giovedì 2 febbraio 2012

Pasolini

Premetto, doverosamente. Su questo argomento non è mia intenzione fare sfoggio di una preparazione specifica che non ho, nè di esprimere idee o opinioni, se non personali, su un personaggio di una complessità molto più vasta rispetto alle cose su cui di solito mi scappa di esercitarmi. Pasolini, la sua vita, le sue opere, le sue idee e la sua fine non sono argomento di cazzeggio.

Non credo che mai come in quel caso la fine di una persona sia stata funzionale al sistema da lei criticato in maniera radicale, dissacrante e feroce. Quanto ha fatto comodo che Pasolini avesse trovato quella morte, in quel contesto degradato e squallido, in quel modo. L'incastro fra verità ufficiale e evidenze fattuali ancora non ha trovato pace, dal 1975 a oggi. 

Ultimamente (grazie a chi ha caricato materiale su Youtube) ho avuto modo di avvicinarmi al Pasolini regista.
E il percorso tra i film del primo periodo (Accattone e Mamma Roma) e quelli successivi (Porcile, Salò o le 120 giornate di Sodoma) è una descrizione abbastanza efficace di come una sensibilità come la sua, dura, viscerale, evoluta, potesse essere una nota stonata per tutto un establishment, politico e culturale. Ho capito la definizione di intellettuale scomodo. E se l'Italia ne ha avuto solo uno, questo non può essere che lui. Storie che raccontano il sottoproletariato urbano, la meschinità dei sentimenti, la volgarità intrinseca delle persone, la corruzione dell'uomo. In sottofondo Roma che si espandeva brutta e sgraziata nei quartieri popolari postbellici, prati sciatti con casermoni nascenti, foraggio e oro di politici e costruttori. Don Bosco, la Magliana. Negazione di qualcosa che potesse incoraggiare il bello. Personaggi di conseguenza. Sfruttatori di prostitute, ladruncoli, corrotti, borghesucci scipiti. No, Pasolini sembrava non salvare nessuno, forse per il fatto che si muoveva in un contesto in cui l'aspirazione legittima ad un miglioramento pareva ammantata da un perbenismo, una volgarità strisciante, un amore per il soldo e il potere in quanto tali. Forse il suo pensiero non ha perso una briciola di attualità.

Quello che mi ha sorpreso è vedere nei suoi film attori che ho visto in altri contesti. Diretti da lui. Non ho visto la parte fatta da Totò in Uccellacci e uccellini, ma vedere Anna Magnani in Mamma Roma è qualcosa di bello. La forza espressiva di Nannarella è inarrivabile, la sua capacità di essere una leonessa cattiva e ferita insieme crea empatia anche nei riguardi di un personaggio che ha un'etica almeno discutibile, al sentire comune. Ex prostituta, madre prima assente e poi ossessiva, traffichina e ricattatrice. Ma quanto poteva essere brava.

E quegli attori che siamo abituati a conoscere sotto altra luce, poi.
Paolo Bonacelli, fantastico avvocato di Johnny Stecchino ("I'ttraffico. Troppe macchine!"), è il reggente depravato (a dir poco) in Salò. Una recitazione talmente perfetta, una prova di cattiveria e negatività.

Alberto Lionello e Ugo Tognazzi in Porcile. I due nazisti ripuliti che passano da avversari a complici, ognuno dei due arrivando a nascondere o dimenticare l'inconfessabile che può danneggiare l'altro. Una prova impressionante di Lionello, maestoso nella sua caratterizzazione hitleriana del personaggio. 

Il volto pasoliniano per eccellenza ovviamente è Franco Citti, che ha lavorato con PPP in molte occasioni. Suo fratello Sergio collaborava nelle sceneggiature. Citti aveva lineamenti popolani, induriti, caratteristici. L'istantanea che mi resta più in mente su Franco Citti è la scena in cui Accattone, ubriaco e offeso, si sciacqua la faccia nel Tevere per poi tuffarla nella sabbia. Il bianconero regala un effetto che resta impresso, come si vede dal "capture" qui sotto

Franco Citti, Accattone, 1961

Per capire in una frase i motivi di attrito fra uno come lui e una cultura dominante è indicativa l'ultima uscita del protagonista della seconda storia intrecciata in Porcile, il selvaggio cannibale catturato sull'Etna, prima di essere lasciato esposto ad bestias. "Ho ucciso mio padre. Ho mangiato carne umana. Sto tremando di gioia". Mi pare sufficiente.

Per chi volesse affrontare un personaggio ostico e unico, la rete è una miniera. Mai come stavolta però vale la solita cautela di esaminare un numero congruo di fonti, e fare le dovute verifiche.

Bello veramente l'omaggio di Nanni Moretti in Caro Diario, non posso non segnalarlo





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