mercoledì 8 febbraio 2012

Fading Route

Mario Manningham. The Fade, Indianapolis 2012
Giorni fa mi sono imbattuto in un documentario molto interessante sulla balistica, sull'evoluzione di proiettili e di armi da fuoco. Un proiettile tondo sparato da un'arma a canna liscia aveva una gittata limitata, la resistenza dell'aria e la gravità avevano la meglio molto presto. Già introducendo una rigatura nella canna di sparo, l'aria induceva una rotazione che aumentava la gittata, perchè il proiettile, anche sferico, cominciava a girare intorno a un asse e aveva un po' di portanza in più. Cambiando poi la forma del proiettile da sferico a cilindro-conico, l'effetto combinato di aerodinamica e portanza contribuì ad aumentare notevolmente la gittata del proiettile.
L'effetto sopra spiegato si chiama stabilizzazione giroscopica. E il documentario stesso spiegava che è esattamente quello che accade con un pallone da football. Le cuciture sul pallone hanno lo stesso effetto. Eterna calamita dello sport che mi piace di più in assoluto.

Il Superbowl di domenica scorsa è stato molto intenso agonisticamente, bello ma non bellissimo. Due squadre toste, difese opinabili ma attacchi di fascia alta. 

I soliti, maledetti predestinati bostoniani che da un decennio mi mandano i campionati di traverso. Ok, non sempre. Troppo bravi, troppo forti, anche belli, con la Gisele in tribuna a tifare per il coniuge. Il loro unico difetto: una presunzione senza limiti, in campo e a bordo campo. Non mi hanno impressionato particolarmente. Hanno avuto un calendario estremamente condiscendente, nella seconda parte della stagione non hanno mai giocato contro una squadra con un record positivo. Hanno ottimizzato le risorse, limitato gli infortuni. Forti, ma non come negli anni scorsi. E per una volta, attaccarsi nella offseason a due fenomeni da baraccone come Haynesworth e Ochocinco non ha pagato. Ci deve essere un limite. La prima squadra vera incontrata in campionato, gli Steelers, li ha zittiti senza se e senza ma. E poi il championship contro gli ottimi Baltimore Ravens, che giocano la partita della vita per buttarla via con due errori nei secondi finali che mandano i predestinati incontro all'ovvio trionfo finale. Sì, ok, The Gronk zoppica ma recupererà e poi figuriamoci se Brady e Belichick non trovano le alternative.

E i Giants. Troppo uguali a quelli che vinsero il titolo del 2007, come attitudine. Prima parte di campionato ingolfati. Da un certo punto in poi capiscono che sono forti, e da lì si giocano le loro chances in ogni maledetta domenica. 
Come nel 2007, un Eli Manning che una volta per tutte ha trovato la sua identità di fuoriclasse a prescindere dall'ingombrante cognome, fraterno e paterno. 
Come nel 2007, una pass rush mostruosa, imperniata sull'asse Tuck-Umenyiora, con Jason Pierre-Paul che ha rimpiazzato degnissimamente Strahan. 
Come nel 2007, una secondaria discutibile. 
Come nel 2007, le corse sulle spalle di Jacobs e di Bradshaw, classico duo da Smash and Dash. 
Meglio del 2007 i ricevitori. Nicks, Manningham e Cruz sono il miglior trio della lega. 

I Giants arrivano a Indianapolis dopo aver massacrato i Falcons in casa, e dopo aver vinto in trasferta contro le due Top Seed del tabellone NFC, gli strafavoriti Packers (come nel 2007) e i rinati Niners, vincendo il championship ai supplementari con un field goal (come nel 2007). E come nel 2007 partono sfavoriti e giocano con la maglia da trasferta.

La partita è equilibrata. Partono bene i Giants, Manning c'è e la difesa mette fretta a Brady. Ma sotto per 9-0, Brady si sveglia e comincia a non sbagliare più nulla. Fra secondo e terzo quarto dà la solita maledetta idea di giocare con la Playstation contro il livello facile. Non ha bisogno di forzare, la sua difesa ha cominciato a tenere, e il parziale di 17 punti consecutivi sembrerebbe chiudere l'incontro, perchè il playcalling dei Giants pare un po' timoroso, Manning stesso a bordo campo è abbastanza imperscrutabile. La difesa newyorkese poi comincia a riprendersi, a mettere Tom Pretty sotto pressione. Manning porta due volte Tynes a distanza utile. Ma si è ancora sul 17-15 per i Patriots, mancano cinque minuti e poco, e Brady ha la palla in mano, con il match point sulla racchetta e la possibilità di fare un po' di clock management. E proprio in quei momenti, in cui devi far passare il tempo, emerge il fatto che sei arrivato al Superbowl con un backfield composto da Benjarvus Green-Ellis e Danny Woodhead. Cioè con due runner insignificanti, che sono utili per far rifiatare il braccio del loro QB, ma che non sono credibili quando devi guadagnare quattro yards per volta e ammazzare il tempo. Belichick stesso non li conta nemmeno, in quella serie. Brady era già stato zippato con un placcaggio di Justin Tuck (rules...), e aveva lanciato un intercetto di pura spocchia. Ma resta pur sempre Brady. La linea gli dà tempo, un sidestep accademico e un lancio su cui l'iperaffidabile Wes Welker, in plastico avvitamento aereo, mette due mani. 
Condizione necessaria ma non sufficiente. 
Incompleto.
E un altro incompleto sul terzo. Punt. Mesko non angola benissimo, non dà troppa profondità, ma tant'è, i Giants hanno la palla sulle loro 12 yds, con 3:46 da giocare. Per mettere Tynes a distanza di sicurezza servono una sessantina di yards. Ma serve anche gestire l'orologio, non lasciare troppo tempo a Brady, che potrebbe non fare due volte lo stesso errore.

In letteratura queste fasi di gioco sono dette clutch time. Non hai più margini di errore. In queste fasi devi fare una somma di tutto quello che hai e di quello che sei. Classe individuale, alchimia di squadra, motivazioni, determinazione, braccio, gambe, occhio. Cuore.

Come sempre nei pro, lo schema chiamato è ovviamente aperto a aggiustamenti e variazioni sulla base della disposizione della difesa. Quarterback e ricevitori non devono neanche comunicarlo, lo sanno e basta. Se il corner si mette così fai questo, altrimenti quest'altro. Non si spiega in due righe, fidatevi. Ma in quel momento la difesa dei Patriots, che aveva retto molto bene, un errore lo fa. Sterling Moore, il corner di fronte a Manningham, si schiera in modo tale da lasciare al ricevitore la corsia esterna, il cushion fra i numeri stampati sul campo e la linea laterale. E il safety, incaricato del potenziale raddoppio, era ancora più interno, perchè lì doveva stare. Ma il corner no. In quel momento doveva posizionarsi diversamente. Perchè difendere una fade corsa da uno più alto e più veloce di te può essere rischioso.

E Manningham ovviamente infila la sua corsia, aprendosi a sinistra e accelerando. Moore non lo perde in velocità, ma la frittata è fatta. Eli Manning mette quella palla a quaranta yards di distanza avendo un margine di errore forse di dieci centimetri, forse. Proiettile che gira, che si tiene in aria quanto basta. Nulla di più e nulla di meno.Tremendo. Arriva radiocomandato fra le mani del ricevitore, il corner attaccato a lui e il safety che arriva e colpisce. Ma anche a velocità naturale si era visto. Il lancio perfetto. Due piedi in campo, la palla mantenuta in mano. Non si può non ripensare alla leggendaria VelcroCatch di Tyree (ehi, come nel 2007). Trentotto yards in un gioco solo, la palla a metà campo. E il suicidio di Belichick, che chiama un challenge dovuto ma insensato. Il cronista... "Two hands on the ball. Two feet inbound. He maintains possession. What are you looking for?". Il replay conferma.

Alla fine il resto è quasi mancia, il TD di Bradshaw che è fregato dal suo istinto e non riesce a frenare per togliere ancora un po' di tempo. L'ultimo tentativo di Tom Pretty, a cui va l'onore delle armi. E il trionfo di una squadra che non parte mai come favorita, ma con cui bisogna sempre fare i conti. Almeno finchè ci sarà un vecchio burbero come Coughlin in comando, e finchè avranno in campo un talento mostruoso come quello di Eli Manning, che secondo qualcuno deve ancora dimostrare qualcosa.

A Giant win, come nel 2007 ;)


domenica 5 febbraio 2012

La nevicata del 12

Nessun remake del califfo, ci mancherebbe.
Vedere la propria città con un costume che indossa raramente fa un certo effetto.

