sabato 18 dicembre 2010

"Chi l'ha visto?" e l'informazione sotto pressione

Ho aspettato un po' di tempo per questo post, per crearmi una idea un po' più ragionata dopo le polemiche che hanno riguardato questa trasmissione in seguito al delitto di Avetrana. 
Non parlo del fatto in sè, tristissimo, con una dinamica affatto chiara e con un background umano veramente discutibile. Mi interessa un po' di più il ruolo dell'informazione, della cosiddetta televisione di servizio nella gestione di eventi come questo, soprattutto quando per vari incastri si presentano in diretta.

Ritengo "Chi l'ha visto?" una produzione eccellente. Utile, curata, ben realizzata. Nel tempo si sono avvicendate diverse conduttrici, tutte valide professioniste. Forse la presenza di una figura femminile nella conduzione ha una funzione rassicurante per chi è coinvolto, non saprei dire. Ma tutte persone molto professionali. 

Federica Sciarelli non fa eccezione. Bravissima giornalista, è riuscita nel tempo a dare anche una impronta più connotata a questa trasmissione, portandola spesso al confine fra televisione di servizio e giornalismo di inchiesta. Sotto la sua conduzione questa trasmissione ha fatto degli approfondimenti molto interessanti sul delitto del Circeo, sul caso di Elisa Claps, sullo strano destino di Enrico De Pedis (Renatino), esponente di primo piano della banda della Magliana il cui corpo era seppellito in S.Apollinare in Classe, in regime di extraterritorialità, per il quale il Vaticano aveva pervicacemente negato ogni accesso agli inquirenti, ospitandolo in qualità di noto benefattore finchè proprio questa trasmissione riuscì a raccogliere una serie di evidenze tali per cui la massa critica di dati che si sta accumulando sta facendo muovere anche l'autorità giudiziaria.

Non ho condiviso la pioggia di critiche piovuta sulla conduttrice e sulla trasmissione in occasione dell'annuncio, dato praticamente in diretta, del ritrovamento del corpo della ragazza mentre la madre e l'avvocato erano in casa di coloro i quali in questo momento sono i maggiori indiziati del fatto. 
Nei giorni successivi la giornalista ha dovuto difendere se stessa e l'operato della trasmissione in varie sedi. Se c'è un punto su cui potrei al limite avanzare dei dubbi, non è il fatto che lei abbia letto e dato quelle notizie in diretta, peraltro proponendo più volte l'interruzione. Se si voleva evitare quella situazione, francamente delicata da gestire, c'erano comunque una regia e uno staff che potevano filtrare a monte l'arrivo di quelle notizie, potevano sospendere senza delegare totalmente alla conduttrice la gestione del flusso di informazioni. Almeno per l'idea (limitata) che posso avere sul modo in cui in quello studio possono arrivare le notizie durante la diretta.

Ma mi ha dato un po' fastidio la vis polemica usata in seguito sia verso la giornalista che verso lo staff. E come molto spesso succede in questo paese, si parla senza memoria, senza cognizione di causa, senza sapere in che contesto ci si trovi ad operare. Fastidio ancora maggiore quando le critiche venivano dallo stesso ambiente professionale. Persone che fanno lo stesso mestiere e dicono "l'informazione televisiva non è mai arrivata a tanto in nessun paese". Un approccio di questo tipo, oltre a essere veramente specioso, denota una robusta ignoranza settoriale.

A chi riporta questo episodio come caso estremo di malcostume televisivo mi permetto di segnalare quanto accadde negli Stati Uniti il 22 gennaio 1987. Budd Dwyer, funzionario del ministero del tesoro, accusato di vari reati di tipo corruttivo, per i quali rischiava una sanzione monetaria e 55 anni di carcere.
Alla vigilia della sentenza questo signore convoca una conferenza con le televisioni locali. Legge una memoria difensiva. Si fa consegnare un pacchetto da un suo collaboratore e raccomanda urbanamente alle persone più impressionabili di lasciare la sala ("Please leave this room if it will offend you"), ordinando all'operatore di continuare nelle riprese. Estrae una pistola, allontana chi cercava di fermarlo, e si toglie la vita in diretta TV. Tutto documentato trucemente dal video fino alla fine. L'operatore e la regia forse non avevano in quel momento il discernimento per fermarsi lì, per capire quali fossero le reali intenzioni dell'uomo. Non riesco a farmi un giudizio. La pressione da gestire in quei momenti forse non so nemmeno immaginarla. Diritto di cronaca? Sensazionalismo? Non ho idee davanti a cose così.

Non metto link sull'ultimo fatto citato. Sconsiglio di avventurarsi nella ricerca, perchè questo episodio purtroppo è una specie di cult per milioni di frequentatori della rete, e si trova sicuramente in versione integrale. Si può anche evitare.

venerdì 17 dicembre 2010

Barber Shop

Doveva succedere prima o poi. Quasi un inevitabile statistico, a forza di tirare il dado il numero esce. Dopo mesi e mesi di anarchia tricologica, ho deciso che una volta ogni quattro anni almeno si può anche fare. 

Niente macchinetta, niente do it yourself. Anche se distribuiti secondo canoni non ottimali, i capelli si stavano allungando un po' troppo. Uno dei miei obiettivi minimi è quello di non pensare nemmeno di pettinarmi, la mattina. Quindi di solito li tengo corti. Non importa come, tanto non è che c'è molto da scegliere. 4-4-2, 4-3-3 se proprio mi sento così. Ma corti. L'idea del vellutino in testa mi piace. Solo che stavo esagerando. Appena sveglio sembravo Sordi ne Il maestro di Vigevano (dove c'erano delle leggi che oggi non ci sono più, Bergonzoni).

Due o tre sere di avvicinamento tattico. Passo davanti alla bottega, che purtroppo non ha davanti il canonico oggetto in foto (la mia gratitudine a chi me lo spiega. Mi fa tanto un "Dio c'è" della categoria dei coiffeur...). Sempre tre o quattro persone, e sono le sette di sera. Non è cosa. Non ho più alternative se non il sabato mattina presto. Si va. Comunque due persone davanti. Che ne sai, magari questo è anche bravo, in zona ne avevo visti altri. Entro. Teenager in seduta, che si sta facendo sistemare la folta capigliatura quasi da Emo, a capirsi. Contento lui. Mi sprofondo nella lettura del Corriere (a Roma non va specificato quale). Ma dopo un po' comincio a guardarmi intorno, a riscoprire un po' di oggetti del mestiere che in effetti ti identificano un po' il chi è chi della categoria. Intanto, la disposizione di sedute e lavandini per lavaggio. Se vai dal parrucchiere delle dive, hai la poltrona con l'appoggio per il collo, tiri indietro la testa e vieni lavato premurosamente. Qui no. Sedione piombate imbullonate a terra, devi chinarti in avanti verso il lavandino. E fra le sedie, l'inevitabile cavalluccio per bambini. Metallo appena brunito dal tempo. Soliti prodottini, ma una specie di centrifuga scura mi incuriosisce. Quando arriva il mio turno estrae dal cilindro una coppia forbice-rasoio appena sterilizzati. Wow.

Diciamo che sono un cliente facile, per modica quantità di materia prima. Inumidisci, pettini, dai un po' di forma, nemmeno ti obbligo alla chiacchierata sportiva (se trovo un barbiere che mi parla di football americano a Roma divento cliente fedele, fosse pure er canaro). Quindi mi godo quei venti minuti quasi ovattati in cui posso trastullarmi in inutilities varie, mentre il tizio sforbicia a sua discrezione. Vari preparati che danno idea di stare lì da anni, sebbene le confezioni sembrino nuove. Shampoo di vari tipi, lozioni improbabili, ma soprattutto il vero e proprio totem del barbiere di lungo corso.


In un angolino del bancone, con l'indispensabile plugin della peretta rossa da spruzzo, sta lì, rassicurante. La boccia vitrea del dopobarba Floid. Il tizio ha una faccia inquietante, ma la pettinatura brillantinosa e il sorriso virilmente solo accennato hanno sempre rappresentato l'icona di un facile, dovuto successo con le signore. Non giriamoci intorno. Tutti noi quarantenni poco più poco meno almeno una volta in vita nostra siamo stati da un barbiere in cui era presente il bottigliozzo di Floid. Personalmente non ho mai avuto la tentazione di sperimentarlo, potrebbe esserci del whisky o anche del kerosene là dentro, e comunque sono restio a farmi mettere in faccia una cosa che sta in questo mondo da più anni di me, ma fa simpatia.

E soprattutto ha gradevolmente distolto la mia attenzione da un trifolatore di esistenze altrui di età fra i 5 e i 6 anni, che appena entrato con la madre ha ininterrottamente cantilenato per venti minuti "io non mi voglio tagliare i capelli". La mia solidarietà all'operatore tricologico :)


giovedì 16 dicembre 2010

Anna Politkovskaja

Per capire i processi interni di una società in evoluzione o bisogna esserci o bisogna almeno leggere. Non ci sono santi.
La Russia postcomunista è un mondo di una complessità enorme, quasi proporzionale alla estensione. Ci sono state fasi. La parentesi gorbacioviana. Eltsin, che ha tentato di proseguire l'opera di apertura al mercato. Il mercato si è inserito. 


E Putin. Putin è il prodotto del suo background. 
La Russia di Putin è a tutti gli effetti una democrazia. Con richiami che ricordano a volte una dittatura centroamericana da operetta, a volte la Grecia dei colonnelli. A volte superano tutto questo a destra. Con le chiavi del secondo arsenale atomico del mondo in mano, incidentalmente.
La Russia postcomunista è una realtà fondata sul sopruso e sulla corruzione. Chi ha soldi e potere, chi non ha problemi a fare uso di questi con il condimento di un robusto uso della violenza sale una scala sociale che prima non esisteva.

Anna Politkovskaja (1958-2006) è stata la voce dissenziente più famosa fuori dal suo paese.
Le storie che ci ha lasciato sono il ritratto più vivido e pulsante di quel mondo, dell'occidentalizzazione barbara di qualcosa che era sbagliato ormai dalle fondamenta, ma che è stato riconfigurato ad uso e consumo dell'amoralità più totale. La vita e la morte di questa donna eroica sono una testimonianza nobile di tutto quello che quel mondo può fare, con le sue logiche aberranti. 

Anna Politkovskaja racconta la Cecenia, lo stato che più di tutti è rimasto strangolato nel vortice di indipendenze, distacchi, accordi politici. La Cecenia finora ha richiesto un tributo di circa 200mila vite. E il processo non si arresterà. I racconti non sono e non possono essere inquadrabili come cronaca ufficiale. Lei parlava con i familiari delle vittime, ha smesso di farlo dopo che una famiglia venne passata per le armi per aver parlato con lei. Ma parlava anche con quei soldati russi che non capivano, che cercavano di comportarsi come degli esseri umani, in tutto quell'orrore. Raccontava, scambiava, capiva. 

Ma Anna ha raccontato anche di quello che succedeva all'interno del paese. La strage del teatro Dubrovka, dove l'unico possibile mediatore riconosciuto era lei. E il potere decise di fare semplicemente il suo corso, ottuso come sempre, incurante delle vere e proprie spremute di sangue che spesso impone come semplice marca da bollo sul proprio certificato di esistenza. 
E Beslan, la cosa più atroce che possa succedere in una comunità. Quando arriva qualcuno che non conosci, non puoi individuare, prende un migliaio di bambini e comincia ad usarli sistematicamente come scudi. Anche qui il tributo in termini di vite umane fu atroce. Più di trecento vittime, più della metà erano bambini. E chi si è salvato, a prescindere dall'età, non si riprenderà.
Qui non si tratta di ragionare sui motivi dei terroristi piuttosto che su quelli del potere costituito. Qui si tratta di capire come funziona questo cazzo di posto, parliamo chiaro.

Lei ragiona sui fondamentali. Chi ha successo e chi no.

Chi ha successo.
La storia di Pavel Fedulev, uno degli oligarchi che corrompendo, intimidendo, subornando, picchiando e uccidendo diventa il padrone del suo pezzo di Russia, come ce ne sono tanti a disposizione. C'è spazio, ci sono risorse naturali. I soldi vengono. Le persone vere? Mangiavano merda prima, ci sta che non notino la differenza. E se vogliono migliorare il loro menù devono legarsi al carro giusto. La parabola di questi gentiluomini è quasi comicamente ricorrente. Inventano diritti inesistenti su patrimoni collettivi. Chi non è d'accordo diventa storia molto presto, e chi delinque deve farlo in maniera sempre più bulimica per garantirsi potere, gloria e immunità. Inventarsi una concessione di una ex risorsa statale, magari con annesso sfruttamento di materia prima. Prosciugare, smembrare, spolpare. Nel frattempo la parabola naturale è che uno così diventi sindaco, poi deputato. Un gancio nei servizi o in posti che contano si trova sempre, basta negoziare sul prezzo.

Chi non ha successo.
Chi crede ancora in un ideale, a costo di ammettere a mezza bocca che la sua Patria è altro da Mosca, di cui non riconosce più i comportamenti. La storia amarissima di un giovane ufficiale, comandante di uno dei sommergibili più potenti, e quindi pericolosi, al mondo. Un uomo che non ha stipendio per mesi, che tutte le mattine alle otto cammina con la pancia vuota e con l'uniforme un po' lisa per la cerimonia dell'alzabandiera sul suo battello. La pancia è vuota perchè quando arriva il rancio lui lo porta a casa per dividerlo con la moglie e la figlia. All'alzabandiera deve esserci perchè deve parlare con i suoi ufficiali sempre e comunque. Perchè queste persone quando sono imbarcate devono avere i nervi saldi in qualsiasi circostanza. 

Alla luce di questi scritti, di questi articoli lunghi, puntuali, dettagliati, spietati, commoventi si capisce come e quanto questa donna desse fastidio al potere. Non c'era neppure bisogno del placet. Qualcuno che lavora per l'ordine chiama qualcun altro dicendogli "Hai un mese di tempo, hai tot di budget. Fammi sapere se serve altro".
La firma arriva dalla data, il 6 ottobre è il compleanno di Putin.
La uccidono sparandole in faccia nel palazzo dove abita. Killer a volto scoperto, ripreso da telecamere. Le sparano in faccia per volerla cancellare, fallendo miseramente perchè la fine di questa donna ha cementato la sua vita, il suo operato e la sua testimonianza.

Non posso astenermi da una riflessione. Anna Politkovskaja si è detta in più occasioni schifata dagli sponsor occidentali del new deal russo. Lei fa i nomi. Berlusconi, capo del coro degli osanna dell'occidente. "Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa". "La prima domanda che pose all'amico Vladimir fu come si facesse a incassare il settanta per cento dei voti". Almeno le abbiamo risparmiato la squisita sensibilità del Putin arredatore di interni. Fatico a chiudere questo servilismo, questa deferenza viscida all'interno della realpolitik, della gestione amichevole della bolletta del gas. Mi fa schifo. Le voci come quelle di Anna Politkovskaja non vengono capite. Meno che mai in contesti dove il giornalismo è uno dei tanti aspetti della fabbrica del consenso. Ammesso che possiamo chiamare giornalismo quello che ogni santo giorno dà il suo contributo alla negazione dell'etica del paese, facendo sì che se non la pensi come il tuo interlocutore non puoi non insultarlo e fargli presente che sai tutti i suoi punti deboli. Una delle tante icone di un paese in cui fatico a riconoscermi, day in day out.