giovedì 20 ottobre 2011

Just win, baby

Ricordo di Al Davis (1929-2011)

Come vuole il passare del tempo, anche persone che per noi sono solo una immagine irraggiungibile prima o poi ci lasciano. Chi era Al Davis? Al Davis era gli Oakland Raiders. Lui, la sua filosofia ormai superata al punto tale da risultare romantica. Allenatore prima, general manager poi, fino ad essere l'unico vero executive degli Oakland Raiders. 

Personaggino non da poco, il vecchio Al. Il primo a spostare la squadra da una città all'altra nel football dell'era moderna, facendo incavolare non poco il commissioner Pete Rozelle. Semplicemente per ritornare nuovamente da Los Angeles a Oakland qualche anno dopo. Business is business.

Ma Davis era anche una idea di football. Il football negli anni si è evoluto secondo le linee dettate dalle grandi squadre. Vista la precarietà delle carriere dei giocatori, molto spesso si identificavano le squadre con gli allenatori. I Green Bay Packers con il cuore di Vince Lombardi, i Miami Dolphins con lo stile di Don Shula, i Dallas Cowboys con il cappello di Tom Landry, gli Steelers con la flemma da invincibile di Chuck Noll (fermiamoci al precambriano...).

E i Raiders? 
Vinsero tre campionati con ottimi allenatori.
John Madden, vera e propria icona del football anni Settanta, la cui legacy ormai è praticamente immortale grazie anche ai videogiochi e alle sue leggendarie telecronache infarcite di Maddenisms (The Hokey Pokey!)
Tom Flores, imperturbabile come la propria pettinatura, con un bel sorriso latino e due Lombardi Trophy in bacheca.

Ma i Raiders sono sempre stati la squadra di Al Davis. Nome e cognome, per non sbagliare. Il suo concetto di football era così facile. Le corse? A big guy running behind bigger guys blocking. I lanci? Si, certo. Sopra le cinquanta yards vanno bene. Per meno stiamo perdendo tempo.
Nomi e soprannomi che nel tempo ci hanno fatto amare, odiare e rispettare i predoni, e che erano puro riflesso dell'idea di football di Al Davis. The Snake and the Ghost non erano due banditi, ma un quarterback (Ken Stabler) e un tight end (Dave Casper). Per il big play quasi eletto a filosofia di vita servono ricevitori di un certo tipo. Fred Biletnikoff e Cliff Branch. E nell'era moderna un Tim Brown.

Gli assassini, quelli veri, erano in difesa, dove si preferiva gente da foto segnaletica.
Jack Tatum, se dobbiamo fare un nome solo. Ma mettiamoci anche Willie Brown, George Atkinson, personcine come Lyle Alzado, e fior di giocatori quali Lester The Molester Hayes, Howie Long, Rod Martin, Matt Millen, Mike Haynes e chissà quanti fuoriclasse sto scordando.

Il tempo ovviamente cominciava a piegare la sua idea di football. E lui non era uno stupido. Ok, si lancia anche corto. Ma non troppe altre concessioni. E l'allenatore sempre e comunque deve confrontarsi con la sua filosofia.

Un look immutabile, il Silverblack con cui in tutto il mondo si identifica la Raider Nation, indiscutibilmente la tifoseria sportiva più strana sulla faccia della terra. Dallo scimmione a Darth Fener, fino al crociato londinese.

Come disse Benigni in morte di Federico Fellini, in questi casi non sai come regolarti. E' come se ti dicessero che è morto il sale, o è morta l'insalata. Non ti capaciti, manca un riferimento. Non ha senso parlare del football o della NFL prima o dopo Al Davis, ma ovviamente per i Raiders fa tutta la differenza del mondo. E ci stanno mettendo l'anima, perchè il vecchiaccio riduceva tutto ad un concetto molto semplice:

Just win, baby.

Ci mancherà.
Qui un bel post scritto da M, amico e tifoso Raiders certificabile tramite foto con drappo :)
E poi, postilla per pochissimi: sì, era fambol.


John Madden, Al Davis e il Vince Lombardi Trophy

2 commenti: