mercoledì 8 febbraio 2012

Fading Route

Mario Manningham. The Fade, Indianapolis 2012
Giorni fa mi sono imbattuto in un documentario molto interessante sulla balistica, sull'evoluzione di proiettili e di armi da fuoco. Un proiettile tondo sparato da un'arma a canna liscia aveva una gittata limitata, la resistenza dell'aria e la gravità avevano la meglio molto presto. Già introducendo una rigatura nella canna di sparo, l'aria induceva una rotazione che aumentava la gittata, perchè il proiettile, anche sferico, cominciava a girare intorno a un asse e aveva un po' di portanza in più. Cambiando poi la forma del proiettile da sferico a cilindro-conico, l'effetto combinato di aerodinamica e portanza contribuì ad aumentare notevolmente la gittata del proiettile.
L'effetto sopra spiegato si chiama stabilizzazione giroscopica. E il documentario stesso spiegava che è esattamente quello che accade con un pallone da football. Le cuciture sul pallone hanno lo stesso effetto. Eterna calamita dello sport che mi piace di più in assoluto.

Il Superbowl di domenica scorsa è stato molto intenso agonisticamente, bello ma non bellissimo. Due squadre toste, difese opinabili ma attacchi di fascia alta. 

I soliti, maledetti predestinati bostoniani che da un decennio mi mandano i campionati di traverso. Ok, non sempre. Troppo bravi, troppo forti, anche belli, con la Gisele in tribuna a tifare per il coniuge. Il loro unico difetto: una presunzione senza limiti, in campo e a bordo campo. Non mi hanno impressionato particolarmente. Hanno avuto un calendario estremamente condiscendente, nella seconda parte della stagione non hanno mai giocato contro una squadra con un record positivo. Hanno ottimizzato le risorse, limitato gli infortuni. Forti, ma non come negli anni scorsi. E per una volta, attaccarsi nella offseason a due fenomeni da baraccone come Haynesworth e Ochocinco non ha pagato. Ci deve essere un limite. La prima squadra vera incontrata in campionato, gli Steelers, li ha zittiti senza se e senza ma. E poi il championship contro gli ottimi Baltimore Ravens, che giocano la partita della vita per buttarla via con due errori nei secondi finali che mandano i predestinati incontro all'ovvio trionfo finale. Sì, ok, The Gronk zoppica ma recupererà e poi figuriamoci se Brady e Belichick non trovano le alternative.

E i Giants. Troppo uguali a quelli che vinsero il titolo del 2007, come attitudine. Prima parte di campionato ingolfati. Da un certo punto in poi capiscono che sono forti, e da lì si giocano le loro chances in ogni maledetta domenica. 
Come nel 2007, un Eli Manning che una volta per tutte ha trovato la sua identità di fuoriclasse a prescindere dall'ingombrante cognome, fraterno e paterno. 
Come nel 2007, una pass rush mostruosa, imperniata sull'asse Tuck-Umenyiora, con Jason Pierre-Paul che ha rimpiazzato degnissimamente Strahan. 
Come nel 2007, una secondaria discutibile. 
Come nel 2007, le corse sulle spalle di Jacobs e di Bradshaw, classico duo da Smash and Dash. 
Meglio del 2007 i ricevitori. Nicks, Manningham e Cruz sono il miglior trio della lega. 

I Giants arrivano a Indianapolis dopo aver massacrato i Falcons in casa, e dopo aver vinto in trasferta contro le due Top Seed del tabellone NFC, gli strafavoriti Packers (come nel 2007) e i rinati Niners, vincendo il championship ai supplementari con un field goal (come nel 2007). E come nel 2007 partono sfavoriti e giocano con la maglia da trasferta.

La partita è equilibrata. Partono bene i Giants, Manning c'è e la difesa mette fretta a Brady. Ma sotto per 9-0, Brady si sveglia e comincia a non sbagliare più nulla. Fra secondo e terzo quarto dà la solita maledetta idea di giocare con la Playstation contro il livello facile. Non ha bisogno di forzare, la sua difesa ha cominciato a tenere, e il parziale di 17 punti consecutivi sembrerebbe chiudere l'incontro, perchè il playcalling dei Giants pare un po' timoroso, Manning stesso a bordo campo è abbastanza imperscrutabile. La difesa newyorkese poi comincia a riprendersi, a mettere Tom Pretty sotto pressione. Manning porta due volte Tynes a distanza utile. Ma si è ancora sul 17-15 per i Patriots, mancano cinque minuti e poco, e Brady ha la palla in mano, con il match point sulla racchetta e la possibilità di fare un po' di clock management. E proprio in quei momenti, in cui devi far passare il tempo, emerge il fatto che sei arrivato al Superbowl con un backfield composto da Benjarvus Green-Ellis e Danny Woodhead. Cioè con due runner insignificanti, che sono utili per far rifiatare il braccio del loro QB, ma che non sono credibili quando devi guadagnare quattro yards per volta e ammazzare il tempo. Belichick stesso non li conta nemmeno, in quella serie. Brady era già stato zippato con un placcaggio di Justin Tuck (rules...), e aveva lanciato un intercetto di pura spocchia. Ma resta pur sempre Brady. La linea gli dà tempo, un sidestep accademico e un lancio su cui l'iperaffidabile Wes Welker, in plastico avvitamento aereo, mette due mani. 
Condizione necessaria ma non sufficiente. 
Incompleto.
E un altro incompleto sul terzo. Punt. Mesko non angola benissimo, non dà troppa profondità, ma tant'è, i Giants hanno la palla sulle loro 12 yds, con 3:46 da giocare. Per mettere Tynes a distanza di sicurezza servono una sessantina di yards. Ma serve anche gestire l'orologio, non lasciare troppo tempo a Brady, che potrebbe non fare due volte lo stesso errore.

In letteratura queste fasi di gioco sono dette clutch time. Non hai più margini di errore. In queste fasi devi fare una somma di tutto quello che hai e di quello che sei. Classe individuale, alchimia di squadra, motivazioni, determinazione, braccio, gambe, occhio. Cuore.

Come sempre nei pro, lo schema chiamato è ovviamente aperto a aggiustamenti e variazioni sulla base della disposizione della difesa. Quarterback e ricevitori non devono neanche comunicarlo, lo sanno e basta. Se il corner si mette così fai questo, altrimenti quest'altro. Non si spiega in due righe, fidatevi. Ma in quel momento la difesa dei Patriots, che aveva retto molto bene, un errore lo fa. Sterling Moore, il corner di fronte a Manningham, si schiera in modo tale da lasciare al ricevitore la corsia esterna, il cushion fra i numeri stampati sul campo e la linea laterale. E il safety, incaricato del potenziale raddoppio, era ancora più interno, perchè lì doveva stare. Ma il corner no. In quel momento doveva posizionarsi diversamente. Perchè difendere una fade corsa da uno più alto e più veloce di te può essere rischioso.

E Manningham ovviamente infila la sua corsia, aprendosi a sinistra e accelerando. Moore non lo perde in velocità, ma la frittata è fatta. Eli Manning mette quella palla a quaranta yards di distanza avendo un margine di errore forse di dieci centimetri, forse. Proiettile che gira, che si tiene in aria quanto basta. Nulla di più e nulla di meno.Tremendo. Arriva radiocomandato fra le mani del ricevitore, il corner attaccato a lui e il safety che arriva e colpisce. Ma anche a velocità naturale si era visto. Il lancio perfetto. Due piedi in campo, la palla mantenuta in mano. Non si può non ripensare alla leggendaria VelcroCatch di Tyree (ehi, come nel 2007). Trentotto yards in un gioco solo, la palla a metà campo. E il suicidio di Belichick, che chiama un challenge dovuto ma insensato. Il cronista... "Two hands on the ball. Two feet inbound. He maintains possession. What are you looking for?". Il replay conferma.

Alla fine il resto è quasi mancia, il TD di Bradshaw che è fregato dal suo istinto e non riesce a frenare per togliere ancora un po' di tempo. L'ultimo tentativo di Tom Pretty, a cui va l'onore delle armi. E il trionfo di una squadra che non parte mai come favorita, ma con cui bisogna sempre fare i conti. Almeno finchè ci sarà un vecchio burbero come Coughlin in comando, e finchè avranno in campo un talento mostruoso come quello di Eli Manning, che secondo qualcuno deve ancora dimostrare qualcosa.

A Giant win, come nel 2007 ;)


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