Non è che uno non sa cosa sia la neve. Ogni tanto ci si va.
Nemmeno a digiuno di neve in città. Un paio d'annetti fa uno sternuto di neve su Roma c'è stato. Poi nel giretto danese di neve ne avevamo la cantina piena. Solo che... solo che dite quello che volete, la neve a Roma è un'altra cosa. Sembra un enorme palla di vetro come quelle che ci facevano vedere i nonni, che ora se ne trovano sempre meno. Piaccia o no, Roma è un assemblato storico e architettonico unico al mondo. E' una sovrapposizione, un periodo storico dopo l'altro, un architetto dopo l'altro, un papa dopo l'altro. E' Roma, punto e basta. E una nevicata come questa non me la ricordo. Quella dell'85 (86?)... sì, ok, mi divertivo con il mio cane, un pastore tedesco di una mole e di una bellezza esagerate. Ma è passato un po' di tempo. Il lato bello di una situazione così è quasi banale. Il panorama, inusuale quando non irreale. Le risate dei bambini di città, per una volta stimolati a mollare tv e videogiochi a casa. L'aria, fredda e diversa. Lo scrocchio della neve fresca sotto i piedi. Lo sfrollare dai rami degli alberi, il più truce dei gavettoni, se capita. Svegliarsi e aprire gli occhi su uno spettacolo come quello in foto.

Roma 4 febbraio 2012 (grazie Carla!)
La folla al parco davanti casa. Slittini, sacchi della spazzatura per il monnezza ski, variante proletaria del bob. Pupazzoni di neve per tutti i gusti. Quelli minimalisti fatti dai bimbi, quelli d'artista, seduti sulla panchina che leggono il giornale, quelli sfatti con la boccia di vino in mano e anche altro in mostra. E i cani nel loro spazio, i vialetti pieni come nemmeno nelle domeniche di sole. Non è la solita Roma, impigrita e ultimamente un po' abbrutita. E' bella e vitale, non so cosa altro dire.

L'altra faccia della nevicata, molto meno romantica e divertente. Già il 20 ottobre 2011 una pioggia un po' più sostenuta della media ha messo la viabilità in ginocchio. Tempi di percorrenza medi quadruplicati, nel caso buono. Qualche giorno dopo, il quadrante nord completamente paralizzato per l'apertura di un grossista di elettronica di consumo con vendita di dicasi novanta iPhone sottocosto. In questi giorni c'è stata la solita saga tutta italiotica di mettere il deretano a massa dando ad altri la colpa della propria totale sciatteria. Una amministrazione mediocre. Uno squallido rimpallo di responsabilità con la protezione civile. Il tipo di confronto in cui speri che arrivi nel mezzo un meteorite a dirimere civilmente la questione. Il sindaco capace solo di lanciare imperativi categorici, dopo essere comparso nelle prime ore dell'immane catastrofe sfoggiando un autoesplicativo look alla Putin. Una pioggia di indicazioni sbagliate: che vuol dire didattica sospesa e scuole aperte? Sua eccellenza lo sa che se lui ordina l'indefettibile utilizzo delle catene e c'è gente che lo ascolta quelli si rovinano gli pneumatici e con tre centimetri scarsi di neve l'asfalto viene massacrato? Sarebbe bastato seguire un normalissimo meteo o televisivo o internettiano. L'arrivo della perturbazione bolscevica era stato annunciato con tre giorni tre di anticipo. Lo spargimento di sale, fatto prima che su twitter fiorissero i canali del tipo #attaccaattacca o #evitateilgra, avrebbe risparmiato un po' di stress alla prole dei Cesari. D'altra parte, non credo che si possa pretendere anche un uso frequente del pensiero strutturato da parte di chi ha come unica preoccupazione la propria immagine e la propria poltrona.

A questo punto aspetto con una certa impazienza una giornata da 43 gradi a ferragosto. 
Fenomeni imprevedibili.

giovedì 2 febbraio 2012

Pasolini

Premetto, doverosamente. Su questo argomento non è mia intenzione fare sfoggio di una preparazione specifica che non ho, nè di esprimere idee o opinioni, se non personali, su un personaggio di una complessità molto più vasta rispetto alle cose su cui di solito mi scappa di esercitarmi. Pasolini, la sua vita, le sue opere, le sue idee e la sua fine non sono argomento di cazzeggio.

Non credo che mai come in quel caso la fine di una persona sia stata funzionale al sistema da lei criticato in maniera radicale, dissacrante e feroce. Quanto ha fatto comodo che Pasolini avesse trovato quella morte, in quel contesto degradato e squallido, in quel modo. L'incastro fra verità ufficiale e evidenze fattuali ancora non ha trovato pace, dal 1975 a oggi. 

Ultimamente (grazie a chi ha caricato materiale su Youtube) ho avuto modo di avvicinarmi al Pasolini regista.
E il percorso tra i film del primo periodo (Accattone e Mamma Roma) e quelli successivi (Porcile, Salò o le 120 giornate di Sodoma) è una descrizione abbastanza efficace di come una sensibilità come la sua, dura, viscerale, evoluta, potesse essere una nota stonata per tutto un establishment, politico e culturale. Ho capito la definizione di intellettuale scomodo. E se l'Italia ne ha avuto solo uno, questo non può essere che lui. Storie che raccontano il sottoproletariato urbano, la meschinità dei sentimenti, la volgarità intrinseca delle persone, la corruzione dell'uomo. In sottofondo Roma che si espandeva brutta e sgraziata nei quartieri popolari postbellici, prati sciatti con casermoni nascenti, foraggio e oro di politici e costruttori. Don Bosco, la Magliana. Negazione di qualcosa che potesse incoraggiare il bello. Personaggi di conseguenza. Sfruttatori di prostitute, ladruncoli, corrotti, borghesucci scipiti. No, Pasolini sembrava non salvare nessuno, forse per il fatto che si muoveva in un contesto in cui l'aspirazione legittima ad un miglioramento pareva ammantata da un perbenismo, una volgarità strisciante, un amore per il soldo e il potere in quanto tali. Forse il suo pensiero non ha perso una briciola di attualità.

Quello che mi ha sorpreso è vedere nei suoi film attori che ho visto in altri contesti. Diretti da lui. Non ho visto la parte fatta da Totò in Uccellacci e uccellini, ma vedere Anna Magnani in Mamma Roma è qualcosa di bello. La forza espressiva di Nannarella è inarrivabile, la sua capacità di essere una leonessa cattiva e ferita insieme crea empatia anche nei riguardi di un personaggio che ha un'etica almeno discutibile, al sentire comune. Ex prostituta, madre prima assente e poi ossessiva, traffichina e ricattatrice. Ma quanto poteva essere brava.

E quegli attori che siamo abituati a conoscere sotto altra luce, poi.
Paolo Bonacelli, fantastico avvocato di Johnny Stecchino ("I'ttraffico. Troppe macchine!"), è il reggente depravato (a dir poco) in Salò. Una recitazione talmente perfetta, una prova di cattiveria e negatività.

Alberto Lionello e Ugo Tognazzi in Porcile. I due nazisti ripuliti che passano da avversari a complici, ognuno dei due arrivando a nascondere o dimenticare l'inconfessabile che può danneggiare l'altro. Una prova impressionante di Lionello, maestoso nella sua caratterizzazione hitleriana del personaggio. 

Il volto pasoliniano per eccellenza ovviamente è Franco Citti, che ha lavorato con PPP in molte occasioni. Suo fratello Sergio collaborava nelle sceneggiature. Citti aveva lineamenti popolani, induriti, caratteristici. L'istantanea che mi resta più in mente su Franco Citti è la scena in cui Accattone, ubriaco e offeso, si sciacqua la faccia nel Tevere per poi tuffarla nella sabbia. Il bianconero regala un effetto che resta impresso, come si vede dal "capture" qui sotto

Franco Citti, Accattone, 1961

Per capire in una frase i motivi di attrito fra uno come lui e una cultura dominante è indicativa l'ultima uscita del protagonista della seconda storia intrecciata in Porcile, il selvaggio cannibale catturato sull'Etna, prima di essere lasciato esposto ad bestias. "Ho ucciso mio padre. Ho mangiato carne umana. Sto tremando di gioia". Mi pare sufficiente.

Per chi volesse affrontare un personaggio ostico e unico, la rete è una miniera. Mai come stavolta però vale la solita cautela di esaminare un numero congruo di fonti, e fare le dovute verifiche.

Bello veramente l'omaggio di Nanni Moretti in Caro Diario, non posso non segnalarlo





lunedì 30 gennaio 2012

Piccolo spazio pubblicità

Domanda retorica: ci prendono per deficienti? Risposta banale: sì.

Ultimamente ho tempo da buttare per fare la punta all'insensatezza di campagne, cartelloni, spot in radio e in tele. No, non ci siamo nemmeno un po'. Capisco che sulla mediocrità altrui ci si possano fondare imperi, ma certi stili che avrebbero la pretesa di essere più penetranti e più efficaci mi lasciano più offeso che perplesso, devo essere sincero.

La menzione d'onore va al genio che ha scritto lo spottino di uno smacchiatore, paventando che "la paura della prima volta è sempre che qualche macchia rimanga" (qualcosa di simile), e alla tele l'inconsapevole casalinga sventola un tovaglione quadrettato nell'immancabile prato fiorito.

Avrei qualche obiezione da fare all'ultimo trend che mi fa salire una sontuosa arrabbiatura, quasi da urlargli contro quando sono nell'impossibilità di cambiare canale. Gli spot delle auto che pretendono di farti la morale. Li colga un fulmine, tutti indistintamente. Dal tizio che in crisi di vita si reinventa una wildilife per poi risalire sull'immancabile coupè da settantamila in versione base, allo spot in cui ti rinfacciano che hai passato una vita cercando di stare alle aspettative altrui ed è ora di dire basta, ovviamente a un certo TAN e TAEG, senza anticipo e con maxirata. Li odio. Mi dà sullo stomaco l'ipocrisia. Dimmi che è un bel giocattolone da 200 orari, pieno di tecnofrocerie di ogni tipo, che a modo suo per quelle prestazioni consuma pure poco, ma non ti mettere a disquisire sul fatto che la mia elevazione spirituale e realizzazione di uomo passi attraverso quello. Un Pietro Maso è bastato e avanzato, no? Niente. Implacabili. O la superfamiglia con villino elegantoso e monovolume pronta, con madre che ancheggia sensuale con la figlia e immancabile cagnolone scodinzolante, o la mena nazionalista di chi velatamente e cortesemente sbeffeggia i modelli della concorrenza. Puah.

Il top del top mi intristisce quasi, devo essere sincero. Politicamente ho sempre avuto un atteggiamento consapevole e critico, ma in sostanza non ho mai spostato il mio voto dal partito, sebbene negli anni ha pesantemente smarrito la sua identità e mi ha portato alla soglia del disamore definitivo. Lascio perdere discorsi ideologici, e mi limito alle ultime due patetiche uscite a livello immagine.

No, nun lo conosco. Mejo pe lui.
La prima è una bella lezione su come trasformare una buona opportunità in una riuscita patetica. Un paio di annetti fa, col solito stile pecoreccio una trasmissione di una rete dell'impero si mise a sbeffeggiare la poca cura del look di un giudice che aveva osato osare qualcosa contro il sire. Oltre alle badilate di letame dei giornali che titolano tutto maiuscolo, anche la tele si mise a fare esercizi di stile, diciamo così, pedinando il giudice, sfottendone i tic e il look non irreprensibile, lasciando trarre le conclusioni agli altri con la solita supponenza cafona. Dì lì a poco, uno degli esponenti di punta del partito, il capogruppo alla camera Franceschini, non trova di meglio che sfoggiare calzini dello stesso colore per esprimere la sua solidarietà, mostrando a tutti l'abbinamento cromatico con una fisicità da comico di fascia bassa.
Poteva anche aver espresso un concetto a parole che rendesse giustizia alla sua idea, ma automaticamente si è esposto al ludibrio per quell'uscita. Perchè in diciassette anni di politica attiva in cui in sostanza ha disastrato il paese, il B una cosa giusta l'ha fatta capire "Mai le scarpe marroni col vestito blu", cioè un minimo di attenzione al look non stona. 

E passi. E' l'uscita sbagliata di uno (a Roma si chiama "l'attimo del coglione").

La recidiva no, però. Non è stata l'uscita di un singolo, ma una campagna studiata a tavolino e applicata con sagacia. Da qualche tempo ho visto la città imbrattata di manifestume colorato con le scritte "Conosci Tizio?" "Conosci Caio?". E sul manifesto un linkettino minuscolo a una pagina FB, con tanto di logo del social network. Bloccato nel traffico comincio a pensare... FB non ha bisogno di pubblicità su cartellonistica stradale, non è da gniu ecònomi.
Altra opzione. Solito filmettino stile "io e te tre metri sotto il cedro" (cit.), con annesso dispiego di lucchettame vario a Ponte Milvio. E mi ero assestato su questa, pensando "in fondo devono campà pure questi". 
No.
Dopo qualche giorno emerge la pietosa verità. Una dirigente dello stesso partito viene a sapere a posteriori che si tratta di una brillante idea per il tesseramento giovanile. Giustamente, direi io, si sono presi valanghe di pernacchie, hanno rinfrescato una bella tradizione di autolesionismo. Dulcis in fundo, Faruk dorme pure preoccupato perchè una bella percentuale di quelle ermetiche opere d'arte erano affissioni abusive.
Come degna chiosa di questo riuscitissimo esperimento sul social, ho ascoltato una intervista su R24 del segretario amministrativo che con una notevole dose di protervia ha detto che il partito non può essere ritenuto responsabile del fatto che gli attacchini mettano i manifesti dove capita. Stavo per telefonargli.

Ah, nota a margine. Non ho menzionato esplicitamente nessuno dei brand commerciali a cui ho accennato. Una volta mi è capitato di citarne due per semplici necessità di chiarezza espositiva e il giorno stesso nelle stats del blog ho visto gli accessi da parte di società che fanno controlli sulla web reputation dei loro clienti. No comment. Rileggersi un po' di Pasolini, giusto per.

giovedì 26 gennaio 2012

Epoxy Lady

Tenacità policroma
Ok, il titolista s'è gasato. L'alternativa era "Ode alla colla", che forse era pure peggio.

Nelle mie estemporanee esperienze bricolistiche (e credo che valga più o meno per tutti), nel tempo si s'è delineato e consolidato un certo numero di totem, cose che sono riuscite a scavarsi la loro nicchia di strumenti-di-cui-non-si-può-fare-a-meno.

Nell'ordine.
  • Trapano wireless con tanto di percussore. Set di punte variamente assortito. Copro dalle corazze dei blindati alle operazioni odontoiatriche. Esperienza indimenticabile riportata qui
  • Set di chiavi con innesto a brucola. Numero di inserti vario, invito a diffidare delle valigette da bancarella di ovvia provenienza cinese, perchè incastrano male e funzionano peggio.
  • Cacciavitino di precisione con trentotto, dicasi trentotto punte diverse, comprato a saldo in ferramenta per quattordici euro ben spesi. Incluse addirittura quattro punte torque di grandezza diversa. Ci ho aperto il Mac, ciò basti.
  • Coltellino svizzero. Quarantadue tool, copre dalla pesca allo smontaggio delle schede di rete fino a una vasta gamma di reati contro la persona e contro il patrimonio su cui non mi dilungo.
L'ultimo arrivo nell'olimpo degli strumenti-di-cui-non-si-può-fare-a-meno è quello ritratto in figura. E' praticamente l'idea platonica di colla. Quella che una volta applicata secondo istruzioni e atteso il tempo necessario, in qualsiasi condizione operativa e ambientale non la stacchi più nemmeno se ti vengono le crisi isteriche. Sua maestà la resina epossidica bicomposta (o bicomponente, ad essere pedante).

Questo appiccicaticcio miracolo della chimica in sostanza è una soluzione finale, nel senso che una volta applicato e asciutto può sopportare pressioni che si applicano solo con l'uso di macchinari, non con le mani. Onestamente in nove casi su dieci è proprio un overtreatment, è come stanare formiche con l'Enola Gay. Ma la soddisfazione. Venni reso edotto della sua esistenza da M, ex collega che ne vantava le qualità e l'inattaccabile tenacità (copyright Checco Zalone...). Me ne ricordai lo scorso anno, esasperato dalla guarnizione di un finestrino della mia auto che periodicamente andava fuori posto e provocava infiltrazioni d'acqua. Fastidiosissime. E una mattina in cui ero incazzato anche più solennemente del solito, mi cade l'occhio sulla doppia siringa applicatrice esposta in ferramenta. Perfetto. Appena ho avuto modo, ho preparato l'impasto bicomposto all'interno di un recipiente refrattario (senza farla lunga, va bene un bicchierino di plastica), ho mischiato per i tre minuti prescritti, ho spiattellato sul posto con la dovuta generosità e ho applicato un morso costrittore per buoni cinque minuti. Sebbene il risultato sia esteticamente discutibile, ovviamente anche sotto il diluvio il problema non s'è più riproposto, eccheddiamine. Uno a zero per la bicomposta.
Settimana scorsa, antina della credenza di cucina che ormai ballava troppo, colpa di una cerniera che ormai aveva un po' consumato il truciolare in cui era inserita (non si fanno più le cucine di una volta, ce lo so). Proprio con sguardo di sufficienza, smonto lo sportello, allento un po' le vitine delle cerniere, mi infilo chirurgicamente con la bicomposta nel punto incriminato. Certo che come odore, porca eva, pare un doposci appena tolto dopo una camminata di sei ore. E quando impasti, il bicchierino utilizzato si surriscalda nemmeno poco. Ma adesso, come dire, nun nazzica più.

