano nel racconto. Segregazioni di gruppi, nonostante la scienza non si pronunci sul contagio nè sulla natura del morbo. Razionamento del cibo, lasciato però in mano a bande di prevaricatori.

E il racconto della degenerazione della natura umana. Cibo in cambio di soldi e oggetti, stupri, omicidi, egoismi. Un crescere di anarchia che deve confrontarsi anche con la putrescenza di una civiltà moderna in abbandono, dove i frigoriferi non congelano più, le pulizie non le fa più nessuno.

E un barlume di speranza finale, dopo qualche rivisitazione più genuina del modo su cui fondare dei rapporti interpersonali, su cosa sia perdonabile nella vita o meno.

Non è un libro brutto, ci mancherebbe. Ripeto, non mi permetterei nemmeno.

E' solo che.... è solo che non lo so, pare un vettore di angosce esistenziali condensato e squadernato sapientemente una pagina via l'altra. I luoghi, i casermoni squadrati. I morti lasciati lì esposti a meno che altri ciechi non si organizzino alla bell'e meglio per le sepolture. Il disfacimento... Il tutto con una tecnica narrativa sua, che non ti permette di distinguere narrazione da discorso, nessun segno di interpunzione che ti dica che stia parlando il personaggio e non l'autore. 

Il commento di quella quota parte di Cetto La Qualunque che alberga in ognuno di noi sarebbe un sintetico ed esplicito "Du cugghiuna tanto..."

Con il dovuto rispetto per l'autore, una recensione forse un po' scolastica (e senza voler mancare di rispetto anche con una certa comicità involontaria) ma sicuramente più sensata della mia è questa

Io resto a metà fra "un libro da leggere" e "uomo avvisato mezzo salvato".

Certo che se ci metteva le virgolette del discorso diretto però...

giovedì 19 maggio 2011

Sultans of Swing

I dischi dei Dire Straits ce li ho tutti. Vinile, CD, tutti. La loro musica stupenda ha accompagnato la mia adolescenza e tuttora, quando capita, me li ascolto molto volentieri. Ho anche un po' maltrattato la mia elettrica tentando di fare qualcosa che assomigliasse a quei capolavori, ma onestamente io sto a Mark Knopfler come uno scooterista con lo scatolone delle pizze dietro sta a Valentino Rossi, per capirsi.

Nel 1992 fecero un concerto spettacolare a Roma, anche se penalizzati da una location non proprio ottimale come acustica. Se vai a vederti i Dire Straits, i motivi sono lineari, sai che tipo di musica vai a sentire, sai che non vedrai maiali volarti sulla testa, luci ed effetti. Sai che sentirai un bel numero di canzoni, magari quelle fresche per il tour (ehi, On Every Street non era poi male!), ma sai che arriva prima o poi Private Investigations, suonata praticamente al buio. E poi, tempo di togliere l'acustica, di inforcare l'elettrica e di urlare "Thank yoooooo" e si parte!

Sultans of Swing credo sia il pezzo che li "definisce", nel senso nobile del termine. Sì, ok, Tunnel of Love, Romeo and Juliet, Ride Across the River ma anche Lady Writer...
SoS è la loro goccia di Chanel n.5. E' un brano che nel tempo è stato preso, ripreso, rimodellato, riletto, rivissuto. Fa parte del loro primo album (che in un afflato creativo si chiamava Dire Straits), e nella versione da studio era semplicemente un bel brano, con l'assolo finale di MK che andava quasi in fading (rendiamocene conto...)

Le versioni live di questo capolavoro sono quasi leggendarie. La tecnica tutta personale di MK, la compresenza di artisti che gli strumenti li sanno usare e bene... Il mix che ne esce, appunto, è quello. Non è che sono io nelle mie elucubrazioni personali a togliere o aggiungere qualcosa alle sensazioni che abbiamo quando la ascoltiamo. MK può anche non essere la miglior chitarra del pianeta, è tutto così soggettivo. Un buon numero di artisti possono anche avere una tecnica migliore, ma è anche un discorso di armonie, di melodie, di quello che lui può trasmettere e un Malmsteen magari no.

