Uno dei miei hobby adolescenziali preferiti era il modellismo. Vista l'ambiguità del termine e la possibilità di generare solenni guerre di religione, mi spingo fino alla dizione corretta di aeromodellismo statico in plastica.
Qualche divagazione sul genere automodellismo in metallo pressofuso, ed una consulenza esperta in famiglia per la costruzione di un modello di portaerei, che però non mi intrigava oltre misura. Non disponendo di un laghetto privato o di un capannone industriale, la scala del modello condannava ad una totale mancanza di particolari sulle parti piccole. Mi limitai a lavorare di scotch e vernice sulla water line esterna della USS Enterprise ma quasi con nonchalance. Come piccola aggiunta avevo perfezionato una specie di scia per i Lockheed in decollo, con un filo di ferro sottilissimo contornato da un po' di ovatta. L'effetto d'insieme, oltre ad essere ributtante motu proprio, snaturava l'idea di modello statico che mi interessava.
All'inizio feci pratica con modelli semplici, in generale in scala piccola 1/72, marche economiche quali Airfix o Italeri, velivoli della seconda guerra mondiale. Un Hellcat, un Henkel HE 111, uno Zero. Più che i modelli in quanto tali, in quella fase era simpatica l'evoluzione della mia piccola cassetta degli attrezzi. Prima una scatolotta di cartone per le scarpe, ma rischiavo che si versassero vernici e solventi, che la colla mi facesse scherzi con il pennello, che il coltellino per incidere sperdesse le lame in giro. Quindi passai alla classica cassetta per gli attrezzi, sebbene piccolina. In un vano le vernici ad olio, in fase di paranoia le lucide in uno scomparto le opache in un altro perchè l'effetto "nero lucente da discoteca" sugli pneumatici di un caccia giapponese non era il top. Qui taglierini e lamette, qui materiale riciclabile, tutto quadrava. Quando la mia tecnica divenne passabile, iniziai a costruire aerei in scala più grande 1/48. Un buon 80% della mia paghetta di quindici-sedicenne era devoluta alla Monogram, rapporto qualità-prezzo eccellente, con punte deliranti verso i modelli Hasegawa, la Ferrari del modellismo statico (vedere il Tomcat in figura).
Ma restava un che di artificiale nel prodotto finito. Buona tecnica, buona cura, ma tutto un po' stereotipato.
Finchè non mi regalarono un bel libro, dove imparai due dritte fondamentali. La prima: investire sul pennello! Non serve una parure di pennellini di tutte le misure. Serve un pennello buono, un pennello di martora numero 3. Feci un mutuo, praticamente... Teneva un quantitativo di vernice sufficiente a non dover intingere nel barattolino ogni tre pennellate, e poteva essere sagomato a punta anche per i particolari piccolini, i dettagli della tuta del pilota. La seconda: la patina di invecchiamento. Un caccia della seconda guerra mondiale perde se sembra appena uscito dalla fabbrica. Allora mischiare in varie parti latte e fiele di bue, un preparato esoterico in vendita presso negozi per disegnatori e pittori ben intenzionati... Avendo già intaccato le finanze per il pennello optai per un surrogato proletario ottenibile con tempera color seppia, latte e un po' di solvente per le vernicette. Risultati passabili.
Poi acquistavo riviste di aeronautica e di modellismo, per vedere come era fatto un circuito frenante, rifarlo con stucco e plastica fusa (argh!!!). Poi la ricostruzione storica. A Roma c'erano due negozi dove era possibile acquistare fogli di decalcomanie di aerei storici (l'Enola Gay, a capirsi). Quando cambiai casa, purtroppo, fu necessaria una sanguinosa selezione dei modellini da salvare, causa riduzione di spazio. Quattro in tutto, due anonimi ma tecnicamente ben costruiti, l'Enola Gay che subì un trauma mortale durante il trasloco, e un caccia Phantom F4 che rappresentava la sintesi di tutte le cose che sapevo fare. Era invecchiato a dovere, avevo staccato le coperture dei freni di coda, ricavato tubi e tubicini dell'impianto lavorando di stucco, il pilota era perfetto, con tanto di bordatura della visiera del casco in silverblack.
Era.
Ma sfiga e un cuginetto piccolo curioso ci misero lo zampino. Fine della storia. Non combinai più nulla, per tanti motivi. Ma chissà...
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