Avvertenza (mi sa che s'è capito). Occhio alle mani e ai vestiti, perchè quando è asciutta è asciutta. E basta.

venerdì 20 gennaio 2012

Banda e Romanzo

Er Libanese
Romanzo Criminale è un plot scritto veramente bene. Il libro alla fine è pretenzioso, ma si può leggere. Anzi, si legge bene. La serie televisiva è fatta anche meglio del libro, merito di un'ottima regia, di una cura impeccabile per le ambientazioni, con le musiche giuste, con un eccellente gruppo di attori giovani e poco conosciuti.

Come noto, il libro è una ricostruzione romanzata ma agganciata al vero della storia della banda della Magliana, gruppo criminale che mise Roma a ferro e fuoco a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. In una città in cui la delinquenza non agiva in maniera coordinata e strutturata, la banda ebbe l'idea vincente, per un po', di ragionare in termini organizzativi. Fare utili e reinvestirli. Alzare il livello di complicità e commistioni con lo stato. Stringere alleanze con altri gruppi criminali. Il tutto con l'uso indiscriminato e sistematico della violenza, delle armi. Non c'era un'ideale dietro, ma una idea di business. Armi, droga, costruzioni. Storia nota, ma non del tutto.

Il libro di De Cataldo riprende i tratti fondamentali delle cronache di quel tempo, il sequestro e l'omicidio del barone, il rapimento di Moro, la strage di Bologna. I personaggi sono caratterizzati in modo eccellente. Il Libanese, Dandi, er Freddo, Scrocchiazzeppi, Trentadenari, er Teribbile, Fierolocchio, i Buffoni. La guerra urbana è resa in tutta la sua truce evoluzione. Emergono i veri capi, per coraggio e carisma. Il Libanese e Er Freddo. Dandi no, troppo opportunista. Ma i due sono alla fine eroi negativi, samurai urbani la cui violenza viene raccontata, motivata ma non giustificata. Il loro odio verso tutto e tutti, la determinazione di prendersi la città e il fatto che alla fine ognuno dei due poteva fidarsi fino in fondo solo dell'altro. E prendono due strade diverse. Il Freddo, preso dall'amore per Roberta, che si propone di cambiare vita. Il Libanese no. Sempre più perso nella coca, sempre più assorbito nei deliri e nelle paranoie, trova la morte da uomo solo in una notte di pioggia sotto casa di sua madre (nella serie, non nel libro).

La serie è ispirata dal libro, non uguale. Tutto sommato è un bene. Sia l'uno che l'altro hanno i loro pregi.
Gli eroi maledetti, la loro umanizzazione, la partitella tre contro tre sulla spiaggia prima dell'arrivo del carico che avrebbe sancito il loro punto di non ritorno. Unico punto dove vedi non tre criminali, ma tre ragazzi di periferia che prendono un pallone a calci per divertirsi e ridere. E non possono non ispirare un minimo di empatia.

Non nella realtà. E' stata la pagina più nera della storia recente di Roma. Quel libro e quel film, che giustamente vogliono anche ricordare cosa accadeva, lasciano aperta una insidia sottile. Ricorderei sempre che fra quelle persone non c'è stato nessun eroe, neanche maledetto.

giovedì 19 gennaio 2012

Adgangskode udløbet

Passeggiata crepuscolare a Horsens
Sottotitolo: diario minimo della vacanzina danese.
Per argomenti e senza cronologia...

Il senso del gusto.
Abitare per una settimana con uno chef è una esperienza che mi mancava. In quei giorni M ci ha deliziato veramente con la sua arte, non è una forzatura. Non so da dove iniziare. Dagli gnocchetti con le chele di granchio con cui siamo stati accolti, all'ossobuco al sugo del giorno dopo, con quel sugo che era talmente buono che lo abbiamo riciclato per il primo la sera stessa. E la ricetta del brasato, mirabilmente messa in campo da L per il cenone, e il tortino al cioccolato (moglie, ti ricordo sempre che la ricetta che hai copiato è per sessanta porzioni...), le bistecche. E il maiale. Nell'iperuranio ora starà pensando che se è finito in mano a uno così la sua vita ha avuto un senso. Braciole, fegatelli, porchetta, salsicce e una pancetta speziata come si deve, con il grasso che aveva assorbito bene il gusto e mandava un profumo che catturava. Lo so, qui la parola non rende. Fidatevi. E a tavola tutti insieme, un silenzio che di tanto in tanto veniva incrinato da qualche mugugno concupiscente. E le chiacchierate con lui, che ci raccontava le sue storie di vita condite da una bella inflessione toscana. Grazie M!

Religione e geografia
Tratto di autostrada danese, con una parte in leggero dislivello. L che va a ruota libera "Questa parte qua è famosa, è la Variante di Vejle, non so da quanto è che stanno a rompe le palle pe ottocento metri de autostrada, pure sui telegiornali... Poi qui a sinistra è il punto più alto di tutta la Danimarca, me sa che non arriva nemmeno a quattrocento metri... però c'è 'na specie de santuario, davanti c'è pure un monumento, tipo la madonna de San Paolo...". Segue meditativo silenzio... Mi viene da vergognarmi. Cavolo, vivo a Roma, una delle opere in una delle sette basiliche maggiori, dovrei conoscerla, no? Niente, nè io nè mia moglie riusciamo a capire se ci sia una statua o un dipinto nella basilica. 
Ma L aggiunge: "No, la madonna quella che sta a San Paolo in Brasile, quella con le braccia spalancate..."
"Aoh, quello è Gesù Cristo e sta a Rio, vedi un po'..."
"Ah, me pareva"
Fatto sta che da quel momento la statua, per venire incontro alle esigenze di tutti, è stata ribattezzata Il Redentøre.

Angry Birds.
E' ufficiale. Genera dipendenza. Si tirava tardi per stanare i porci dai loro fortilizi, ma ho comunque affinato tecniche balistiche notevolissime. Mi sono autoproclamato cavaliere Jedi, al motto di "Usa la forza Luke. Usa l'uovo e la gallina". E ho trovato l'intera collezione in un negozio di giochi :). Caw-caw!

Horsens
Nel sentire comune, il porto spesso è il punto malfamato di una città. Per strano che possa sembrare, in paesi diversi dall'Italia ci sono amministratori pubblici che fanno anche delle cose sensate. Intorno al porto di Horsens sono state costruite infrastrutture di ottima qualità e la città nel tempo ha promosso la sua immagine come posto di tendenza dello Jutland. La città non è grande, ma ha una edilizia gradevole ed equilibrata, ampie zone pedonali con locali per tutti i gusti, il porto è stato integrato in maniera intelligente e oltre ad assolvere alle proprie funzioni strutturali è anche un posto caratteristico. E sono stati creati spazi e luoghi per eventi, grandi concerti, punti di aggregazione. Con un po' di sana intelligenza, il risultato è carino.

La divanocicletta
Porcaccia la miseria, che non li ho fotografati. Ci passa a trovare una coppia di amici di L. Caffè, chiacchieratina incrociata fra inglese, italiano e danese, persone allegre ed estroverse. Ci salutano per tornare a casa. In bicicletta. Ma non ognuno con la sua, nè con un tandem. Il telaio è quello di un tandem, ma al posto della parte anteriore avevano installato un divanetto con cuscini dove lei si è leggiadramente adagiata, col suo vestito colorato e col fiore rosso in testa, salutandoci. Lui in effetti faticava un po' sui pedali e soprattutto con lo sterzo. Ma quanto erano caratteristici. E un applauso alla loro originalità e alla loro simpatia, davvero.

E non vogliono crescere...
Capodanno, mezzo pomeriggio. Momento di stanca in casa. "Annamo a fa' du lanci, va". Non possono mancare. Noi col football alla fine ci siamo cresciuti. Ci troviamo un cortiletto di un ufficio chiuso, ci mettiamo lì a lanciare. Senza eccedere, non siamo più due ragazzini. Ma un gusto. Un po' di braccio ancora c'è. La mira pure. Sono andato in difficoltà quando il pallone mi ha superato ed è finito nel giardino dietro di me, addosso alla cassetta delle lettere. Camminando ad altezza nano da giardino ho ripreso l'oggetto, e abbiamo ricominciato. Mezz'oretta, non oltre, anche perchè la luce del giorno era finita e tra quando vedevi la palla arrivare e quando questa ti si stampava in faccia ormai avevi un margine di due o tre decimi. Non esageriamo, va.

Il titolo del post
"Password scaduta". Con quel che ne deriva :)