venerdì 2 novembre 2012

Il vedovo

 (sottotitolo: elogio del Marchese Stucchi)

Non ho la pretesa di conoscere a menadito tutta la filmografia di Alberto Sordi. Sarebbe impresa ardua e tutto sommato non sono tutti film imperdibili.

L'ultimo vero capolavoro è Il Marchese del Grillo, un precipitato di saggezza romana come pochi, con una resa magistrale. Quella parte non poteva non essere data ad altri e fu un successo notevole.

C'è un gruppetto di film datati che adoro rivedere di tanto in tanto. Sarà per la sensazione del bianco e nero, per la miniera di citazioni che hanno generato, per la forza della recitazione di un attore giovane ma maturo...
Insomma per chi volesse una intensiva di Albertone, mi sentirei di consigliare almeno
  • Un Americano a Roma (e ci mancherebbe)
  • Il vigile (definire spalla Vittorio de Sica fa un certo effetto)
  • Il Conte Max (vedi sopra per Vittorio de Sica...)
  • Arrivano i dollari ("...conte Dei Pasti. Dal momento che il titolo c'è perchè non usarlo!")
  • Il vedovo
... e poi appunto la fase più moderna. Non tantissimo, tutto molto soggettivo. M'è piaciuto Riusciranno i nostri eroi, onore delle armi per Un borghese piccolo piccolo (un po' pesante, onestamente) e applausi a scena aperta per sua eccellenza il Marchese Onofrio del Grillo, inarrivabile.

Il vedovo (1959) è un gioiellino. Trama coerente nell'assurdo. Un imprenditore megalomane e arrivista vuole togliersi di torno la moglie (una fantastica Franca Valeri) per mettere le mani sul suo patrimonio e continuare a salire nella scala sociale. Stereotipi dell'Italia all'inizi del boom. L'amante, i collaboratori, il modello inarrivabile (il mitico Carletto Fenoglio!).

Quei film si tenevano sia su un plot giusto che sulla bravura degli attori. Franca Valeri è perfetta nel ruolo della moglie ricca e cinica. Sordi è al meglio, ci sono scene che resto lì a rimirare, a gustarmi il particolare. La scena della catastrofe ferroviaria è immortale. "Dove è andata la mia stellina bella e buona?"... 

Il film è godibilissimo e ha ritmo e battute. Si trova tranquillamente su youtube.
Resto deliziato dalla qualità degli attori. Sordi e Franca Valeri ovviamente avevano già un nome consolidato. I caratteristi, i cosiddetti generici aggiungono ancora qualcosa al film. Nando Bruno ("Io sono il zio del vedovo"), ma soprattutto un fantastico Livio Lorenzon, nei panni dell'improbabile Marchese Stucchi, merita un deciso elogio del gregario

"Giacca da caccia..."

Il Marchese Stucchi è l'aitante tuttofare della Nardi Ascensori. Nobile decaduto, già comandante in guerra del commendator Nardi. Si abbiglia come blasone comanda, presentandosi in ufficio con la leggendaria giacca da caccia con inserti in cuoio. Parla come gentiluomo d'altri tempi, usando espressioni fantastiche come "bella cera" o "senza fallo", con un italiano privo di inflessioni calato su una bella voce baritonale. Complice obbligato nelle sgangherate idee omicide di Nardi, che lo maltratta oltremodo, mandandolo a comperare effetti cambiari e sigarette, fino a farlo prorompere in un sostenuto "Si ricordi che ho anche io una dignità". Personaggio mai in difficoltà, nè in casa della ruspante amante di Sordi, nè al cospetto del grande Fenoglio. Resta involontaria vittima di un piccolo disguido operativo al momento culminante del film, quando trovandosi costretto ad operare al buio incorre in uno scambio di persona, che racconterà lui stesso durante le esequie del povero Nardi

"...quando ho sentito la voce del povero commendatore che diceva 'Ma che fa Marchese, spinge?' era ormai troppo tardi..."



martedì 9 ottobre 2012

Touch Football

Per evangelizzare le masse al giuoco della palla-lunga-un-piede, esistono utili varianti dello stesso che permettono di mantenerne i tratti essenziali senza la necessità del contatto fisico fra i giocatori.
Non sono dei surrogati, sono delle variazioni spesso anche usate dalle squadre vere per raffinare schemi e automatismi, cercando di minimizzare traumi e infortuni.

I due flavour più noti sono il touch e il flag.
Nel primo un giocatore con la palla in mano si intende placcato quando l'avversario riesce a toccarlo con una o due mani, ci si accorda prima. Più fedele alla realtà è il secondo, in cui il placcaggio si realizza togliendo all'avversario una flag fissata in vita con un velcro. Tutti e due servono per far apprezzare i rudimenti del gioco senza passare per Ray Lewis, a farla facile.

Da giovine, nel periodo iniziale dell'università, ero allegro partecipe delle imprese di un gruppo di debosciati  conosciuti in vacanza aperti a qualsiasi esperienza: uscite, vacanze, zingarate di ogni tipo... Nottate passate sul Risiko filosofando su tutto, improbabili trasferte irpine, goliardate varie ed eventuali.

Una parte del corredo del gruppo era costituita, per motivi lunghi da spiegare, dal pallone da football...
Per un fortunato incastro, infatti, non ero l'unico che si dilettasse con l'insidioso passatempo. Avevo la fortuna di avere la presenza di A, ufficialmente linebacker ma secondo me tight end inespresso. E vista la mole di risate che spostavamo ogni volta, ogni tanto ci stava pure che si riuscissero a coinvolgere gli altri in qualche oretta passata a lanciare in un parco.

Una domenica estiva, ci si trova ad essere in una decina di persone, fra noi e aggregati. In quel di Villa Pamphilj, leggiadro polmone verde nella capitale. Come da planimetria ufficiale presa da sito uebbe, quel parco stupendo ha anche un piccolo lago con un corso d'acqua di poche centinaia di metri che attraversa una parte della villa. Una freccia gialla messa sulla cartina può aiutare a orientarsi per il dopo.

Villa Doria Pamphilj, Planimetria con freccia gialla.


Per coincidenza, quella mattina eravamo sprovvisti di pallone isferico, ma non di pallone da football, vedi i casi della vita. Proponiamo un 5 vs 5 a touch. Per tenere la cosa alla portata di tutti, si fa solo coi lanci, e con traiettorie dei ricevitori elementari: elle interna, elle esterna, hook, post, fly. Giusto per.

Uno dei primus inter pares quel giorno per contorti motivi suoi aveva una calzatura che i meno attenti potrebbero definire non adatta all'attività sportiva. Basti la foto sotto...

Ho visto cose che voi umani...
Va detto che, da calciatore di serie imprecisatamente minori, aveva un cambio di passo che vicino a noi pareva Bolt. Ma Bolt andrebbe dritto, soprattutto con quel tipo di calzatura. Giocando a football ci sta che ogni tanto devi cambiare direzione, tagliare, frenare...

La partita procede accaldata. L'unico pezzo da highlights fino a quel momento era una buona ricezione di C, che stava per fare un frontale con il sottoscritto (a cui deve almeno una ventina di chili di differenza...). Riesco a inchiodare per tempo (non avevo quel tipo di scarpe, ovvio), ad alzarlo da terra e a dargli un bacio in fronte. Tuttora lui dice ai suoi figli che loro esistono perchè io quel giorno riuscii a frenare...

Arriva poi il mio turno in attacco. Una buona serie offensiva, e arriviamo vicino all'area di meta degli avversari, situata nelle vicinanze della freccia gialla. Il climax sale, dobbiamo rimontare. Chiamo i miei schemi, e il mio ricevitore stivalomunito mi fa notare che in coincidenza della sua traiettoria c'è il fiumiciattolo. Cambio al volo lo schema, dicendogli "Non fare dieci passi, fanne sette". Continua a guardarmi perplesso, ma da un certo momento in poi la chiamata del quarterback è cassazione. Ci si perdono le partite per errori di miscommunication, che diamine. Mi guarda, prima della partenza, con aria perplessa. Con fare da veterano navigato, lo conforto pur lasciandolo nel dubbio.

L'azione parte. Al momento del taglio, come mi aspettavo, lascia sul posto il suo marcatore. Lo vedo che si libera, ma qualcosa non torna. Avevo detto sette, non dieci passi. In un eterno slow motion, si vede il mio lancio (calibrato col contagiri per esattamente sette passi) che cade ingloriosamente a terra, si percepisce uno  strano rumorino di sciabordio coperto da un "MAPPORC...." e un inequivocabile splash nelle acque non proprio cristalline del rivoletto...

Tutti quanti distesi a terra in lacrime, tranne il sottoscritto che, tassonomico fino in fondo, voleva spiegare che il lancio era al posto giusto... Ma non feci in tempo. Vedere il mio amico letteralmente nella merda fino alle ginocchia che mi guarda e dice "Stronzo! Hai visto che c'avevo ragione io?" è stato troppo.

Lesson learned: anche il touch football non è completamente privo di rischi...


martedì 2 ottobre 2012

Manzo criminale

Radio24 è ormai una fonte inesauribile di spunti di riflessione. Da un po' di tempo ho fatto caso a uno spottino, garbato nella sua impresentabilità, che decanta un portale tematico costruito con denaro pubblico in Lombardia per mettere in evidenza ai (due?) internauti che vogliano avventurarsi quali iniziative siano in programma: degustazioni, mostre e quant'altro, dove e quando. 
Nulla di sbagliato nè di scandaloso, ma nulla che non possa trovare ospitalità in una apposita sezione di un portale istituzionale già esistente. Non mi avventuro in considerazioni di marketing, ma accostare un settore con un tipo di specificità quale l'agricoltura con una modalità di fruizione quale il web è almeno avventuroso. Può starci che sia un portale specialistico, ma non lo è. 

Il suddetto portale è stato poi menzionato durante Focus Economia dal bravissimo Sebastiano Barisoni, che andava elencando, mentre masticava una compressa di antiacido, le tante spese delle regioni che in un periodo impegnativo come questo faticano a trovare giustificazioni sensate. 
Appunto, parlando delle spese della regione lombarda, Barisoni tuonava giustamente contro voci assurde, come una campagna per un corso di make up (make up, regione Lombardia... una mezza idea di chi può averlo proposto uno ce la può anche avere...). Giganteggiavano i 75mila euro messi a budget per un prototipo di dispositivo per avvistamento scoiattoli, prova evidente che L'Era Glaciale non è stato ignorato al Pirellone.

E questo portalino agreste, che cubava qualche decina di migliaia di euro.

Vabbè. Il fatto che possa essere discutibile veicolare quelle iniziative in rete magari è solo una idea mia. Non mi voglio avventurare a discettare su come viene speso denaro pubblico, giusto per rispetto a Batman che proprio da oggi per un po' di tempo vedrà il sole a quadretti...

E' che mi chiedo...
O intrepido committente, ma come ti viene in mente di chiamare un portale

vuvuvupuntolafacciagiovanedellagricolturalombardapuntoit  ?

E' tautologico che chi si rapporta in questo modo con la comunicazione via web non sa di cosa sta parlando. Se vuoi far passare un concetto, massimamente se vuoi farlo in rete, ti serve immediatezza. 
Immediatezza: non

soggetto-con-attributo-più-complemento-di-specificazione-con-attributo.

Ci mancava solo "lapuoitrovareinquestobelsito", ma non potendo mettere la spaziatura nella url, il lemma finale "belsito" magari in Lombardia un po' stonava. Avranno pure valutato di portare in giudizio organismi quali Icann o Ripe per l'impossibilità di inserire l'apostrofo?

Ma poi questo odio pervicace nei confronti del gestore del DNS. Perchè? Ma se un malcapitato avesse la necessità di fare un whois a riga di comando? 

Per non citare l'aver voluto pertinacemente mettere a rischio la salute dello speaker dello spottino radiofonico, che per dire tutto in un fiato

vuvuvupuntolafacciagiovanedellagricolturalombardapuntoit

(benedetto copiaincolla nei secoli) i suoi rischi li ha corsi. Certo, ti salvano i motori di ricerca, l'autocompletamento del browser, ma in effetti il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e la comunicazione in rete è questo. Insensato, inefficace, inutile.

Non per sindacare su poche decine di migliaia di euro per un portalino insignificante. Ma per questo i soldi ci sono, per gli insegnanti di sostegno no. Per coerenza, mi permetto sempre di ricordare che la vita quotidiana ci mette davanti al fatto che il paese reale non è diverso da chi lo governa, non mi stanco di dirlo.

Identità di politiche regionali fra Lombardia e Lazio...





martedì 11 settembre 2012

In loving memory

Oggi mi andava di scrivere qualcosa di sensato sulla mia vacanza altoatesina, sulle cose stupende che ho avuto modo di vedere, sul verde violento e perfetto degli alberi sopra le montagne. Insomma mi andava di riprendere in mano il blog, perchè è da tanto che non scrivo e stavo facendo la punta a due o tre argomenti sfiziosi.
Oggi no.

Ormai le notizie viaggiano per più canali, si sa. Da un post su Facebook a metà mattinata ho letto che Francesca Bonfanti si è tolta la vita. Oggi, suo compleanno. Nelle prime ore della notte.

Per far capire fuori dal raccordo chi fosse Francesca Bonfanti non ho paragoni da usare. Boh. Forse è un po' come Totti, per parlare di tipi romani: è un problema di chi non ce l'ha. Per paradosso, i suoi colleghi conduttori di radio la stanno ricordando in questo momento, alternando lacrime a risate sguaiate per quello che questa ragazza negli anni ha saputo combinare in radio.

Colta, intelligente, sensibile, gentile, pungente. Sempre allegra. A volte in mezzo al traffico scoppiavo a ridere da solo come un pazzo ascoltando quello che era in grado di fare. Qualche apparizione televisiva, ma non era quello il suo lavoro. Era una assoluta protagonista radiofonica. Spaziava dai modi da compagna di banco (quella che ti prendeva in giro sempre e comunque) alla professionista irreprensibile. 

Francesca Bonfanti (1971-oggi)

La sua trasmissione capolavoro era la leggendaria State bene così.
Definirla come l'equivalente radiofonico di Blob rende un po' l'idea, anche se non aveva le pretese di informare e far riflettere di Blob. Ma era un concentrato di risate a tutto tondo, una presa in giro completa e costante di quello che gira nell'etere romano. Dallo sfottò assoluto alle sgrammaticature dei capi ultras che fanno radio (che ovviamente non le hanno risparmiato offese, minacce e carinerie varie: non sono tutti spiritosi come lei), alla sua personale infatuazione per la leggendaria Robertina di Radio Maria, una baciapile via etere di una cattiveria umana terrificante. Francesca la massacrava ogni tre sillabe.

E vogliamo parlare di quello che poteva fare su Richard Benson? Lei parlava in trasmissione e a tradimento partiva lo stacchetto con l'urlo "I NANIIIIIIII!!!". E io lì a ridere alle lacrime in macchina, con la gente che ti guarda con aria compassionevole. 

Ebbi modo una volta di mandarle una riga tramite Fb sulla sua pagina e mi rispose gentilmente e con la solita verve in pochi minuti. Debordante, deliziosa, caustica, mai cattiva o supponente. Un modo intelligente di farci ridere.
Non sarà facile fare a meno di lei. Chi ci fa ridere non dovrebbe andarsene mai.

No, no e ancora no.


martedì 24 luglio 2012

Let the Phins speak

Non sono un fotografo particolarmente bravo, tutt'altro.
Ma queste immagini mi sono piaciute. Oltre a ricordarmi una giornata bellissima passata con la mia famiglia e con il mio amico più caro, mi hanno fatto riflettere sulle tante declinazioni che possiamo dare a due parole: amore e felicità. L'espressione estasiata della ragazza dice tutto, quindi taccio :)


stupendi

Hold me tight

Let's dance

Love?

mercoledì 4 luglio 2012

Like Milàn, one more time...

Giorni fa ho avuto la possibilità di passare nuovamente una giornata a Milano, città che mi prende tantissimo per tanti motivi. Trattandosi di una trasferta lavorativa, avevo ovviamente scelto gli orari dei voli in modo da poter comunque affrontare eventuali code di riunioni anche a pomeriggio fatto. Ma vuoi per la robusta collaborazione tra colleghi, vuoi per la buona preparazione con cui mi ero avvantaggiato, vuoi per una botta di efficientismo collettivo... a partire da mezzogiorno ero libero, col volo di rientro fissato per le otto di sera!

E che fai per otto ore in una città che ti piace un sacco e in cui, buona sorte, hai pure un po' di amici? Te la vivi alla grande, cavolo!

Prima di tutto, pranzetto sushi in buona compagnia a corso Garibaldi. Locale di tendenza, curato e gradevole (già lo conoscevo), tempi compatibili anche con una pausa mensa appena generosa, una bellissima chiacchierata con una persona amica. Gelato, passaggino in metro, il tempo di salutarsi e poi... e poi mica ho finito gli amici, no?

Passeggiata su Corso Garibaldi

Telefono a G, che ormai è limitativo definire solo amico.
"Come ti raggiungo?"
"Scendi a Porta Genova, prendi il tram numero 9, porta Lodovica, scendi e mi chiami".
Aggancio, ancora indeciso se spararmi l'ardito calembour "Se Lodovica è impegnata chi porto?", e visto l'inevitabile declino della memoria a breve, dopo esatti sessanta secondi richiamo
"Dovevo scendere a Porta Romana?"
"A Porta Genova" (non ha aggiunto un "pirla" come rafforzativo ma ci sta che lo abbia pensato)

Arrivo alla Bocconi, raggiungo G e C che riesco a vedere solo in questi incastri acrobatici, chiacchieratina di presentazione del contesto umano e lavorativo, un po' di pausa e poi... e poi una visita all'interno di quello che probabilmente è il più famoso ateneo italiano, accompagnato da persone che lo conoscono, te lo raccontano con la consapevolezza di chi ci lavora e lo vive. Camminando per i corridoi, le teche coi lavori degli Alumni esposti. La tesi di Monti, ma soprattutto le tesi dell'inizio del Novecento, quando diagrammi a torta, rappresentazioni di trend economici e demografici non venivano ridotti al passaggio di una serie di parametri a un datasheet, ma erano dei veri e propri ricami fatti con il pennino, con la china. Fogli ingialliti dal tempo, disegni fatti a mano, dove le differenze salariali in varie zone erano riflesse dalla dimensione del sacco retto dall'omino. Non so se prevaleva il rispetto, l'ammirazione o la tenerezza vedendo quei lavori. Spero vivamente che gli studenti che passano lì giornate intere ogni tanto spengano i notebook e si mettano a vedere quei capolavori.

Già incantato da quella atmosfera, G e C mi guidano attraverso le biblioteche e le sale di lettura, fino a portarmi in una specie di hangar un po' anonimo, visto dall'esterno, ma che all'interno praticamente ricordava quasi gli archivi vaticani con tutta la letteratura esplorativa di prammatica, da Alberto Angela a Checco Zalone... Ma una volta smaltita la vena ilare per la fila infinita di scaffali, sono rimasto inebetito per la quantità di scibile umano rinchiusa in quel posto. Mi spiegavano cosa ci fosse in quegli scaffali, intere annualità di pubblicazioni tecniche (che so, il Financial Times del 1945, uno non se lo trova davanti tutti i giorni...). E poi i volumi di pregio, libri e codici che hanno in loro veramente il peso della storia, che devono essere consultati in sale con particolari condizioni ambientali... Insomma alla fine uno capisce quando è il caso o meno di usare l'aggettivo "inestimabile". Lì era il caso.

Dopo l'ubriacatura accademica, ci siamo dati un appuntamento in centro con un altro amico. Nell'attesa una passeggiata all'interno del Duomo e in una piazza baciata da un sole caldo ma non opprimente. Giretto in galleria, osservando che ormai una voce fissa a bilancio deve essere dedicata alle cure per l'orchite per il povero toro... E trovandoci immersi in una giornata in cui i milanesismi andavano condensati, a quel punto il gelato da Grom ci stava tutto. Prescindendo dall'enfasi che sta avendo il brand in questo periodo, il gelato è veramente buono, non si può dire nulla.

Alla fine cominciavo un po' ad accusare la sveglia alle cinque del mattino, a Linate mi tuffo da Hudson per trovarmi una lettura per l'attesa e per il volo. Mi siedo, assistendo annoiato alla solita bulimia di connettività di tutti quelli che ho intorno, incuranti del prossimo, che massacrano tranquillamente la loro privacy (oltre alla pazienza del sottoscritto). Solo la tentazione di spiegare al tizio che avevo a fianco quale fosse l'inevitabile esito della sua password scaduta, e poi il volo di rientro, con la tronfia consapevolezza di aver pure beccato un libro interessante...

E a differenza dello scorso anno, non mi sono nemmeno perso dentro Peschiera Borromeo!


giovedì 7 giugno 2012

Petrolini e la vétrØfanîa

Ogni tanto c'è materia per riflettere sul rapporto fra pubblica amministrazione e cittadinanza, sulla famosa distanza fra le parti che viene occasionalmente presa come spunto da nuovi attori dell'agone politico, ovviamente con pieno diritto.

In effetti a volte traspare una percezione così opposta dei problemi che non è possibile non porsi una lunga serie di domande. Sempre le stesse, peraltro.

L'esempio. 
Abito in una zona bella e vitale, che a breve sarà servita anche dalla nuova metropolitana. In questi giorni hanno aggiunto le immancabili strisce blu per il parcheggio a pagamento.
Alcune osservazioni nel merito... Non voglio discettare sulla giustizia o sull'opportunità della cosa, per i residenti si parcheggia gratuitamente. Solo che è fastidioso che tra maggio e giugno bloccano la sosta per pitturare su interi isolati in una zona dove il parcheggio è già di per sè un furto di tempo fastidiosissimo. E' una ovvia manifestazione di una amministrazione bulimica di tasse, per citare il grandissimo Oscar Giannino, che non rinuncia nemmeno a due mesi di introiti. Se avessero dipinto l'asfalto ad agosto non se ne accorgeva nessuno. E passi.

Una parola sulla pianificazione degli spazi di sosta: ovviamente quelli gratuiti sono disposti per lunghezza, quelli a pagamento sono disposti a spina. Quindi gli spazi gratuiti conterranno circa un terzo dei veicoli, contando anche l'ingombro dei cassoni per i rifiuti. Banale strategia commerciale, anch'essa fastidiosa. Ancora più fastidioso è il fatto che lo spazio per le auto nelle aree di parcheggio a pettine permette a malapena l'apertura degli sportelli. E lì il benedetto popolo si autoregolerà, mi pare ovvio.

Ulteriore approccio discutibile è quello di marcare aree molto estese con segnaletica bianca o gialla che impedirebbe la sosta. Come se le aree di scarico merci avessero un senso in un paese che vive parcheggiato in doppia fila. Tolgono solo spazi utili e saranno immancabile spunto per contravvenzioni non appellabili. Fastidiosissimo.

L'unica cosa fatta bene in tutto questo caos paradossalmente è quella che rivela a fondo la distanza fra sovrano e suddito. I permessi da attaccare sul parabrezza sono stati spediti celermente, non è stato necessario fare file, perdere tempo, onorare iter burocratici di fine ottocento. Ad ogni intestatario di automezzo è stata recapitata a domicilio una letterina che spiegava il funzionamento delle nuove aree di sosta e includeva un oggetto misterioso: la vétrØfanîa (accenti sussiegosi aggiunti da me).

Mi scatta automaticamente il collegamento con la magistrale interpretazione di Nerone fatta da Ettore Petrolini. E' il personaggio giusto per questi spunti: quando ricevette una onorificenza dal regime, esclamò in pubblico un fantastico "Me ne fregio!".

Più bella e più superba che pria! Bravo! Grazie!


VétrØfanîa, appunto, pare pronunciata da Nerone nell'immortale scambio
"Roma rinascerà più bella e più superba che pria..."
"Bravo!"
"Grazie...E' piaciuta questa parola... pria... Il popolo quando sente delle parole difficili si affeziona... Ora gliela ridico... Più bella e più superba che pria"

Certo, mettiamoci nei panni del sovrano: scrivere talloncino adesivo fa troppo figurine Panini. Targhetta? Bollino? No, troppo alla portata di tutti... Insomma come lo chiamamo st'adesivetto demmerda che devono attaccà ar vetro? Eccola là: vétrØfanîa (Bravo! Grazie!)

Che poi ce sta tutta... Vetro è autoesplicativo... Fanìa... fatemi broccolare un po', a nome di chi ha fatto il classico... deriva dal verbo φαίνω, mostrare (come epi-fanìa). Quel verbo lì che ci fece familiarizzare per la prima volta con l'aoristo e altre meraviglie del genere. Che ora deve prestare la sua radice ai parti delle menti burocratiche. 

Se lo sapesse il padre Rocci. Sì, quello der vocabbolario...

giovedì 31 maggio 2012

Fenomenologia della Gym

Dopo un primo promettente mese di attività fisica, risistemo un po' di appunti e metto giù qualche nota sull'ambiente.
Pur nel beato limbo dell'anonimato, quanto segue non è proprio un punto di vista da Giovane Marmotta, soprattutto perchè personalissimo risultato di osservazioni condotte su altri. Quindi prendete con indulgenza quello che avrete la bontà di leggere nella sezione delimitata dai due appositi tag...

(mode "Peppino Scorrettezza" on)

Personaggi salienti

La donna ragno - Questa incute timore e soggezione. Non posso dire che non sia bella. Lineamenti notevoli, fisico a dir poco tonico, occhi chiari. Nulla fuori posto. Ma c'è un ma, altrimenti non era nell'elenco. Non è una istruttrice, il che è una aggravante. Il suo programma quotidiano metterebbe in difficoltà un marine. La vedi che fa flessioni staccando le braccia da terra e saltando, che riesce a prendere l'autovelox sul tapis roulant, che alza pesi con lo sguardo, con le vene in evidenza sulle tempie. Ti fai qualche idea su quello che deve essere la sua vita di relazione. In caso di lite, lancia in aria una sedia con se stessa sopra, la schiaccia contro un muro giusto per farti crollare addosso la mensola sulla parete di fronte con piatti e bicchieri. Senza nemmeno toccarti. Non oso immaginare cosa accade quando sta in buona, vediamola così. Non lo so, mi sentirei più a mio agio con Chuck Norris, credo. Ma bella.

Jabba the Hut - Qui la parte buona di me va in difficoltà, lo so che non si dice, ma rileggetevi il tag sopra e non ci pensate troppo. Il nickname è autoesplicativo. E' un cubo, di circa un metro e ottanta di lato. Non credo meno di centocinquanta, a occhio. Nemmeno giovanissimo. Passa mezz'ore a camminare sul tapis roulant e a fare una curiosa e personalissima roulette russa con altri cardioattrezzi. Nota a margine... Magari potrebbe anche portarsi il proprio asciugamano, anzichè lasciare una doppia striscia sul tappetino mobile, quasi a delimitarsi la carreggiata. Si deterge con metri e metri di carta, che magari è lì per pulire gli specchi. Vista l'assiduità degli allenamenti, ci sta che a fine anno in Amazzonia una piazzetta gliela intitolano pure, su. Però fa simpatia, cioè, almeno ci prova. Non riesce a riprender fiato, ma ci prova.

Er poeta connesso - No, non lo accetto. Su questo scatta una mia componente integralista. Già a malapena giustifico la musica in cuffia mentre faccio attività fisica, per una serie di motivi miei. Ma il telefono no. In misura tanto maggiore quanto più il telefono è ovviamente "I", quando viene ostentatamente sfoggiato in una custodia che pare un apparecchio per la pressione, e quando rispondi alle chiamate mentre ti alleni. No, su questo sono netto, al limite del confrontational. Ma il tipo è, come dire, autoconsistente. Capello imperturbabilmente pettinato, fisico non proprio aitante, aria non sveglissima ma pretenziosa. I tre quarti del tempo spesi nelle pause. E mi fermo, con tutto che ho messo il tag...

Un must, per il poeta connesso.


Er playboy ar tempo de la crisi - Devo ammettere che il grande assente in questa fase è la chiacchiera scollacciata da spogliatoio, quella in cui i tizi si avventurano su terreni siffrediani, magari romanzando un po' sulle proprie imprese, in modo più o meno prosaico. No, porca eva. Si parla di spread, di Grecia, al limite di calcio pure se siamo in pausa. No, nessun "l'ho messa così, poi j'ho fatto questo e questo e quella urlava sììììì". Unico tentativo... Simpatico quarantenne piacione, che chiacchierando fraternamente con sodali e istruttori fra un esercizio e l'altro, lamentava il fatto che la sua ultima ex fosse sempre smodatamente e ostentatamente sexy e provocante, anche se la serata era al limite una cenetta scema fra amici. Disgustato, proprio, tant'è che la rimandava via a casa. Ma che mondo, che tempi. Da farsi dare l'indirizzo della tipa, giusto per mera curiosità antropologica.

Un ange passe - Ventenne. Finta. Perfetta. Leggings che nemmeno necessitano del push up. Canottierina minimalista, e sotto non un reggiseno sportivo, ma qualche merlettino. Taccio sul resto dell'intimo. Entra in sala e appunto crea l'effetto definito dall'elegante modo di dire francese. Un silenzio carico di tutto, dalle intenzioni più personali a qualche sentito vaffa perchè viene lì a fotterti la concentrazione. Si mette lì, fa i suoi esercizietti con calma, scambiando insensati cinguettii con qualche habitue che basta uno sguardo per capire che tanto NON. E' come il collirio, oggettivamente. Cioè, tra Jabba the Hut e lei, preferisci allenarti vicino a  lei. Ma è un caso limite.

(mode "Peppino Scorrettezza" off)

e il mio preferito...

Il marchese del Grillo - è un gattone soriano evidentemente sovrappeso che sta costantemente appozzangherato sulle poltroncine poste appena fuori dall'ingresso, che a mia memoria non ha mai eseguito altri movimenti che non delle robuste stiracchiate da post-abbiocco, sottolineate da teatrali sbadigli. Nemmeno gira la testa, ma ogni volta che gli passo davanti mi dà l'idea che mi dica "Aoh, me raccomando aspettame che stò a core là pure io...". Geniale.


mercoledì 30 maggio 2012

Il frigorifero e il wi-fi

In questi giorni, come purtroppo apprendiamo con aggiornamenti continui, un terremoto sta devastando l'Emilia Romagna. Vittime, feriti, danni, disagio, paura. Tutto quello che si porta dietro un terremoto, periodica manifestazione di una natura a cui siamo indifferenti, come Leopardi mirabilmente scrisse nelle Operette Morali. Lontano da me l'idea di fare qualsiasi tipo di ironia su avvenimenti di questo tipo.

Mi capitava incidentalmente di notare come spesso le buone intenzioni siano letteralmente affogate in un mare di pressappochismo, di sciatteria tecnica, di ricerca di consenso. Leggo un articolo su Repubblica.it, tenuto pudicamente anonimo, che avrebbe l'obiettivo di rendere aperta al pubblico la generica connessione wi-fi domestica. L'incipit dell'articolino è assolutamente giustificabile: 

"Per consentire a tutti coloro che non riescono a comunicare via cellulare di collegarsi ad internet, molti comuni invitano i cittadini dei paesi colpiti dal terremoto di oggi ad aprire la propria rete wi-fi domestica."

Non ci fa una piega.

Purtroppo però l'articolino, oltre che decisamente lacunoso dal punto di vista tecnico, non spiega a dovere il rischio introdotto da questo tipo di scelte, anche in un contesto dove le priorità delle persone sono decisamente altre che non collegarsi ad Internet. Si limita ad un generico "alla fine cambiate la password".

Non posso non notare che quando si dispone di una tribuna privilegiata, rispettata ed ascoltata, articoli come questo sono solo da censurare. Non mi addentro in spiegazioni farcite di Man in the Middle, MAC address da abilitare, keylogger, sniffer, furto di credenziali e quant'altro. Ma mi scappa un paragone, giusto per far capire che in una semplicistica divisione binaria tra bene e male, forse quanto suggerito in quell'articolino è male.

Supponiamo di trovarci in un posto e in una situazione in cui, a causa di un evento naturale, un frigorifero diventi una risorsa pregiata poichè è in grado, garantendo la catena del freddo, di svolgere le sue usuali funzioni. 

Mister Smith, proprietario del frigorifero, legge un articolo di questo tipo e pensa che in una emergenza come quella presente, il suo frigorifero potrebbe servire alla collettività, senza alcun tipo di distinguo su chi possa beneficiarne e per quale motivo. Ottimo. Mette quindi il suo frigorifero a disposizione di chiunque dica di averne bisogno. Inizialmente arriverà la signora Davis, che userà un piccolo spazio per conservare un po' di cibo per i suoi familiari. Ineccepibile. Minuti dopo, il vecchio Johnson passa di là e non avendo altro posto per tenersi il whisky in ghiaccio, approfitta di quanto disponibile. Forse il whisky in ghiaccio non è una risorsa di prima necessità, ma Mister Smith non ha modo di verificare o di limitare l'utilizzo del frigo, no?
Arriva poi il turno di James Evil, che proprio non sa dove mettere un po' di resti umani con cui conduce business non meglio identificati. Mister Smith ignora che, essendo suo, la stragrande maggioranza delle impronte rintracciabili su quel frigo sono riconducibili proprio a lui. E James Evil non è uno sprovveduto, e si protegge con i guanti. Senza contare il reverendo Jones, che occuperà un sacco di spazio per metterci dieci lattine, ognuna piena per metà, senza porsi il problema di versare il contenuto delle stesse in modo da usarne solo cinque.
Finchè non arriva Mister Smart che sa bene come è costruito quel frigo, svuota tutto quanto, ci mette quello che vuole lui, e ci lascia per soprammercato un nuovo lucchetto. Con gli ovvi ringraziamenti a Mister Smith, che dovrà sudare non poco per riappropriarsi del suo bene.

Oh, il tutto nell'ipotesi che la rete elettrica a cui è collegato il frigorifero sia ancora attiva...

Fate voi.

martedì 15 maggio 2012

Back to the gym

Era inevitabile. Ero arrivato al punto in cui non potevo più sottrarmi. La parabola era imbarazzante... Atleta, ex-atleta, primo inconveniente chirurgico, lo studio, il lavoro, la vita sedentaria, l'impegno del quotidiano, il lavoro, la vita sedentaria, il lavoro, la vita sedentaria, il secondo inconveniente chirurgico... Riabilitazione, rieducazione, esercizi con la terapista e a casa, con buona costanza, ma alla fine quegli esercizi erano diventati ripetitivi. Finite le motivazioni, finiti gli esercizi, il degrado.

Insomma nell'arco degli anni ero passato dall'avere un fisico ragionevolmente atletico alla classica conformazione da sollevatore di polemiche. Dopo travagli interiori, capziose autoindulgenze e perentorio diktat della mia dottoressa, ho ricominciato a muovermi.

Piano e per gradi, sia perchè alla fine ero completamente fermo da quasi un anno, sia perchè non sono più quello di prima (mancano proprio dei pezzi, da L4 a scendere...). Però mi piace provarci, mi sento meglio. Sostituire una quota parte di stress con una sana stanchezza fisica dà un benessere anche percepibile, un minimo cambio di rotta dopo una fase negativa e involuta.

Il posto è carino e ben frequentato (molto ben frequentato), gli orari me li dipingo io sul quotidiano, ho cominciato con un programmino adatto anche a un fisico da poeta ma non potevo fare diversamente. Noto con piacere che rispetto al periodo in cui alzavo tonnellaggi rispettabili di ferro in palestra, le macchine si sono evolute in maniera terrificante. Qualsiasi esercizio io faccia, la macchina mette prima in sicurezza la mia peculiarissima colonna e fa lavorare solo i gruppi di muscoli interessati. Mi piace, mi dispone bene e per ora ci sto lavorando con buona continuità.

Come pure mi intrigano tutte le cardiofrocerie varie... La camminata veloce, le cyclette, le ellittiche... Certo, non posso non stare lì con l'ossessione di vedere se ho giustificato il panino con la bresaola e il secondo cucchiaino di zucchero nel caffè, però sto riuscendo a togliermi di dosso un po' di ruggine e un po' di chili, il che è un bene.

Magari nel tempo sarò anche in grado di pilateggiare con moderazione, di volteggiare come libellula fra gradini da step e utili ammennicoli del genere, di sopportare percorsi di guerra fatti da allenatori o allenatrici per i quali, inevitabilmente, vale un diverso sistema di equazioni per quanto riguarda la fisica tradizionale.

Al momento, appunto, mi limito alla mia oretta di sgranchimento elementare (no, sugli addominali sto bene anche se li nascondo gelosamente...). E mi limito all'osservazione degli inevitabili tipi umani che incontro. Ancora devo inquadrarli con un filo di obiettività, ma qualche soggetto da bar sport promette abbastanza bene.

E per mia buona sorte tutti quelli che ho a fianco durante i miei esercizi aerobici sono muniti di cuffie, altrimenti penserebbero di stare ad allenarsi accanto a Darth Fener...



Nulla di tutto ciò

mercoledì 2 maggio 2012

Angry Bricks

Lunedì scorso siamo andati ad un evento di Lego dalle parti di Latina. L'organizzazione era curata da un gruppo di cultori del magico mattoncino danese con base a Roma che annualmente traslocano quantità abnormi di modelli costruiti e di scenari da costruire in un unico posto e predispongono esposizioni di vari manufatti, aree giochi per bambini, concorsi a premi.

La mia generazione ha vissuto il passaggio dai giochi vintage all'elettronica di consumo. In sostanza ho la fortuna di aver usato sia i Lego che i videogiochi, e di non disdegnare nessuno fra i due mondi. Certo che però il Lego ti riporta proprio alla prima infanzia, ai pomeriggi steso sul pavimento circondato da centinaia di mattoncini che poi alla fine del gioco riponevo (non sempre) nei fustini di detersivo che mia mamma aveva rivestito con la carta a fiori. 

Adoro i Lego e se proprio devo scegliere sono più per il vecchio approccio dei mattoncini elementari (unica concessione, i coppi a spiovente per i tetti) che non per i pur ammirevoli kit tecnici moderni, che coprono dalla Ferrari di Formula Uno alle astronavi. 
Sono cresciuto con i blocchetti standard due-quattro-sei-otto, per costruire qualsiasi cosa da attaccare poi sulle basi piatte verdi. Magari quando ricevevo qualche scatola tipo la stazione dei pompieri o l'ospedale, prima ci giocavo un po' così come da istruzioni, poi inevitabilmente finiva tutto nel calderone per essere reinterpretato a mia discrezione. All'epoca mi apparivano vere e proprie città, in varia scala e con le dotazioni più assurde. Unica infrastruttura immancabile era lo stadio, ottenuto pitturando il campo su una delle basi verdi e costruendo intorno le gradinate.

I Lego di oggi ormai sono molto più orientati al tecnico che non alla creatività a ruota libera (sciami destrutturati di mattoncini semplici con basi verdi). E ogni tanto mi impongo di comprare qualche Lego per i miei figli, perchè apprezzino anche questo, nonostante lo strapotere dei videogiochi e della tele. Ci gioco, mi diverto, invento, cerco di trascinarli. Alla fine questi mattoncini sono una mirabile opera dell'ingegno umano. Hanno incastri esatti al micron, hanno un processo di fabbricazione immutato nel tempo, pur risentendo degli ovvi strascichi di mercato globale che ormai infesta ogni cosa. Ma il nucleo resiste, l'incastro è ancora perfetto.

Insomma lunedì scorso ho fatto un bel bagno di nostalgia. Nessuno degli organizzatori aveva disponibilità e potenza di fuoco per replicare Legoland nell'Agro Pontino, chiariamo. Legoland è un parco fantastico, enorme per quello che ospita, manutenzione eseguita da tecnici specializzati. E' una vera e propria vetrina del frutto dell'ingegno danese, e come tale viene gestita e promossa nel mondo. Legoland è tutt'altro che uno scherzo. Questo è stato un evento molto ben curato che trasmetteva al pubblico la passione degli organizzatori, che si sostengono con piccole sponsorizzazioni, con iniziative come questa. 

L'attrazione principale era un diorama eccezionale su cui avevano costruito e realizzato praticamente di tutto. Chilometri di binari con trenini di ogni tipo, dalle locomotive a vapore ai treni ad alta velocità, tutti con i loro bravi motori che facevano evoluzioni sincronizzate da un sistema notevole di scambi. Stazioni in stile, passaggi in galleria. Un ponte sospeso favoloso, composto da più di mille pezzi. Porti con navi, città, stazioni di polizia. Veramente di tutto. In fondo un mosaico enorme con il Colosseo, che veniva a mano a mano composto dai visitatori, che dovevano riempire il loro mattone secondo la scheda fornita. Sui lati ogni bendiddio di modelli tecnici. Automobili, astronavi, monumenti, navi, castelli, legioni romane schierate, un set di Star Wars... Insomma, non c'era proprio da annoiarsi!

La cosa che ho adorato era lo spazio libero destinato ai visitatori. Una specie di area franca con cassettoni ripieni di migliaia di mattoncini sfusi di ogni forma e colore, un po' di tavoli su cui mettersi a giocare e la possibilità di riscattare a peso le proprie creazioni... Mi capita in mano la chiglia gialla di una barca. La guardo meglio... Ma sì, proviamoci... "Bambini, cerchiamo pezzetti rossi, ma tanti. Poi un po' di quelli gialli sottili, due mattoncini neri di numero e un po' di bianchi"...

Il risultato finale è in foto :)

La creatura...

Qui scatta la vanagloria. Mentre ero dedito a costruire Terence, le persone che mi passavano vicino cominciavano a fare capannello "Guarda questo che sta facendo". I ragazzi dell'organizzazione hanno capito che stavo andando completamente di improvvisazione e mentre proseguivo, staccavo e riattaccavo, ottimizzavo gli incastri, facevo massa dietro per bilanciarlo, sentivo le persone intorno che mi facevano i complimenti. Alla fine, era la mia prima uscita come "street artist"... Non ho trovato il fotografo ufficiale dell'evento, ma d'accordo con uno degli organizzatori che mi ha proposto di unirmi al gruppo, ho fatto qualche foto della creaturina e gliela ho inviata, magari la metteranno sul sito dell'evento :)

Complimenti a loro per l'organizzazione e per la passione di un mito che ci fa restare bambini un po' di più.


lunedì 23 aprile 2012

Lascia stare i Santi?

La vicenda del Bountygate che ha recentemente coinvolto i New Orleans Saints è una delle storie più urticanti per chi, come me, si ostina ad avere una visione non dico idealistica ma almeno positiva sul football, sul rispetto dei valori di fair play in uno sport strutturalmente duro, violento ma vero e spesso umano. No, nulla di tutto ciò. Questa storia è putrida, non mi viene altro. Un colpevole principale, plurirecidivo. Troppi complici illustri, troppi controllori indulgenti. 

A cosa abbiamo assistito in questi anni a New Orleans? Che cosa resterà della storia di questa squadra? La faccia pulita di Brees, protagonista positivo in campo e fuori, rischia seriamente di essere accostata a quanto è stato appurato in questi mesi. In estrema sintesi è emerso che l'allenatore della difesa Gregg Williams ha costruito e incoraggiato un vero e proprio sistema a premi che incitava i giocatori della difesa a far male agli avversari.

Ho sempre avuto l'idea che sul campo da football non sia necessario tirare a far male. Il contatto violento è insito nella natura di questo sport, senza bisogno di forzature. Giocatori che si colpiscono a piena velocità, contatti che si sentono in uno stadio con ottantamila persone che urlano sotto. Botte, fratture, legamenti, tutto quello che è già compreso nel package pare già sufficiente di suo, no?

I Saints hanno giocato una partita diversa. Gregg Williams, che aveva orchestrato un sistema ad incentivi anche a Washington e a Buffalo, aveva trovato un modo tutto suo per incitare la propria difesa a dare il meglio. Una specie di squallido tariffario che prevedeva tot per levare tizio dalla partita, un bonus aggiuntivo se veniva portato fuori campo con il cart. E aveva i suoi complici: Jonathan Vilma, middle linebacker e capitano della difesa, che aveva anche rilanciato, convincendo i compagni a mettere una fiche nel piatto per aumentare i premi. E Bobby McCray, l'esecutore più conclamato, che riuscì a togliere dal divisional del 2010 Kurt Warner e rischiò di aggiudicarsi questo discutibile jackpot cercando di far male anche a Brett Favre nel championship dello stesso anno.

McCray su Warner
In tutti e due i casi, il plot è lo stesso. Il bersaglio è il pezzo più pregiato, il quarterback. Kurt Warner viene colpito dal lato cieco mentre, con tutti i suoi trentotto anni, cerca di placcare il difensore che lo ha appena intercettato. Non si rialza e finisce la partita. Brett Favre viene fatto sistematicamente bersaglio di late hit e carinerie varie nel corso della partita. Nel placcaggio sotto riportato, abbondantemente dopo il lancio, l'ottimo McCray ci si mette d'impegno sulla caviglia del quarantenne quarterback dei Vikings.

McCray su Favre
Dopo la partita, la caviglia di Favre era ridotta ad un melone verdognolo. La strategicità di quel comportamento apparve chiara. Quelle due partite portarono i Saints al loro primo Superbowl, vinto peraltro con merito e coraggio. Ma resta quella macchia.

La National Football League tiene eccome alla sua immagine, ormai nel mondo intero. Dopo i primi rumors, i primi reclami da parte di giocatori di altre squadre, qualcosa comincia a scricchiolare. Questi giocano sporco. Domenica dopo domenica. Ma sai, visti Raiders e Steelers negli anni settanta, questi sono delle educande. Stop. Non ho detto che giocano duro, non ho detto che giocano in modo intimidatorio. Questi giocano proprio sporco. E qualcosa comincia ad emergere. Una parola che in un mondo con una immagine vincente, in una lega che ormai è rinomata a livello planetario e che ogni anno sfodera un main event che supera il miliardo di telespettatori, nessuno vuole sentire: bounty system. Un sistema di taglie, con bonus in dollari passati sottobanco a chi provoca infortuni agli avversari.

La NFL ovviamente ha i suoi tempi. Prende nota, svolge i suoi accertamenti. E fa rotolare un bel po' di teste dalla collina. Gregg Williams, l'architetto di questo verminaio, radiato a tempo indefinito (vuole appellarsi. Buona fortuna). Sean Payton, il suo capo allenatore, sospeso per un anno senza paga (parliamo di sette milioni di dollari) e senza contatto con i giocatori e la squadra. E adesso tocca ai giocatori. Vilma, McCray, Harper, Sharper i nomi più noti. La NFL ha parlato di una ventina di elementi che rischieranno robuste sospensioni. E qualche silenziosa, inevitabile ritorsione in campo, non illudiamoci. 

E ci saranno altre sanzioni per i Saints, in termini di perdita di scelte e di multe.

E' brutto doverne parlare, ma va fatto. Togliamo i lustrini, le cheerleaders, i fratelli Manning, i lanci da 50 yards. Parliamo anche di questo, perchè serve per capire come funzionano le cose.

Ad eterna infamia di questo modo di fare, ecco la trascrizione del modo in cui Gregg Williams motivava i suoi giocatori a gennaio di quest'anno, prima del divisional round contro i 49ers.

We don't (expletive) apologize for how we're going to play. You're here for a reason.
You're here because we saw in you and we hope we picked the right person that won't apologize for competing the way we have to compete.
There may be better athletes, but not defensive football players that have to go into war tomorrow and play the way we (expletive) play.
A mind troubled by doubt, cannot focus on victory.
The NFL's a production business, don't ever forget about it.
Where are we at right now? We got a tie at the top.
We've got a lot of guys up at the top.
Kill the head and the body will die.
Kill the head and the body will die.
We've got to do everything in the world to make sure we kill Frank Gore's head.
We want him running sideways.
We want his head sideways.
Little 32 (Kendall Hunter), we want to knock the (expletive) out of him.
He has no idea what he's in for.
he's on the sidelines, we've gotta turn that (expletive) over, turn their coaches over, turn the spectators over, go get that (expletive) on the sidelines.
It's a great game, it's a production business.
We hit (expletive) (Alex) Smith right there.
(Williams points to his chin).
Remember me, I've got the first one. I've got the first one.
(Williams rubs his fingers together to indicate he'll pay money for the hit).
Go lay that (expletive) out!
We're gonna dominate the line of scrimmage and we're gonna kill the (expletive) head.
Every single one of you, before you get off the pile, affect the head. Early. Affect the head. Continue, touch and hit the head.
They're gonna come in, they're gonna be shocked with our contact.
They're gonna be shocked with our speed.
They're gonna be shocked with our strip.
Make 'em kick field goals. Be the best defense in that stadium.
Remember the walk-aways, and remember whatever it takes.
Whatever it takes to get on that bus, drive back to that airport, and get ready for the next one.
Respect comes from fear.
This is how you get respect in this league.
We need to find out in the first two series of the game.
The little wide receiver, No. 10 (Kyle Williams) ... about his concussion. We need to (expletive) put a lock on him right now.
He needs to decide. He needs to (expletive) decide.
We need to decide whether Crabtree wants to be a fake (expletive) prima donna, or he wants to be a tough guy. We need to find it out.
He becomes human when we (expletive) take out that outside ACL.
We need to decide on how many times we can beat Frank Gore's head.
We need to decide how many times we can bull-rush, and we can (expletive) put Vernon Davis' ankles over the pile.
We need to decide and when they are fearing us, they give us the ball.
Alex Smith, in the preseason game, when you guys (expletive) avalanched that (expletive), had eyes that big.
You all saw 'em.
Another thing we always say, in this room, is never apologize for the way we compete.
If you're in this room, you understand that. We don't apologize."

Ci sarebbe da seguire l'appello che questo galantuomo farà per essere riammesso ad allenare tra i professionisti. E ce li mettesse lui i legamenti.


lunedì 16 aprile 2012

Er feramenta

(in lingua originale e senza sottotitoli)


In periodi de conclamata crisi de tutto, ogni tanto serve pure sapesse arangià, mette le mani dove de solito uno nun ce se azzarda, vòi pe pigrizia, vòi perchè magari più che aggiustà fai danni. Stante la situazione, er negozietto de feramenta a du isolati da casa se sta a rivelà na benedizione.
E' na vite da legno, nun cercate er messaggio.


E' na specie de antro de Aladino, ner senso che nun è er megaferamenta che c'ha tutto ma nun empatizzi cor commesso e poi c'è da prenne er numeretto e da fa la fila. Figùrate. No, questo è un buchetto, saranno un par de vani più un deposito. Ma essendo solo er titolare, c'hai sicuramente più ascolto sulle cose che te servono, e poi c'hai quello che potremmo definì una diagnostica coerente, cioè parli solo co lui, e se l'input che fornisci è sbajato lui un po' t'aiuta, te 'nterpreta, te corègge la postura, ma se sei propio confuso de tuo, l'output è de conseguenza e la robba che compri, senza giracce attorno, te la dai n faccia.

Va detto che er tizio è ovviamente competente, sennò co sti chiari de luna da quer dì che aveva abbassato saracinesche. Giusta dose de simpatia interpersonale e un debole pe colori pennelli e belle arti che ovviamente me lo fà risurtà simpatico pure quanno vado là a comprà lo sturone pe er lavandino. Cioè, quanno vedo i barattoletti de vernice a ojo che usavo da ragazzo pe fà i modellini dell'aerei, è ovvio che me s'apre er core, no? E quello che me piace, ripeto, è che ce trovi de tutto. 

La rutìn der sabato mattina...
Smerijatore per frullino, e lui t'arisponne "A disco? Pe i metalli? diametro?". 
Devo rifà er tubbo pe aggancià le camicie dentr'all'armadio, che quello vecchio s'è sfarinato er fermo de plastica? Te lo taja a misura, te ce dà i du ganci boni de metallo pe fissallo, e le vitarelle.
Vedo poi i colori... Trovo uno "Steel" acrilico che me servirebbe pe un po' de effetti metallescenti pe le statuette dell'Engri Brrds Speis che sto a fa più pe divertimme io che pei regazzini... "Ma se mischia co la tempera?" "Pe forza, so a base acquosa". A proposito, c'ha pure er Dasse. A panetti da un chilo, che se sparambia rispetto alle confezioni piccole. Ah, e me dia pure er pennello. No de martora, va bene in sintetico ma che nun perde peli.
E il suddetto sturone pe er lavandino pigro "Occhio che questo è forte davero". E me venne un AccaDueEsseOQuattro titolato TQ 175 che va a capì che vor dì. So' solo che poi er lavandino ha fumato e sacramentato pe na decina de minuti, poi coll'acqua fredda è ito tutto bene (aoh, speramo perchè nun me va de dà sordi all'idraulico, pe principio).

E nun me venite a parlà de Leruà Merlen o robba simile, che ortre ar traffico e annesse incazzature pe arivacce, ai commessi tutti uguali che je fanno er corso de formazione e nun te sanno interpretà, e a du ore de fila alle casse, propio nun vale manco er confronto.


mercoledì 11 aprile 2012

Armadi, cassetti, scaffali e ricordi

Vi capiterà ogni tanto di riordinare in casa in maniera radicale, no?
E quante volte la sacra missione viene interrotta da questa o quella cosa che cattura l'attenzione per i più svariati motivi? Poi alla fine i motivi sono più o meno riconducibili al termine ricordo. Sicuramente le fotografie fanno in questo caso la parte del leone. Persone, posti, affetti, amori, risate. E proprio per questo le fotografie hanno vinto in partenza, in questo contesto. Chi di noi non si ritrova una fotografia al parco, chiuso in un passeggino, con un cappellino improponibile in testa, o chi di noi non tira un sospirone su quella foto dei genitori o dei nonni in bianco e nero, che stanno lì e ci ricordano un po' della nostra storia? Proprio per la loro ovvia espressività, le foto andrebbero trattate con la giusta devozione, a parte.

Qui è proprio l'oggettistica in sè che mi acchiappa. E' quasi un post intimistico e di solito non ne scrivo. 
Ma cavolo, spesso mi succede di dover risistemare qualcosa e di imbattermi in altro, che gioco forza mi porta gradevolmente fuori tema. 
E alla fine tiro fuori un elenco di cose che non voglio dire che mi definiscano o che siano parte di me. Ma sono cose che mi fanno pensare, sorridere, ricordare. E che porterei con me fra una fase e l'altra della vita

Un po' di esempi, a capirsi. Ordine rigorosamente casuale.

La mia penna stilografica. Una spettacolare Mont Blanc Meisterstuck, regalatami per la laurea dal professore universitario con cui mia mamma ha lavorato per circa trent'anni. Un oggetto esteticamente superiore, va detto. Il pennino con la punta in oro, numerato. La bottiglina da cui aspirare l'inchiostro. E la voglia di scriverci, prima o poi, qualcosa di bello magari senza macchiarmi le dita di inchiostro per imperizia.

Brillare di luce propria...

Le maglie da football. Una piccola collezione, nemmeno troppo piccola. Due perle, talmente nella leggenda che mi piace indicarle quasi come fossero vini. La Tredici Bianca di Dan Marino, 1984. La Sedici Rossa, Joe Montana, 1990. Non è roba per profani, mi pare ovvio.

La Tredici Bianca
Il coltellino svizzero. Ovviamente Victorinox, regalo di mia moglie. Ho perso il conto delle funzioni installate. Il cavatappi, la penna, il minicacciavite piatto, il cacciavite a stella, il desquamatore da pesce con annesso tool per rimuovere l'amo (sostituendolo con un più congruo la stimo profondamente). Seghetto da legno, lima con righello in centimetri da una parte e pollici dall'altra. E l'immancabile ago per pulire il getto d'acqua sul parabrezza. Fantastico!

La cassetta dei ferri da tasca

Qualche quadernino di italiano delle elementari tenuto in un ordine maniacale, con cui mi bullo con mia figlia tutte le volte che la colgo in flagrante mentre cancella sui suoi :)

Un diario scolastico su cui sorvolo, che avalla comunque l'idea che un diciottenne a volte ha problemi neurali seri.

Autografi sparsi. Non sono mai stato un cacciatore di autografi, ma qualcuno me lo sono ritrovato. Jim Plunkett, fresco di titolo coi Raiders. Sebino Nela, vai a capire i casi della vita, su uno strappo di blocco note. E giuro che non mi ricordo l'occasione. La Roma di fine anni Settanta, gentile omaggio di Roberto Cavallo Pazzo Scarnecchia, ala sinistra dell'epoca, che conoscevo per frequentazioni familiari. I Miami Dolphins del 1984, procuratami dalla mamma di un mio compagno di classe che lavorava all'ambasciata americana. Quelli restano i Dolphins più forti che io abbia mai visto giocare, con Dan Marino a lanciare e una vera e propria leggenda ad allenare: il grande Don Shula, quello della perfect season. Una garanzia, come mi avrebbero fatto notare anni dopo i miei amici insubri (cfr. "Ches chi l'è un Shula").

Sono curioso su cosa uscirà fuori al prossimo giro...


giovedì 5 aprile 2012

Persepolis

Persepolis (2007) è un bellissimo film di animazione, tratto da un libro a fumetti che nel tempo, direi e per fortuna, è diventato un caso letterario.
Una semplice autobiografia dell'autrice, contestualizzata nella storia tormentata del suo paese. Ma dove noi, per somma di luoghi comuni, ci aspettiamo noia e uniformità scopriamo una storia forte e degna, la somma di tante tante vite spese per un ideale, la voglia di ribadire la propria individualità anche quando altri hanno paura a farlo. Tra le altre cose, Persepolis è un bell'invito a riflettere sull'insidia delle generalizzazioni.

Marjane cresce in un contesto borghese, progressista e di buona istruzione.
La storia comincia con lei bambina, che vuole diventare profeta e vietare i dolori reumatici alle nonnine.
Nel 1979 l'Iran comincia a ribollire, dopo un periodo di pax persiana in cui una idea di benessere generale nascondeva quello che succedeva ad oppositori e intellettuali contro.
La caduta dello scià, la rivoluzione islamica.
La rivoluzione però rende l'aria molto pesante, per una famiglia in cui la curiosità per il mondo è vista come una ricchezza e non come una insidia. Una galleria di personaggi utile a far aprire gli occhi. La nonna, tenerissima, ironica e forte davvero. Lo zio comunista e i suoi due cigni di mollica di pane.
Nel tempo, la famiglia decide che Marjane non può stare ancora lì e la mandano al liceo francese a Vienna.

Esperienze paradossali e divertenti, la crescita, le delusioni d'amore. Anche qui una bella fauna, con due imperdibili: Frau Schloss, la professoressa che la ospitava e il ritratto di Markus dopo il tradimento.

Avendo infine constatato che dopo quella pagina della sua vita l'Europa non è più il suo posto e dopo aver davvero rischiato di morire per un tradimento, Marjane ritorna a Tehran all'inizio degli anni Novanta, dove trova un contesto a cui deve riabituarsi e lo stacco è tale da farla cadere in depressione. La guarigione dalla malattia inizia con un esilarante interpretazione di Eye of the Tiger (da Rocky Balboa...). Marjane si rimette in moto, rivuole la sua vita nella sua città con la sua gente, ma a modo suo (grandiosa: "E voi evitate di guardarmi il culo!").

Tutto il film è una alternanza di situazioni esilaranti e di disperazione che deborda. Ideali traditi, persone uccise e perseguitate. Una guerra che non finisce, se c'è ancora qualcuno che non accetta vincoli e restrizioni.

La narrazione termina dove era iniziata, con la nuova vita di Marjane, la partenza per Parigi. Dopo l'ennesimo dramma di una festa di amici interrotta dai guardiani, una fuga sui tetti, l'ennesima vita spezzata.

E l'ultima passeggiata con la nonna sulle rive del Mar Caspio.

Questo film mi ha fatto sorridere quando non ridere davvero. E commuovere. Mi ha fatto pensare tantissimo, ricordandomi che non scappiamo dal fatto che una grossa parte delle nostre aspettative di vita dipende dal luogo di nascita. Non è giusto e ci si può fare poco.

Il libro da cui è tratto è secondo me ancora più bello, vale veramente la lettura. Magari all'inizio siamo rapiti dal tratto dei personaggi, molto Peanuts prima maniera. Il disegno rotondo, l'uso esclusivo del bianco e nero. Ma poi nel seguito sembra proprio che ogni tratto è funzionale alla narrazione, e nulla come il bianco e il nero riescono a trasmettere umori e sensazioni integri, non mediati. Non c'è una scala di grigio. E davvero, si ride, si pensa e ci si commuove.

Marjane Satrapi (1969 and counting) viene definita quasi riduttivamente graphic novelist.
Persepolis è la sua opera principale.  Ha scritto anche altro e in rete si trova moltissimo.

Bella foto di Marjane Satrapi

La libertà ha sempre un prezzo
(M. Satrapi, Persepolis)





giovedì 22 marzo 2012

Once Brothers

"The Balkans produce more history than they can consume"
(Sir Winston Churchill)


La serie 30 for 30 di Espn è una straordinaria raccolta di documentari di storie di sportivi. Spesso esaltanti come la vittoria e la vita, spesso tragiche come la sconfitta e la morte. 

Once Brothers racconta la storia di due campioni veri, Vlade Divac e Drazen Petrovic. 
Vlade e Petro erano i due talenti più noti dell'irripetibile ciclo del basket slavo a cavallo degli anni 80 e 90. La Jugoslavia era ancora tale, e schierava sul parquet un quintetto di leggende: Zarko Paspalj e Vlade Divac erano serbi. Toni Kukoc, Drazen Petrovic e Dino Radja erano croati. Divac pareva uno scherzo della natura: un centro di 2.16 che palleggiava, passava, tirava e si muoveva con una leggerezza e una tecnica impensabili per una struttura come la sua. Petrovic? Petrovic era un mostro, un'arma letale che raramente scendeva sotto i 40 punti a partita, che distribuiva passaggi e giocate con una velocità mai vista prima in Europa. Il Mozart del basket.

E la loro storia sportiva procede di pari passo. Vincono tantissimo, per inesperienza perdono solo contro la Russia di Sabonis alle Olimpiadi del 1988. Fanno sudare maledettamente i leggendari Boston Celtics di Larry Bird in una amichevole. Ma sono pronti al grande passo. E infatti, prima Petro e poi Vlade, sono i primi giocatori slavi ad essere ingaggiati nella National Basketball Association. I due ex compagni di stanza nel centro sportivo di Rogla si ritrovano catapultati in un altro mondo, nel paese delle opportunità.

Le cose all'inizio vanno in maniera differente. 
Vlade ha un impatto immediato nei Lakers, che avevano da poco perso Abdul Jabbar. Anche se non parla la lingua, con gente come Magic Johnson e James Worthy si trova a occhi chiusi. Si impone subito come una stella di valore assoluto, diventa un beniamino dei media, sempre sorridente e spettinato. Vive il suo sogno alla grande.
Petro non ingrana a Portland. Ha davanti due guardie intoccabili: Terry Porter, una macchina di assist, un amministratore di gioco impeccabile, e l'immenso Clyde the Glide Drexler, forse in quegli anni secondo solo a Magic Johnson e a Michael Jordan. Petro gioca pochi minuti a partita, Portland non è Los Angeles, spesso chiama Vlade solo per dirgli che ha fatto uno o due canestri, lui che in Europa raramente scendeva sotto i quaranta punti. I due si sentono, si parlano prima delle partite, continuano ad essere un riferimento di vita l'uno per l'altro.

Nel frattempo in Jugoslavia sta succedendo qualcosa. Il paese accusa le prime istanze separatiste delle varie zone. E' un mondo eterogeneo per dialetti, religioni, politica. E le cose stavano per evolvere in maniera tragica.

Nel 1990 la Jugoslavia non è più propriamente una nazionale di basket. Pare più un gruppo di amici che giocano da dio e riescono a fregarsene delle diversità e dell'etnia, entro certi limiti. E come Jugoslavia vincono il loro mondiale di basket, in Argentina. Nei momenti di gioia e di confusione dopo la vittoria, il classico idiota affetto da smanie di protagonismo entra in campo e vuole imporre a Divac di sventolare la bandiera croata. Divac lo respinge malamente, buttando via la bandiera ("Lo avrei fatto anche con la bandiera serba. Noi eravamo la Jugoslavia") e torna a festeggiare. Quel gesto, in un momento purtroppo delicato, venne strumentalizzato in ogni modo dai media. Avevano il loro mostro, il serbo arricchito che disprezza i croati. E fu l'inizio della fine di una amicizia. Petrovic nei giorni seguenti non commentò. Quando si sentivano al telefono le cose non erano più le stesse, i saluti prima degli incontri erano un pro forma. "Una amicizia costruita in anni venne distrutta in un attimo", dice Vlade con l'amarezza negli occhi.

Nel frattempo Petrovic cambia aria, e trova lo spazio che merita ai New Jersey Nets. E anche l'America assiste alle esibizioni del Mozart del parquet. Titolare indiscusso, macchina da punti ritrovata, è il vero Petrovic sempre all'attacco, che non ha paura di nessuno, che mette 40 punti in faccia a Michael Jordan. Rinasce, ritrova tutto se stesso, ma non il suo amico Vlade. Parlano solo della situazione interna, della guerra, di chi è rimasto lì. Non riescono più a far fronte fra loro, non è più come prima.

Il tutto culmina negli europei del 1991, vinti dalla Serbia trascinata da Divac e Paspalj, con la Croazia che ostentatamente abbandona il podio della premiazione, voltando le spalle ai loro ex compagni, ex fratelli.

E si prosegue in quel modo. Canestri e silenzio. Nel 1992 gli USA, stanchi di perdere alle Olimpiadi, mandano a Barcellona la prima, leggendaria versione del Dream Team. La Croazia perde in finale, nonostante la prova mostruosa di Petrovic. La Serbia è espulsa e non gioca. ll basket, ovviamente, non risolve guerre e politica.

Finchè in una piovosa mattina di agosto del 1993 l'auto guidata dalla ragazza di Drazen Petrovic si scontra con un camion, in Germania. Drazen dormiva, stanco della partita della sera prima. Centomila persone a Zagabria a fianco di una bara bianca, Radja e Kukoc in lacrime. Vlade sente la notizia da un tg, è sconvolto, corre a dirlo alla moglie perchè non può avere più legami con quel mondo. E non avrà più occasione per chiarirsi con chi, per un lungo e irripetibile periodo, è stato amico e fratello.

Passa il tempo, le cose si assestano. Vlade conclude una lunga e onoratissima carriera nella NBA. E ritorna nel suo paese. E' un uomo, prima che un serbo. Va in Croazia, a trovare la famiglia di Drazen. La gente per strada lo guarda, chi con ammirazione (è pur sempre una leggenda vivente), chi con il solito ottuso idiota disprezzo ("Cetnik"). Parla con la madre e il fratello di Drazen, regala loro un po' di foto dei bei tempi, quando erano fratelli e stavano nella stessa stanza.

E il momento più bello e duro di tutto il documentario è l'ultimo minuto, quando Vlade va al cimitero, dà un bacio alla lapide, e lascia in regalo a Drazen la foto. La loro foto. Erano fratelli.



Once brothers