martedì 30 novembre 2010

Stockholm Blues

Durante un InterRail all'inizio degli anni Novanta, capitammo a Stoccolma ad agosto inoltrato. Oltre al clima mite e ai posti da vedere (città  elegante e bellina, anche se non proprio da turismo economico), non giriamoci troppo intorno: gruppettino di universitari romani va lì per motivi intuibili, su.

Per congiuntura positiva, capitiamo nei giorni del Midsommar, il periodo vicino a ferragosto, quando la città ospita iniziative culturali, mostre, spettacoli, insomma fa più che mai da centro di aggregazione in un posto dove per il resto dell'anno, per evidenti vincoli climatici, non è che ci sia una socialità propriamente mediterranea. Sottolineo il termine congiuntura, perchè in quella vacanza la parola "programmazione", che più che altro ci riportava alla mente l'omonimo esame, era stata sonoramente bandita. Questo grazie anche alla natura molto open del biglietto del treno (almeno nello spirito con cui lo stavamo interpretando). Per noi, avere quel biglietto equivaleva semplicemente a una tessera intera rete dell'autobus limitata a quelle zone lì. Troppo, troppo bello.

Insomma Stoccolma. L'obiettivo nemmeno troppo recondito di noi maschietti era chiaro. Per citare l'immenso Cetto La Qualunque, visto il numero di esemplari di ogni colore e di ogni pezzatura possibile, l'obiettivo era, per così dire, la socializzazione.

Ci troviamo quindi seduti con dei surrogati di cappuccino (lì capisci quando manca la Patria...) quando E resta folgorato da una biondina che sostava nelle vicinanze e che ebbe la fortunata idea di fargli un sorrisino. La biondina, peraltro, era anche munita di amica (se dovessi dire che mi ricordo una virgola del loro aspetto mentirei, ma le ragazze nordiche sono mediamente davvero belline). A quel punto E entra in modalità "Ho visto la Madonna" (un pensiero a Mario Monicelli, che non ringrazieremo mai troppo), e non riesce a mollare lo sguardo della fanciullina. Non è che in un gruppo di sei fatichi a trovare un secondo accompagnatore volontario, tant'è che io, forte di un inglese almeno smooth, mi offro per l'improbo compito della mediazione culturale (nota a margine, magari era caruccia pure l'amica).

Ma da quel momento in poi, il destino comincia ad apparecchiare la sua tavola.

Le tipe si muovono e vanno dove devono andare, seguite da me e da E che ci improvvisiamo pedinatori dilettanti per una città che non conosciamo nemmeno in figura. Porcaeva, prendono l'autobus. E prendiamo l'autobus. Scendono. Scendiamo. McDonald. Oddio McDonald no, eravamo al sesto-settimo giorno consecutivo, i valori del colesterolo ormai erano rilevabili proprio tramite la stecca dell'olio motore. Andiamo da McDonald. Tenui approcci visivi, ma vuoi per ordinarietà di aspetto, vuoi per un look del tutto normale (blue jeans e polo chiara, o grigia o bianca), le trattative non decollavano.

Le due simpaticone escono. Io perplesso ma E non molla. Ad un certo punto si va in una piazzetta dove, maledizione, la gente è veramente troppa. A questo punto però non puoi mollare e ti insinui a cercare fra le persone. Ci si cala in una specie di anfiteatro romaneggiante, pieno di gente seduta. Stanchi e un po' demoralizzati, ci sediamo anche noi. Magari vediamo dove sono, o male che vada ci godiamo quello che sembra uno spettacolo che sta per iniziare.

Noto una cosa un po' strana... L'unica differenza cromatica fra noi e l'uditorio è proprio etnica. Noi mori e non altissimi, loro tutti alti e biondi, ma per il resto eravamo tutti più o meno vestiti con i jeans e una maglia chiara.

Ad un certo punto tutto l'anfiteatro si alza in piedi in silenzio, e noi in piedi.
Entra un tizio sul palchetto. Noi confidenti che almeno si capisca qualcosa e si rida. Niente.
Parte una base musicale, e il tizio inizia a dirigere il coro gospel in cui ci eravamo infilati. Venti minuti esilaranti, in cui eravamo tenuti sotto braccio dai nostri vicini di coro, e dopo lo sconcerto iniziale ci siamo adattati almeno a muovere i labiali per non sfigurare.

Ritroviamo il gruppo la sera all'ostello, e veniamo accolti dall'ovvia domanda "Beh?"
Rispondo io "Un trionfo! Ve dico solo che alla fine c'hanno applaudito! Tanto se ve dico come so' andate davvero le cose non ci credete"

1 commento: