giovedì 16 dicembre 2010

Anna Politkovskaja

Per capire i processi interni di una società in evoluzione o bisogna esserci o bisogna almeno leggere. Non ci sono santi.
La Russia postcomunista è un mondo di una complessità enorme, quasi proporzionale alla estensione. Ci sono state fasi. La parentesi gorbacioviana. Eltsin, che ha tentato di proseguire l'opera di apertura al mercato. Il mercato si è inserito. 


E Putin. Putin è il prodotto del suo background. 
La Russia di Putin è a tutti gli effetti una democrazia. Con richiami che ricordano a volte una dittatura centroamericana da operetta, a volte la Grecia dei colonnelli. A volte superano tutto questo a destra. Con le chiavi del secondo arsenale atomico del mondo in mano, incidentalmente.
La Russia postcomunista è una realtà fondata sul sopruso e sulla corruzione. Chi ha soldi e potere, chi non ha problemi a fare uso di questi con il condimento di un robusto uso della violenza sale una scala sociale che prima non esisteva.

Anna Politkovskaja (1958-2006) è stata la voce dissenziente più famosa fuori dal suo paese.
Le storie che ci ha lasciato sono il ritratto più vivido e pulsante di quel mondo, dell'occidentalizzazione barbara di qualcosa che era sbagliato ormai dalle fondamenta, ma che è stato riconfigurato ad uso e consumo dell'amoralità più totale. La vita e la morte di questa donna eroica sono una testimonianza nobile di tutto quello che quel mondo può fare, con le sue logiche aberranti. 

Anna Politkovskaja racconta la Cecenia, lo stato che più di tutti è rimasto strangolato nel vortice di indipendenze, distacchi, accordi politici. La Cecenia finora ha richiesto un tributo di circa 200mila vite. E il processo non si arresterà. I racconti non sono e non possono essere inquadrabili come cronaca ufficiale. Lei parlava con i familiari delle vittime, ha smesso di farlo dopo che una famiglia venne passata per le armi per aver parlato con lei. Ma parlava anche con quei soldati russi che non capivano, che cercavano di comportarsi come degli esseri umani, in tutto quell'orrore. Raccontava, scambiava, capiva. 

Ma Anna ha raccontato anche di quello che succedeva all'interno del paese. La strage del teatro Dubrovka, dove l'unico possibile mediatore riconosciuto era lei. E il potere decise di fare semplicemente il suo corso, ottuso come sempre, incurante delle vere e proprie spremute di sangue che spesso impone come semplice marca da bollo sul proprio certificato di esistenza. 
E Beslan, la cosa più atroce che possa succedere in una comunità. Quando arriva qualcuno che non conosci, non puoi individuare, prende un migliaio di bambini e comincia ad usarli sistematicamente come scudi. Anche qui il tributo in termini di vite umane fu atroce. Più di trecento vittime, più della metà erano bambini. E chi si è salvato, a prescindere dall'età, non si riprenderà.
Qui non si tratta di ragionare sui motivi dei terroristi piuttosto che su quelli del potere costituito. Qui si tratta di capire come funziona questo cazzo di posto, parliamo chiaro.

Lei ragiona sui fondamentali. Chi ha successo e chi no.

Chi ha successo.
La storia di Pavel Fedulev, uno degli oligarchi che corrompendo, intimidendo, subornando, picchiando e uccidendo diventa il padrone del suo pezzo di Russia, come ce ne sono tanti a disposizione. C'è spazio, ci sono risorse naturali. I soldi vengono. Le persone vere? Mangiavano merda prima, ci sta che non notino la differenza. E se vogliono migliorare il loro menù devono legarsi al carro giusto. La parabola di questi gentiluomini è quasi comicamente ricorrente. Inventano diritti inesistenti su patrimoni collettivi. Chi non è d'accordo diventa storia molto presto, e chi delinque deve farlo in maniera sempre più bulimica per garantirsi potere, gloria e immunità. Inventarsi una concessione di una ex risorsa statale, magari con annesso sfruttamento di materia prima. Prosciugare, smembrare, spolpare. Nel frattempo la parabola naturale è che uno così diventi sindaco, poi deputato. Un gancio nei servizi o in posti che contano si trova sempre, basta negoziare sul prezzo.

Chi non ha successo.
Chi crede ancora in un ideale, a costo di ammettere a mezza bocca che la sua Patria è altro da Mosca, di cui non riconosce più i comportamenti. La storia amarissima di un giovane ufficiale, comandante di uno dei sommergibili più potenti, e quindi pericolosi, al mondo. Un uomo che non ha stipendio per mesi, che tutte le mattine alle otto cammina con la pancia vuota e con l'uniforme un po' lisa per la cerimonia dell'alzabandiera sul suo battello. La pancia è vuota perchè quando arriva il rancio lui lo porta a casa per dividerlo con la moglie e la figlia. All'alzabandiera deve esserci perchè deve parlare con i suoi ufficiali sempre e comunque. Perchè queste persone quando sono imbarcate devono avere i nervi saldi in qualsiasi circostanza. 

Alla luce di questi scritti, di questi articoli lunghi, puntuali, dettagliati, spietati, commoventi si capisce come e quanto questa donna desse fastidio al potere. Non c'era neppure bisogno del placet. Qualcuno che lavora per l'ordine chiama qualcun altro dicendogli "Hai un mese di tempo, hai tot di budget. Fammi sapere se serve altro".
La firma arriva dalla data, il 6 ottobre è il compleanno di Putin.
La uccidono sparandole in faccia nel palazzo dove abita. Killer a volto scoperto, ripreso da telecamere. Le sparano in faccia per volerla cancellare, fallendo miseramente perchè la fine di questa donna ha cementato la sua vita, il suo operato e la sua testimonianza.

Non posso astenermi da una riflessione. Anna Politkovskaja si è detta in più occasioni schifata dagli sponsor occidentali del new deal russo. Lei fa i nomi. Berlusconi, capo del coro degli osanna dell'occidente. "Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa". "La prima domanda che pose all'amico Vladimir fu come si facesse a incassare il settanta per cento dei voti". Almeno le abbiamo risparmiato la squisita sensibilità del Putin arredatore di interni. Fatico a chiudere questo servilismo, questa deferenza viscida all'interno della realpolitik, della gestione amichevole della bolletta del gas. Mi fa schifo. Le voci come quelle di Anna Politkovskaja non vengono capite. Meno che mai in contesti dove il giornalismo è uno dei tanti aspetti della fabbrica del consenso. Ammesso che possiamo chiamare giornalismo quello che ogni santo giorno dà il suo contributo alla negazione dell'etica del paese, facendo sì che se non la pensi come il tuo interlocutore non puoi non insultarlo e fargli presente che sai tutti i suoi punti deboli. Una delle tante icone di un paese in cui fatico a riconoscermi, day in day out. 

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