mercoledì 12 maggio 2010

Field of Dreams!

La mia prima e per ora unica visita negli States è stata nel novembre 2007, quando andai allo Usenix-Lisa di Dallas, TX. Per un malato di football come me, che il primo viaggio negli USA fosse nella città dell'America's Team sembrava quasi un regalo del destino. A capirsi, a Dallas non c'è veramente niente. Si mangia dell'ottima carne, si può spendere una mattinata fra Elm Street, Dealey Plaza e il Sixth Floor Museum per vedere i luoghi dell'omicidio di John Kennedy. Skyline riconoscibile dall'Hyatt Regency at Reunion, lo spettacolare albergo dove eravamo alloggiati. Spazi ampi, non troppo traffico, shopping mall qua e là. Un Apple Store serio. Basta, quasi tutto qui. Ma il dato che per me conta, è che questa è la città che da settembre a febbraio respira football come nessun'altra in America.

Il mall più noto nella zona si chiama The Galleria. Molto elegante, è il tipo di mall che ti aspetti nella provincia ricca. Negozi di griffe, commesse stupende, prezzi in linea... Tutte cose che (a parte le commesse) riscuotevano il nostro più conclamato chissenefrega! La tappa d'obbligo iniziale non poteva non essere lo Starbucks (nostalgia canaglia). Poi, mentre D e T si immergono in ogni geek store del mall, io resto ovviamente incastrato nel più grosso Cowboy Store della zona. Un po' di shopping, ma non tifo per loro. Continuo a camminare, finchè non mi imbatto in un negozio nemmeno grande, vista la media.

Field of Dreams.

Una parte del mio paradiso personale è fatta proprio così. Field of Dreams è una catena di punti sparsi negli States dove si possono acquistare cimeli sportivi autenticati di football, baseball, basket, hockey. Per il principio di località valido nel merchandising sportivo USA, Dallas uguale Football. In Texas giocare a football significa semplicemente essere del luogo. Ma in quel negozio non c'era solo l'inevitabile museo dei Cowboys.
Il negoziante (o meglio: la guida dei miei sogni) vedendomi girare rapito fra i banchi si mise a parlare con me, si mise a spiegarmi tutti gli articoli, che coprivano davvero quattro decenni del mio sport preferito. Le cose più recenti (la maglia della prima partita di Adrian Peterson), le glorie della mia adolescenza: maglie originali autografate di Dan Marino e di Joe Montana. Cimeli veramente inestimabili, per chi ama questo sport. Una maglia bianca dei Miami Dolphins, numero 73 e la scritta "Undefeated" al posto del nome. E sono riuscito a leggere qualche autografo: Larry Csonka, Manny Fernandez, Bob Griese, Nick Buoniconti.

Uno di quei momenti della tua vita in cui ti senti più di te stesso, non so dire diversamente. Quando sei esattamente dove vorresti essere, e in nessun altro luogo. Il tizio, impressionato dalla mia passione viscerale un po' stridente con la mia nazionalità, era prodigo di dettagli, spiegazioni, aneddoti. La maglia delle duemila yards di Barry Sanders. La maglia di "The Catch", di Dwight Clark, esposta proprio a Dallas!

E il momento più bello di quel viaggio: quando mi dice quasi con aria cospiratoria "Let me show you this box".

Una scatolona in plexiglas trasparente. Dentro un casco e una foto. Mi tremavano le gambe, davvero. Il casco di John Elway usato nel Superbowl vinto contro i Packers, e la foto leggendaria del 3rd and 7 convertito su corsa. The Helicopter. Per i profani: forse una delle giocate più belle e intense che si siano mai viste in una finale, in cui un trentottenne con una immeritata fama di perdente mise a repentaglio le proprie gambe per guadagnare il terreno necessario per continuare a giocare, neppure per segnare. Forse è meglio che certe cose non siano vendute, che restino patrimonio collettivo degli appassionati.

Rimasi lì, a vedere il casco e la foto, l'azione davanti ai miei occhi, la scelta di correre, i due difensori che lo puntano, il tuffo in avanti a vita persa, a trentotto anni. E il primo down. Sweet Redemption, come avrebbe titolato Sports Illustrated, con una foto di copertina leggendaria.

Mi uscì il più strozzato dei "Thank you for this", quando D e T mi trovarono nel negozio con una espressione che viene sintetizzata bene dalla loro domanda "Mauro, ma ti senti bene?".
Ragazzi tutto a posto. Difficile stare meglio ;)

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