lunedì 13 maggio 2013

Analisi e sintesi "2.0"

Sto scrivendo di meno. Più cose da seguire, meno tempo per scrivere come dico io di quello che dico io. E una riflessione di fondo, quasi sistemica: che cosa vuol dire adesso scrivere e pubblicare contenuti in rete? Che senso può avere? A cosa può portare?

Fino ad ora, per scelte personali, mi sono divertito a scrivere di libri, film, football, aneddoti vissuti ma senza risvolti personali o intimistici. Del tutto fuori la vita privata. E poichè in questo blog ho la fortunata condizione di essere il capo di me stesso, non devo rispondere dei tempi e della continuità di produzione, non incorro nella paura di offendere nessuno (sia perchè anonimizzo, sia perchè molto spesso c'è da ridere, ma non da restarci male o offendersi).

Insomma uno sfogo senza troppe pretese. Ogni tanto trovo qualche commento di amici e mi fa piacere, o anche di sconosciuti, che mi fa piacere anche di più. La sintesi non è mai stata il mio forte, se voglio scrivere su argomenti complessi cerco di documentarmi prima su un certo numero di fonti fino a trovare una convergenza accettabile, provo a limare la forma per rendere il tutto più leggibile e quando sono sicuro, magari anche con la pazienza di qualche amico che si presta a una lettura preliminare, clicco su "pubblica" e non se ne parli più. Lo faccio per divertimento, per variare un po' il menù della quotidianità, per svegliare in me e in chi mi legge magari un ricordo divertente, una curiosità. No less no more, nessuna pretesa messianica nè tanto meno politica. Proprio non mi interessa discuterne in questo contesto.

Uno spazio per la discussione


In pratica ritengo di avere un mio modo di utilizzare il mezzo. Molto convenzionale, molto vanilla. Non ho la pretesa di partire da uno spazio bianco e di lasciare una traccia nella storia con un unico taglio alla Fontana, anche perchè non ho quel dono. Mi sto sforzando però di capire dove ultimamente sta andando questo tipo di mezzo, come si evolvono le modalità di fruizione, quali fini si prefigga chi lo usa in maniera estensiva. Nel tempo si sono affermate due modalità di utilizzo della comunicazione in rete un po' antitetiche. Ora, associare blogging e twitting a due categorie di pensiero nobili quali analisi e sintesi può apparire un po' forzato, ma secondo me qualche tratto comune può starci. Gestire e curare un blog, per quanto con la libertà di tempi e modi che vogliamo, è un esercizio articolato. Si cerca un taglio grafico, una impostazione della scrittura, anche un certo insieme di argomenti da cui tenersi lontani. Si ragiona. Si scrive, si legge, si rilegge. Magari qualcosa non torna, magari qualche argomento merita approfondimenti diversi. Il twitting no. E' una intramuscolo di caratteri che alla fine, più che informazioni, rischiano di essere metabolizzati come dati

Quello che mi sta facendo riflettere, al riguardo, è una specie di sopravvalutazione del mezzo. Ho sentito, purtroppo anche su argomenti drammaticamente seri e attuali, rispondere più e più volte con uno ieratico "ti mando un link". Mi è venuta una specie di paura di autoreferenzialità della rete, per più di un motivo: i meccanismi di gestione delle informazioni e di creazione del consenso che soggiacciono ad un mezzo così potente sono intuibili quando non evidenti. L'uccisione della dialettica nelle discussioni in rete mi terrorizza, proprio perchè è la negazione del concetto di agorà che la rete prometteva di essere. Ora mi pare diventato uno dei tanti luoghi in cui semplicemente ha ragione chi urla di più o chi ti sommerge di link, a prescindere dal fatto che i link diano effettivamente una risposta alle questioni che stai ponendo, a prescindere dall'autorevolezza della fonte: a farla facile, anche su internet una cialtronata resta tale. Un male interpretato senso dell'analisi e della sintesi poi ha fatto sì che la rete sia rapidamente diventata il regno delle frasi decontestualizzate. Il gioco della decontestualizzazione è troppo noto e troppo facile. Lo hai scritto, sta lì ben visibile, ti viene attaccato addosso. Che poi si tratti di una affermazione che pesata nel suo proprio contesto ha tutt'altro peso, tutt'altra specificità, tutt'altro significato è ovviamente marginale, no?

Vedo un personale riscontro a quanto ho scritto nella brutta svolta che sta prendendo la dialettica politica in questo paese. Dopo vent'anni di involuzioni, di finti dualismi e altre storie note, c'era finalmente la possibilità di dare una spinta diversa. Ho avuto un robusto interesse agli albori per le istanze presentate dal tizio genovese (scusate, non ce la faccio a definirlo comico: sono di Roma, questo significa che rido con Sordi, Proietti e Verdone. Discorso chiuso). Quando scrisse di Parmalat, di rinnovabili, di molti altri aspetti controversi ero decisamente ben disposto all'ascolto. Portava avanti cose palesemente sotto gli occhi di molti, ma nessuno aveva il coraggio nè la notorietà per fare avere la giusta risonanza a quei fatti. Quando da movimento di opinione si è mosso verso la politica ho cominciato a notare storture che non mi piacevano, da subito. Una di queste era l'autoreferenzialità dell'informazione in rete. Ho perso il conto delle volte in cui verità sacrosante sono sonoramente cadute sulle verifiche, o che la rete stessa ha riportato a galla palesi incongruenze o uscite pesantemente discutibili proprio dal punto di vista umano (due esempi facili facili: gli Inti Illimani e Rita Levi Montalcini). Un'altra era la totale, e sottolineo totale, assenza di dialettica e di confronto: le rare volte che ho parlato con persone che la pensavano come lui, ho avuto una bruttissima esperienza: se ero d'accordo non in maniera completa, totale ed acritica, ma diciamo anche in nove punti su dieci diventavo automaticamente parte del problema. Impossibile tentare di spiegare il perchè di una diversità di opinione, un motivo, un ragionamento. "Vai a leggerti questo, c'è un link che ti spiega davvero come stanno le cose". Fine della dialettica, della gestione di un proprio esercizio critico. E poi c'è il link, sta già bello lì. 

Una buona lettura sui danni che sta facendo l'accettazione acritica di tutto quello che si trova in rete è "Togliamo il disturbo", di Paola Mastrocola. Una insegnante di lettere.

Forse è meglio che mi rimetto a scrivere di football, quando mi va.