Non posso scrivere un post ragionato su Dan Marino. E' uno dei due sportivi da cui la mia normale esistenza di tifoso ha avuto di più. L'altro è Ayrton Senna. Ma Senna, purtroppo, molto presto è diventato solo un'icona. Marino no. Il suo modo di giocare, il suo modo di lanciare mi hanno dato amore e passione per il football oltre ogni ragionevole limite.
E' per lui che tifo in modo viscerale per i Miami Dolphins.
E' per lui che ho preso un pallone in mano, ho provato a lanciarlo, poi ho messo anche un casco e un paraspalle e il resto e ho insistito.
Non mi viene semplice parlare del Quarterback, del giocatore che s'è ritirato con venticinque record per quanto riguarda il suo ruolo, che per diciassette anni ha fatto sì che tutte le difese si preparassero contro di lui, sapendo che con lui in campo le partite finivano veramente all'ultima azione. E' quasi una questione di cuore. Un modo di sentire un ruolo.
Negli States mi regalai un bel libro autobiografico "My life in football", imbottito di foto. Un racconto semplice di una persona molto semplice, in fondo. L'amore per la famiglia, l'amore per il football. Una vita privilegiata sotto molti aspetti. Una figura nota e amata dalla comunità, dove svolge ora un bel ruolo. Un quadro di confortante normalità. Uno perbene.
Aneddoti, ovviamente.
Nel 1979 i Kansas City Royals di baseball scelgono due ragazzotti appena entrati al college per il ruolo di pitcher... Al quarto giro Daniel Constantine Marino. Al diciottesimo John Albert Elway Jr. Non so quanto ci capissero di baseball, ma per il football questi signori erano avanti...
Il primo lancio da universitario a Pittsburgh? Un intercetto. Pazienza. Il terzo fu un touchdown.
Le riprese di Ace Ventura. Tutti febbrilmente ad allestire scenari, a predisporre luci. Lui seduto là, un pallone a terra. Uno dei tecnici delle luci fa segno... "Dan! I'm open". Lancio. Una comparsa... "Dan! I'm open". Lancio... Nell'arco di dieci minuti in sostanza si era in pieno allenamento...
Il primo schema chiamato in huddle con i Dolphins, cercando la fiducia nello sguardo dei compagni. E il provvidenziale Nat Moore che gli dice "E' sbagliato, il coach ha detto questo". "Ok ragazzi, al due!"
Il nefasto numero 13. Il babbo era l'allenatore della squadra di baseball nel quartierino di Pittsburgh. Restavano tre maglie e tre giocatori. Le maglie erano 13, 14, 15. E il padre gli disse "Sei il figlio dell'allenatore, dovrai scegliere per ultimo". Quel numero gli è rimasto per una vita sana :)
Si potrebbe proseguire, ma appunto, è tutto molto semplice e lineare.
Dove scatta la molla?
La passione che quest'uomo ci ha messo per diciassette anni, trascorsi nella stessa squadra. Ogni maledetta domenica, si direbbe. Non ha mai mollato nulla, ha vinto, ha perso, s'è preso colpe sue e non. Ha recuperato da una rottura del tendine di Achille, magari scherzandoci "Tanto non ho mai risolto nulla correndo". E senza alcun margine di dubbio, è rimasto il primo nome che emerge nella storia dei Miami Dolphins anche dopo il suo ritiro, anche dopo il ritiro della leggendaria maglia numero 13.
La sua tecnica di lancio, rimasta unica come uno Stradivari. Quel movimento che nessuno, nè prima nè dopo, è mai riuscito neppure ad eguagliare. La velocità nel rilascio del pallone, che gli faceva guadagnare quel mezzo secondo che non aveva nelle gambe. E la potenza, ovviamente. Arcobaleni che ricomparivano cinquanta o sessanta yards più avanti nelle mani di Clayton o di Duper. Traccianti che viaggiavano venti yards sulla stessa linea ad una velocità irreale fino a trovare OJ McDuffie.
Il rispetto verso compagni e avversari, il sentirsi una sola cosa con la linea d'attacco e i ricevitori, ringraziati durante il ritiro della maglia con un toccante "Thanks to all of you guys, you have made life easy for me"
Le parole di Don Shula, quando incoraggiava il suo Quarterback in allenamento, prima della dream season del 1984. "Pick a guy, let it fly": scegli un bersaglio e fai volare quella palla.
Non mi interessa molto se periodicamente gli viene rinfacciato il nulla vinto. Per diciassette anni è stato braccio e cuore di Miami.
Per me è semplicemente Marino e non mi interessano disquisizioni su "il migliore" o meno.
Gli devo molto, a modo mio.
Grazie di tutto, Dan.
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