lunedì 14 giugno 2010

Il bipolarismo perfetto


Molto spesso i film non sono migliori dei libri da cui vengono tratti. I motivi sono i più vari, il film ha dei vincoli temporali che il libro non ha, la fruizione deve necessariamente essere differente, la storia ogni tanto viene un po' maltrattata per esigenze sceniche. A titolo di esempio, se il cinema prendesse il libro come verità assoluta, la saga di Rambo si arrestava al primo...

Una delle eccezioni più gradevoli al riguardo è la filmografia di Don Camillo e Peppone. I film, curati nel secondo dopo guerra da vari registi, pescavano gli episodi qua e là dai libri di Guareschi, salvando la dinamica delle singole storie, non tanto la sequenzialità del libro di provenienza, con l'eccezione de Il Compagno don Camillo.
Ma le storie dei vari film, tranne forse il Ritorno di Don Camillo (noiosetto...), spesso hanno un appeal anche maggiore rispetto agli scritti di provenienza.

Secondo me, tale enhancement deriva tutto dalla bravura di Gino Cervi e di Fernandel, semplicemente perfetti per quei ruoli. Gino Cervi aveva un background di notevole spessore, anche come attore teatrale. Fernand Contadin in arte Fernandel (voce: Carlo Romano) in Italia divenne noto soprattutto per l'eccezionale caratterizzazione che fece su Don Camillo. Viene difficile immaginarlo in abiti differenti da quelli del burbero ma delizioso parroco di Brescello. La dinamica fra protagonisti e antagonisti era chiara e fedele allo scritto, ma molto spesso anche l'operato del sindaco comunista più famoso d'Italia era visto con occhio benevolo. I due personaggi vanno molto più d'accordo sul grande schermo che non sui libri. Quei film erano graziosi, sostanzialmente innocui e se vediamo il clima del paese all'epoca possiamo anche spendere l'etichetta di politically correct.

Proprio per questa sostanziale coabitazione in un ruolo positivo dei due estremi inconciliabili, cattolicesimo e comunismo, sarebbe interessante approfondire un po' la storia dell'autore e del contesto nazionale del periodo. Giovannino Guareschi si sarebbe orgogliosamente definito un porco reazionario, usando le parole di Peppone. Anticomunista militante, scrittore di satira in un giornalino diretto da Zavattini, negli scritti andava giù in effetti molto duramente.
L'Italia postbellica era quella ritirata su dal piano Marshall, quindi era difficile immaginare che i blocchi in quel periodo potessero coesistere o sfumare le proprie posizioni. Guareschi era connotato politicamente in maniera molto decisa, senza troppe virate di convenienza. Mi incuriosisce sapere cosa ne pensava del Peppone cinematografico, poichè quello cartaceo di solito veniva abbastanza maltrattato. Ma mi viene da pensare che comunque Guareschi volesse bene in un certo senso al personaggio Giuseppe Bottazzi. Intanto perchè la contrapposizione col nerboruto parroco era sempre vissuta sul filo del rispetto reciproco, quand'anche le discussioni fra i due terminassero pacatamente a sediate in faccia. Poi perchè Peppone aveva comunque il dono dell'ironia, della bonomia. A suo modo era un galantuomo a cui l'autore rendeva comunque l'onore delle armi anche nell'inconciliabile diversità politica. E poi, nell'economia di quei racconti, il valore della somma dei due è maggiore di quello dei singoli. Ognuno dei due assume quella connotazione in presenza dell'altro da combattere. E da combattere nel rispetto di certe regole.

Poi quei film hanno comunque tratti comici e narrativi gradevolissimi. Le chiacchierate col Cristo dell'altare maggiore, le risse, i consigli comunali, l'esame di quinta di Peppone, il leggendario siopero della fame di Don Camillo.

Volevo scrivere un giudizio duro su Guareschi, ma ho pensato che quel tipo di ruolo antagonista oggi è ricoperto da Feltri. Una prece.

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