venerdì 30 aprile 2010

Il camorrista

Questo film ha una storia singolare. Uscito nel 1986, ritirato con strascichi giudiziari in pochissimo tempo, rispolverato dopo qualche anno dalle televisioni.Il film è un racconto romanzato che si agganciava alla realtà dell'epoca. Riferimenti a fatti e personaggi noti, solida conoscenza di comportamenti sociali e connivenze politico-imprenditoriali.

Le due teste pensanti di questo film sono personaggi di indubbio spessore artistico e culturale. La regia è di Giuseppe Tornatore (che anni dopo ci avrebbe regalato l'indimenticabile Nuovo Cinema Paradiso), il plot è stato sviluppato con la collaborazione del grandissimo Giuseppe Marrazzo, uno dei migliori giornalisti italiani degli anni Settanta-Ottanta, un eccellente professionista che si è sempre battuto con le sue legittime armi per contribuire a creare una cultura della legalità nelle regioni del sud, documentando quali drammi e quali distorsioni socioculturali creassero le varie criminalità organizzate e le loro perverse alleanze.

Il film si presta a molte letture diverse, alcuni personaggi offrono il fianco anche al grottesco, quando non ad una comicità più truculenta che altro. Ma l'intersezione con la realtà è ben presente e merita approfondimenti. Anche Roberto Saviano ci racconta in Gomorra come frasi, comportamenti, perfino refrain musicali siano ormai componenti quasi codificate di un registro linguistico locale, di una sorta di jargon file usato al confine fra il legale, il paralegale e il malavitoso. L'ascesa del Professore viene scandita da momenti che in una realtà comunque distorta vorrebbero ricalcare l'iter di formazione di una leadership criminale, di una successione sanguinosa ad un trono. "O' Malacarne è nu guapp'e cartone", forse la frase più nota del film, dipinge in modo sin troppo ritualizzato quali fossero le modalità di avvicendamento ai vertici delle associazioni, come si rompevano e si stabilivano equilibri. Col sangue. E con l'omertà, come appare ostentatamente durante la scena dell'omicidio del boss calabrese, dove tutti i carcerati in cortile per l'ora d'aria si girano uno alla volta, per non vedere quanto stava per succedere.

I riferimenti al reale si limitano all'identificazione di un po' di personaggi, a volte accennata, spesso al minimo indispensabile, sebbene molto chiara per chi conoscesse la cronaca dell'epoca. E' fedele come ricostruzione dei sistemi operativi e della contrapposizione cruenta fra i clan e racconta bene il livello di penetrazione delle organizzazioni criminali in tutti gli aspetti della dinamica sociale del territorio, dall'imprenditoria alla vita comune. Il personaggio principale (chiaramente ispirato a Raffaele Cutolo) nel tempo aumenta il suo potere, cementa col sangue la sua leadership, ma resta comunque lo sconfitto della storia, chiuso definitivamente fra quattro mura e lasciato solo anche dalle persone più vicine. Buoni attori, colonna sonora volutamente ossessionante. Un film onesto, con qualcosa da raccontare.

Un film che ebbe vita brevissima in sala e una notevole rivalutazione postuma, un po' come Febbre da Cavallo. Ma questa è un'altra storia...

1 commento:

  1. Lo aspettavo come il Natale, e non sono rimasto deluso. Mi resta l'idea del Saviano ante litteram, e non e' certo una critica...

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