mercoledì 5 ottobre 2011

Gli articoli dell'Economist

Ride...
Nel numero di metà giugno, The Economist fa una impietosa radiografia di quello che sta succedendo in questo paese grazie all'infaticabile prodigarsi della nostra classe dirigente, vai a capire perchè identificata con la paterna e rassicurante figura riportata nella foto a fianco. 

E' necessario chiarire bene che tipo di giornale sia The Economist. Prima di tutto non si occupa solo di politica. Nè solo di economia o solo di finanza. E' voce autorevolissima di un contesto interdisciplinare che parla di mercati, ma anche di tecnologie, di diritti, di cultura. Insomma, non è house organ di nessuno. Si avvale di un nucleo di giornalisti propri, con la collaborazione di personalità del mondo accademico e imprenditoriale di autorevolezza riconosciuta. In sintesi, non cercate su The Economist le firme di chi scrive sui giornali che in Italia titolano in stampatello maiuscolo, restereste delusi.

La storia d'amore fra questo giornale e il presidente del consiglio è quasi decennale. Partendo dal 2001 ("Why Berlusconi is unfit to lead Italy"), rinfrescando periodicamente la memoria a chi mastica un po' di inglese, fino ad arrivare all'ultimo insieme di articoli, che dipingono in maniera decisamente ben argomentata cosa stava per succedere in questo paese, con un velato indizio su chi è a loro avviso responsabile di questo ("The man who screwed an entire country", non serve tradurre). 
Gli articoli sull'Italia spaziano su economia, finanza, diritti e accoglienza, istituzioni, sistema formativo. L'analisi è precisa, spesso un po' impietosa ma secondo me si tratta di articoli che vanno letti e capiti. Per il semplice fatto che danno una percezione reale di come questo paese è visto in certi contesti, a prescindere dalle risse da bar di un buon 50% di quanto si trova sulla stampa italiana. 

Ma il primo articolo è un sommario decisamente espressivo su chi ha governato questo paese per gran parte degli ultimi diciassette anni. La sintesi presentata è una stroncatura del personaggio senza se e senza ma. Passi per la sua condotta personale, per così dire, che già da sola squalifica la rispettabilità della persona e della carica istituzionale anche in assenza di verdetti ufficiali. Altro asse portante dei suoi trionfi è tutto l'insieme di incriminazioni per corruzione, falso in bilancio, frodi fiscali. A prescindere dai pareri dei giornalisti di proprietà, ragioniamo semplicemente con un utile esercizio di traduzione:  

"His defenders claim that he has never been convicted, but this is untrue. Several cases have seen convictions, only for them to be set aside because the convoluted proceedings led to trials being timed out by a statute of limitations—at least twice because Mr Berlusconi himself changed the law. That was why this newspaper argued in April 2001 that he was unfit to lead Italy."

"I suoi difensori affermano che non è mai stato condannato, ma questo non è vero. Ci sono stati casi conclusi con condanne, che poi sono stati messi da parte perchè i procedimenti correlati terminavano in prescrizione. Almeno due volte perchè lo stesso Berlusconi ha cambiato le leggi. Per questo motivo, nell'aprile 2001 questo giornale disse che Berlusconi non è adatto a guidare l'Italia".

Il terzo e più grave appunto mosso alla guida del paese è relativo al più totale disinteresse mostrato fino a quel momento nei riguardi dell'andamento dell'economia del paese, magari a causa dei propri rilevanti problemi legali. C'è ricchezza privata, ma i fondamentali non sono per niente solidi (...ho come l'impressione che qualcuno stia cominciando ad accorgersene). Chi è alla guida del paese non ha mai avuto interesse ad analizzare e meno che mai a valutare delle contromisure per un sistema ritenuto a prova di tutto, per evidenti motivi di propaganda e di consenso. 

Lo stato comatoso del sistema Italia appare nel confronto con le altre economie: quando c'è una contrazione, l'Italia va peggio. Quando c'è una ripresa, l'Italia riprende meno. 
Secondo l'Economist, una fase di crisi di questo tipo terminerà, prima o poi, fornendo nuovi spunti e opportunità di crescita e diversificazione per molte economie, anche fra quelle impattate. Non per l'Italia, la cui classe politica pare non essere interessata ad uscire da una comoda e perenne stagnazione, con un debito alle soglie dell'ingestibilità, fanalino di coda della zona euro. 
Un giorno forse si capirà che l'autoproclamato miglior premier degli ultimi centocinquanta anni ha fatto più danni di una guerra. Per l'economia, per la coesione sociale sgretolata con modelli sbagliati, per aver fatto passare con arroganza l'idea che tutto è come i telefilm con le risate preregistrate in sottofondo con cui ha coltivato una robusta parte del suo elettorato.

"As a result, he will leave behind him a country in dire straits."
No, non stanno parlando di Mark Knopfler.

Il tutto chiuso con un "senza dubbio starà ancora ridendo".

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