Tre release meritano ascolto (e partecipazione e applausi). 
Quella di Alchemy forse è la migliore dal punto di vista della sola lead guitar. E' una prima rivisitazione dell'originale con un bel ritocco del solo fra penultima e ultima strofa, e dove per la prima volta il solo finale diventa quella magia di note che ti piovono intorno e ti lasciano lì fermo, a chiederti se è possibile che stai sentendo (e in casi fortunati vedendo) quel miracolo lì. 

Ma due release del MK maturo meritano. 
Durante il Mandela Tribute a Wembley... Il primo assolo è stravolto, ti lascia quasi perplesso anche se appena lo riascolti lo ritrovi subito, ed è decisamente lui. L'assolo finale è scaldato prima dalla tastiera e poi da un giro di sax bellissimo, mentre MK e Clapton parlano divertiti delle loro cose sul palco. Quell'assolo è fantastico, ha una sua gradualità, diversa dal solito. Pare quasi un gioco, un gustarsi piano i vari giri prima del delirio finale, fantastico come sempre.

E un piccolo live negli studi BBC nel 1996. Qui solo una tastiera, prima dell'assolo finale. Piano, da fermarsi a pensare, nota su nota, una sensazione di dolcezza.

Mi piace notare che anche quando ho suggerito questa musica a qualcuno un po' distante generazionalmente, il messaggio è passato.

E il testo? Un raccontino di una banda underground, su!


mercoledì 11 maggio 2011

Omini di pongo

Questo l'ho fatto io!
In un anno e passa di blogging ho evitato con una certa cura due argomenti. Non scrivo nulla di eccessivamente introspettivo o personale (scelta mia), e giro intorno all'attualità politica con  prudenza. Sono un po' infastidito da ogni forma di pensiero unico, e nulla come la politica si presta.

L'unica cosa che ho lasciato sedimentare da tempo e sulla quale sto tentando di farmi un po' di chiarezza è una considerazione sulla formazione di un nuovo raggruppamento politico. Nato on demand, senza un programma proprio, senza una missione se non quella di vendere all'Offerente Unico qualcosa che proprio con uno stupro terminologico chiamerei dignità.

Ci metto quasi una riflessione seria nel mezzo, giusto per capire che non sto sparando sulla croce rossa tanto per. Secondo me il dettato costituzionale secondo cui un eletto non ha vincolo di mandato ma risponde esclusivamente a se stesso è giusto. E' giusto in un contesto ideale, precisiamo. In quei casi in cui la mia coscienza è in disaccordo con una eventuale linea di partito, ho il sacrosanto dovere di esercitare il mio diritto al voto nei modi che ritengo migliori per l'interesse comune secondo il mio metro di giudizio. Ci mancherebbe. 

Il momento attuale però stimola un approfondimento serio rispetto alla questione "quanto costa la mia coscienza?". Il trasformismo parlamentare è un side-effect storico, addirittura antecedente alla scrittura della costituzione che sancisce l'indipendenza dal mandato. In una delle periodiche riletture che facevo tempo fa della Storia d'Italia di Denis Mack Smith, ho notato diversi episodi al riguardo, che prescindono dai colori e dalle contingenze. Il trasformismo è solitamente un atteggiamento di convenienza che non fa nulla se non declinare uno stantio do ut des. Ma si trattava quasi sempre di un fenomeno individuale, o di gruppi estremamente limitati nel numero.

Oggi il fenomeno ha assunto scala quasi industriale. S'è formato un gruppo di plasmabili alla bisogna che garantisce il pacchetto di voti mancante quando le decisioni non mettono tutti d'accordo. Chiaramente questo ha un prezzo in termini di visibilità, incarichi, promesse, blindature di gente che ha una storia politica risibile. Ovviamente l'utile di queste persone è di carattere esclusivamente individuale, non giriamoci intorno. Para-alfabetizzati che mai nella vita potrebbero neppure attingere a quei livelli di prestigio personale e facilità di guadagno. Ci fanno assomigliare sempre più a una democrazia da operetta. Certo che con un governo che si rivolge a chiunque con modi e dialettica da bar sport e una opposizione che per vocazione riesce a presentare più punti di vista che iscritti, fenomeni fastidiosi come la glorificazione degli omini di pongo trovano la porta aperta.

Due geni si segnalano su tutti. Due che tentano di convincerti che, a banalizzare, loro sono sempre bianchi ma ormai il concetto di bianco è talmente mal recepito dagli altri bianchi che solo i neri possono rappresentarlo bene.

Il primo dei due ha avuto il suo picco di gloria unico e isolato. Ricompensato della svendita di sè con una poltrona ad hoc per la lotta alla contraffazione alimentare, ha ribadito energicamente che lui è il giusto man on the mission poichè è un ottimo cuoco e una buona forchetta. Wow.

Il secondo (in foto). Ora sono in difficoltà. Le capacità istrioniche ci sono tutte. E' l'anello di congiunzione tra Danny De Vito e Enzo Cannavale buonanima. Oratoria completamente cinofallica, condita da robusti errori sulla consecutio e da occasionali congiuntivi sassoni. Riesce ad affermare una tesi e a confutarla in venti minuti di soliloqui aberranti. Spazia con la stessa abilità retorica urlata su una gamma infinita di argomenti. Mixa con disinvoltura fra la lotta alle otturazioni in amalgama, l'agopuntura e l'anatocismo, che fra i tre sarebbe pure un argomento serio ma che a quel punto ti lascia in una angoscia cosmica sintetizzabile da un semplice "Che cazzo sarà 'st'anatocismo?". Urla sopra all'interlocutore, storpia cognomi come nemmeno l'Emilio nazionale. Ovviamente uno così ci mette nulla a diventare un media darling, perchè per ridere si ride (anche se in effetti cadono le braccia se riflettiamo sulla realtà).

Alla fine, dovendo esprimere un parere politico mio, vado sul mio unico riferimento ideologico, l'immenso Cetto La Qualunque.

Un garbato 'ntu culu non si nega a nessuno

venerdì 6 maggio 2011

Figure bibliche/2

Sottotitolo 1: pensare ad alta voce
Sottotitolo 2: insidie tecnologiche
Sottotitolo 3: effetto sorpresa

Niente, più cerco di vederla in altri modi più mi convinco che la storiellina di vita vissuta regalatami da un mio amico è buonissima candidata al premio di madre di tutte le figure di merda.
Pure ieri a mensa ridevo da solo come un imbecille, cercando di non strozzarmi con la minerale, camuffando con colpi di tosse... L'effetto era quello di Dreyfus che muore dalle risate mentre legge l'elogio funebre di Clouseau davanti alla folla commossa... Colleghi che mi guardavano senza capire bene cosa stesse accadendo, fatta eccezione per un gruppetto più sagace a qualche tavolo di distanza, che capita la penosa situazione si limitava a ridacchiare in direzione mia.

Fatto sta che le cose stanno così. Taccio ovviamente nomi e circostanze. 
Ambiente lavorativo eminentemente maschile, ciò basti. 
Due in stanza, a chiacchierare del più e del meno. 
Entra un terzo, tenendo in mostra il proprio videofonino davanti a sè. 
Tono deciso: "Ragazzi per favore, fate un attimo di attenzione qui! "

L'attenzione dei presenti si concentra, come da indicazione, sul display del videofonino dove appare una figura femminile, attraente e ben vestita, seduta vicino ad un tavolo.
L'attenzione di uno dei presenti è talmente focalizzata su quanto in vista che sul momento stesso non trova un commento più adatto di.... "Anvedi! E chi è quer mignottone????"

Ci sono dei momenti in cui cambia la percezione del tempo per chi si trova in mezzo a certe scene, in cui capisci che se tiri il sasso, se premi enter, se apri bocca e parli, chissà mai cosa può succedere, ma ormai l'hai fatto. 
Magari quello diceva semplicemente "E' mia moglie, imbecille". Rientreremmo nella fenomenologia classica della goliardata tra colleghi.

Fatto sta che in qualche eterno istante il sullodato mignottone prende vita, si alza elegantemente e se ne va via dal display del telefono... Il proprietario del quale, con lo sguardo terrorizzato, è solo in grado di bofonchiare... "Era collegata in videoconferenza...".

Non lo so, nemmeno riesco a quantificare quanti fiori sarebbe opportuno mandare alla malcapitata per un impossibile recupero. Chissà, a leggere in tempo nella testa dell'incauto. L'unica mossa che vedo possibile era scagliare il telefono fuori dalla finestra mentre il tizio articolava la sua chiosa.

Servono commenti?

giovedì 5 maggio 2011

Figure bibliche/1

Ci sono cose che credo sia un dovere morale condividere. In questa categoria includerei  iniziative ammirevoli, informazioni utili oppure, più prosaicamente, resoconti di cose talmente impossibili da classificare in altro modo che non posso che lasciarle esposte al giudizio di chi legge.

In breve... Se un racconto di vissuto mi fa scoppiare a ridere da solo anche a distanza di anni, diciamo che qualche riga la merita.

Premessa... Il protagonista (diciamo così) è un mio carissimo amico. Persona di valori solidi, carisma da leader, ironia e capacità di sdrammatizzare pure i momenti difficili. Insomma una pasta d'uomo, come si diceva una volta. Ma ogni tanto, come dire, i suoi freni inibitori necessiterebbero almeno di una ricontrollatina alle pasticche...

Fare car sharing con lui, quando potevamo, era assolutamente spassoso. Quella sana mezz'ora prima e dopo l'ufficio in cui la parola cazzeggio poteva essere declinata a ragione.

Una volta si resta incastrati in un ingorgo un po' più impegnativo della media, al termine del quale troviamo un incidentino da paraurti ammaccato in cui era coinvolto un camion. Da questo momento in poi, lascio spazio alla narrazione libera... e non posso non essere testuale nei limiti di quello che ricordo ;)

Io... "Oddio che coioni sti camionisti. Sempre in mezzo"
Lui..."Io li odio sti bastardi, quando succede qualcosa stanno sempre fra le palle"
Io... "Non li  reggo veramente più"
Lui (serio)... "Zitto va, che qualche giorno fa n'ho combinata una..."
Io... "?"
Lui..."Avevamo a cena una coppia di amici di mia moglie. Mi ritrovo in un ingorgo e la chiamo per dire che tardo. Quando arrivo ovviamente mi scuso, dicendo che ovviamente era colpa del solito camionista maledetto che sicuramente aveva provocato qualche casino perchè se doveva fermà a vedè le mignotte, morissero tutti quanti sti bastardi, sta piaga maledetta, loro e la merda che trasportano...."

Insomma, a farla breve diciamo che ha sgomberato in pochissimo tempo il campo da ogni possibile equivoco relativamente alle sue opinioni in materia.

Io..."Ce sei andato in punta de fioretto..."
Lui..."No, è che vedo l'amica di mia moglie che mi guarda con un'aria un po' perplessa, e dopo un po' dice... Ma veramente mio padre fa il camionista!!..."
Io (alle soglie della tenda ad ossigeno)..."Beh, a quel punto dovevi alzarti e darle un destro in faccia come minimo!"
Lui... "Oh, ma lo sai che c'è rimasta male?"
Io..."Cazzo, la gente a volte è veramente strana..."

A questo punto anche una doverosa riga di scuse a tutta la categoria dei camionisti non sarebbe fuori luogo, ma mentre si ride con le lacrime non esce roba sensatissima, va.

mercoledì 4 maggio 2011

Peace with Inches (il discorso dell'allenatore)


Per chi conosce e ama il football, Any Given Sunday poteva essere fatto un po' meglio. Oliver Stone è molto me first e questo dato spesso arriva ad influire troppo su storie sicuramente degne, ben scritte e ben svolte. Ci mette quella sua firma scritta in caratteri troppo grossi e a volte, come in questo caso, pesa un po'.

Preciso, per me non è un brutto film. Ispirato al professionismo vero, con pregi, difetti, miti e storture varie. Verosimile sotto certi aspetti: Lawrence Taylor è una difesa lui da solo, e Terrel Owens è uno stronzo anche nel film, dove non poteva chiamarsi che Terrel Owens. Ok, serve concentrare il tempo in maniera opportuna, serve concedere anche un po' di morgue alla platea che paga per quello. L'infortunio della perdita dell'occhio è schifoso e poco realistico. A livello di infortuni su un campo da football può succedere anche di peggio, purtroppo, in modo molto meno coreografico.

Quasi all'unanimità, il passaggio che vale tutto il film è il discorso del coach prima dell'incontro di playoff contro Dallas. I playoff nel football non si giocano su una serie di incontri. E' la partita secca. One team moves on, one team goes home. Se c'è da tirarle fuori, quello è il momento. E quando un allenatore parla prima di una partita così, sta parlando davanti a un gruppo di uomini per cui in quegli istanti deve essere un esempio, una autorità riconosciuta e indiscussa, perchè non si scherza più. Intensity. Serve davvero.

Ma il discorso è anche altro. Stante il pezzetto di football ethic che difficilmente perderò, vista l'età, è una notevole spiegazione di quanto spesso la vita e il football siano simili, spietatamente. Il discorso è accompagnato da un guitar solo spettacolare: Peace, di Paul Kelly. Retorica, luoghi comuni, pezzettini da palato facile, ma c'è anche un po' di verità. La voce di Al Pacino è vera e matura al punto giusto per un discorso di quel tipo, e nonostante il bel doppiaggio di Giancarlo Giannini, il football per me non parla italiano. Quindi lo speech merita la lingua originale.

I don’t know what to say, really. Three minutes till the biggest battle of our professional lives. All comes down to today. Now either we heal as a team or we’re gonna crumble, inch by inch, play by play, 'til we’re finished.

We’re in hell right now, gentlemen, believe me. And, we can stay here -- get the shit kicked out of us -- or we can fight our way back into the light. We can climb outta hell one inch at a time.

Now, I can’t do it for you. I’m too old. I look around. I see these young faces, and I think -- I mean -- I made every wrong choice a middle-aged man can make. I, uh, I pissed away all my money, believe it or not. I chased off anyone who’s ever loved me. And lately, I can’t even stand the face I see in the mirror.

You know, when you get old in life things get taken from you. I mean that's...part of life. But, you only learn that when you start losing stuff. You find out life’s this game of inches. So is football. Because in either game, life or football, the margin for error is so small -- I mean one-half a step too late, or too early, and you don’t quite make it. One-half second too slow, too fast, you don’t quite catch it.

The inches we need are everywhere around us.
They’re in every break of the game, every minute, every second.

On this team, we fight for that inch. On this team, we tear ourselves and everyone else around us to pieces for that inch. We claw with our fingernails for that inch, because we know when we add up all those inches that’s gonna make the fuckin' difference between winning and losing! Between livin' and dyin'!

I’ll tell you this: In any fight, it’s the guy who’s willing to die who’s gonna win that inch. And I know if I’m gonna have any life anymore, it’s because I’m still willin' to fight and die for that inch. Because that’s what livin' is! The six inches in front of your face!!

Now I can’t make you do it. You got to look at the guy next to you. Look into his eyes! Now I think you’re gonna see a guy who will go that inch with you. You're gonna see a guy who will sacrifice himself for this team because he knows, when it comes down to it, you’re gonna do the same for him!

That’s a team, gentleman!

And, either we heal, now, as a team, or we will die as individuals.
That’s football guys.
That's all it is.

Now, what are you gonna do?

Il video del discorso (con accompagnamento notevole, ripeto) lo trovate qui

Mi pare chiaro che alla fine di un discorso così la squadra esce dallo spogliatoio devastandolo e vince un heartbreaker come ce ne sono anche nel football vero.

Ed è suggestivo, evocativo, onesto il passaggio in cui lui ammette di avere fatto tutti gli errori che a middle aged man can make

No, evocativo nel senso che ho un amico che...