venerdì 20 maggio 2011

Cecità (Josè Saramago, 1995)

Disclaimer. Non è un post serio.

Yawn. Estraggo da quarta di copertina.

"In un tempo e un luogo non precisati, all'improvviso l'intera popolazione diventa cieca per un'inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un'esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici."

Cecità è un romanzo strano. Io non posso criticare Saramago, una bella mente del presente (oltre che un premio Nobel), non ho nè l'intenzione nè meno che mai gli strumenti culturali per farlo. 

Per curiosità mi sono addentrato nella lettura di questo libro. La trama è semplice, sviluppa una situazione non collocata in tempo o spazio, quindi molto adattabile. Una epidemia di cecità (un velo bianco calato su tutto) si diffonde tra la popolazione in maniera graduale ma costante, senza che nessuno capisca le modalità del contagio, le possibilità di cura o altro. C'è chi si approfitta del malanno piovuto sul suo prossimo per un furto d'auto e diventa cieco poco dopo, chi si ritrova improvvisamente cieca e nuda su un letto di albergo dopo un incontro... Alcuni personaggi vengono disegnati meglio perchè comporranno una sorta di squadra di persone intorno alla quale viene incentrata la narrazione. Il dottore, la ragazza con gli occhiali, l'orbo, il ragazzino che non trova la madre. L'unica persona che mantiene il senso della vista, la moglie del dottore, arriva a fingersi cieca per non abbandonare il marito e nel corso del racconto si carica sulle spalle le vite di altre persone in maniera silenziosamente eroica.

Interessante è il modo in cui Ordine e Potere si manifestano nel racconto. Segregazioni di gruppi, nonostante la scienza non si pronunci sul contagio nè sulla natura del morbo. Razionamento del cibo, lasciato però in mano a bande di prevaricatori.

E il racconto della degenerazione della natura umana. Cibo in cambio di soldi e oggetti, stupri, omicidi, egoismi. Un crescere di anarchia che deve confrontarsi anche con la putrescenza di una civiltà moderna in abbandono, dove i frigoriferi non congelano più, le pulizie non le fa più nessuno.

E un barlume di speranza finale, dopo qualche rivisitazione più genuina del modo su cui fondare dei rapporti interpersonali, su cosa sia perdonabile nella vita o meno.

Non è un libro brutto, ci mancherebbe. Ripeto, non mi permetterei nemmeno.

E' solo che.... è solo che non lo so, pare un vettore di angosce esistenziali condensato e squadernato sapientemente una pagina via l'altra. I luoghi, i casermoni squadrati. I morti lasciati lì esposti a meno che altri ciechi non si organizzino alla bell'e meglio per le sepolture. Il disfacimento... Il tutto con una tecnica narrativa sua, che non ti permette di distinguere narrazione da discorso, nessun segno di interpunzione che ti dica che stia parlando il personaggio e non l'autore. 

Il commento di quella quota parte di Cetto La Qualunque che alberga in ognuno di noi sarebbe un sintetico ed esplicito "Du cugghiuna tanto..."

Con il dovuto rispetto per l'autore, una recensione forse un po' scolastica (e senza voler mancare di rispetto anche con una certa comicità involontaria) ma sicuramente più sensata della mia è questa

Io resto a metà fra "un libro da leggere" e "uomo avvisato mezzo salvato".

Certo che se ci metteva le virgolette del discorso diretto però...

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