giovedì 26 agosto 2010

Il souk di Tunisi

La Tunisia è un posto delizioso. Piccolina, si gira benissimo in auto con la dovuta dose di prudenza, poichè segnali e codice della strada sono visti in modo molto discrezionale. Ho avuto modo di andarci per periodi prolungati all'inizio degli anni ottanta. I posti da vedere sono molti. Mete per turistame da gusti facili, quali Cartagine, Djerba o Hammamet (che non era molto ben frequentata in quel periodo), posti noti ai meno quali Sidi Bou Said, punti quasi anonimi, come l'inizio di una regione desertica a Sud dove si poteva vedere la parte finale di un acquedotto romano ancora funzionante e utilizzato.

Tunisi mi evoca ricordi gradevoli. Un gran caldo secco, possibilità di girare in taxi straeconomici, epiche partite a tennis contro mio cugino, che mi lasciava sistematicamente a zero.

Come in ogni città nordafricana, uno dei luoghi da vedere davvero è il souk, il mercato. Nonostante tutta la mia fiera avversione a bancarelle e affini, quel posto m'è piaciuto.

L'entrata classica è in una piazza molto grande alla fine del tipico viale a due file d'alberi, scenario istituzionale delle promenade di Bourguiba.

Il souk è una specie di organismo a sè, città nella città, testa cuore e viscere di un modo diverso di vedere le cose. A patto di osservare un minimo di buon senso, ci si diverte. E' gradevole perdere tempo in dedali di viuzze dove si fatica a passare, dove si vedono abitazioni improbabili ma vere. Le bottegucce non hanno ovviamente costrutto. La macelleria è vicino al negozio di vestiti, magari condivide il magazzino con quello delle scarpe, del cuoio o degli articoli in ferro battuto.

Si trova davvero di tutto, perchè in effetti è un po' uno stock exchange dove passano di proprietà beni veri e propri, e non certificati e carta. Soldo in cambio di merce tangibile, cosa scambiata con cosa. C'è anche il baratto (solo per i locali). Uno degli aspetti qualificanti è una specie di rivalsa sulla civiltà del prezzo fisso. Qui si deve tirare sul prezzo sempre e comunque.

Un venditore di stoffe ci spiegava in ottimo italiano che esistono varie fasce di prezzo: locali, italiani, francesi, americani. Non fatico a vederlo spiegare ad un tedesco che l'ordine era: locali, tedeschi, francesi e americani e via di seguito.
La trattativa è il sale del souk. Bellissime vesti in cotone con tinture minerali. Prezzo suo: settanta dinari. Tu parti da quindici. Di solito sui trenta vi trovate d'accordo. Se ha fretta, o se intravede clientela americana, anche a venticinque.
La cosa curiosa è che un approccio di quel tipo valeva (oggi non saprei) anche per un quarto di bue dal macellaio, sebbene regolarmente prezzato.

E procedendo tra vicoletti più o meno maleodoranti e raccomandabili, facendo lo slalom fra i tavolini delle fumerie, si passa una mezza giornata divertente. Molte cose caratteristiche. Onnipresente ed invadente artigianato del ferro battuto, dove in un negozietto infinitesimale si parte dal piatto decorato a mano, ma ci si possono trovare anche tombini da strada, cassaforti fai da te, interi cancelli già pronti. Il coccio, smaltato o grezzo. Bellissimi i negozi di cotone, matasse coloratissime accatastate ogni dove, la proprietaria solitamente intenta a prepararne altre con una specie di arcolaio, una pioggia di colori magari chiusa fra un negozio di frutta e uno di chincaglierie. E le fin troppo caratteristiche rose del deserto, concrezioni di sabbia e acqua lavorate dal vento nelle maniere più varie. Molto belle, ma avendone disponibilità infinita le mettevano veramente in ogni dove, spesso chiedendo prezzi assurdi (ovviamente a francesi e americani, mica a noi...)

Nonostante mia robusta avversione al genere, è un posto che m'è piaciuto un sacco.


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