venerdì 4 febbraio 2011

Bhopal

Dicembre in India è un mese bellissimo.

Così inizia un grande monologo di Marco Paolini all'inizio di una puntata di Report di qualche anno fa.

La storia di Bhopal è uno di quei fastidiosissimi incidenti di percorso che gli integralisti delle tecnologie per tutto e su tutto hanno sempre cercato di spazzare via sotto il tappeto, in nome di altri successi innegabili. Ma per chi si pone semplicemente dalla parte delle persone, è uno di quegli episodi che non possono essere dimenticati, rimossi. Fu una evidente prova di quello che può succedere quando la tracotanza e la stupidità del dio profitto non sentono scuse.


Breviter: la Union Carbide è un colosso americano della chimica. Tra i vari settori di una industria di quelle dimensioni c'era anche quello che faceva esperimenti su transgenici, agricoltura industriale, insomma tutti quei filoni che oggi vengono riportati al controverso mondo dell'OGM. Alcuni chimici in organico alla UC sperimentarono e perfezionarono un antiparassitario a basso costo e ad alto rendimento, il Sevin. Uno degli stadi intermedi della lavorazione forniva come semilavorato un gas molto instabile, l'isocianato di metile (MIC), che non resta tranquillo in caso di scambi con l'esterno (sia aria che acqua). In termodinamica,  la situazione stabile per quel tipo di gas è quella del sistema chiuso. Nessuno scambio con l'esterno. Nella vita reale questa situazione si può ottenere nell'industria con impianti costruiti e manutenuti con la dovuta cura. La scelta dei materiali deve essere ottimale, le procedure di manutenzione devono essere onorate nei loro tempi e rispettate nei loro contenuti. Questi gas sono veleni. E come racconta Paolini, le evidenze raccolte dagli esperimenti furono così traumatiche che si decise di non scrivere neppure una riga sulla letteratura scientifica ufficiale.

E' prassi consolidata che le aziende di dimensioni rilevanti decidano spesso di delocalizzare alcune produzioni per i motivi più vari. Agevolazioni fiscali, costo del lavoro, cose che saranno pure utili come prodotto finito, ma è meglio che i semilavorati e l'intermedio stiano lontano dai "nostri" figli. Ma a meno di cambiare pianeta, di solito un insediamento industriale per una lunga serie di motivi sta sempre vicino ai figli di qualcuno.

L'impianto per la produzione di Sevin aperto all'inizio degli anni Ottanta a Bhopal, in India, dopo un inizio promettente non venne più ritenuto redditizio. Non interessano qui i motivi, magari il prodotto era stato reso obsoleto da altro. Ma la dismissione di un impianto di questo tipo va eseguita bene. Con rispetto per la sicurezza e per gli impatti sull'ambiente e sulle persone. I semilavorati venivano ancora mantenuti in serbatoi dedicati, ma la manutenzione del valvolame, delle tubature, delle fiamme pilota non era più seguita da personale formato e specializzato (tutti licenziati), ma da generici operai reclutati a gettone che si trovavano a dover eseguire pedestremente un tot di righe scritte su un foglio. Nessuno fra loro aveva conoscenza per capire "se il passo 2 non va così come sta scritto, posso proseguire o devo chiamare qualcuno? e chi? è urgente o no? ".

Come accennato, uno dei preparati intermedi è il MIC. Gas che non deve interagire con nulla, non deve fare nulla se non essere immesso nella fase seguente della lavorazione con i reagenti opportuni. La Union Carbide non ritiene di fornire alle autorità locali e alla popolazione alcun tipo di informazione sui rischi connessi alla presenza dell'impianto. Si ritiene semplicemente un polo di progresso e di reddito per quella zona. Occupazione, denaro, indotto, crescita. Ha le sue procedure di sicurezza e ciò basti. Il MIC viene stoccato in tre serbatoi. Ma alla chiusura dell'impianto la manutenzione viene fatta alla meno peggio, il minimo indispensabile per la conformità alle procedure interne. 

Per il perdurare della scarsa qualità della manutenzione dell'impianto e per il conseguente degrado dell'infrastruttura, il 2 dicembre 1984 infiltrazioni d'acqua provocano una sovrapressione in un serbatoio interrato contenente 42 tonnellate di MIC. Il gas reagisce surriscaldandosi, esplodendo senza distruggere il cappotto di cemento ma cercando una via di fuga verso l'alto, dove in condizioni normali c'è una fiamma di sicurezza che neutralizza gli effetti di fuoriuscite e fughe varie. Ma anche tenere una fiamma accesa ha un costo. E un tempo di riattivazione che in una emergenza è un lusso insostenibile. Un geyser incontrollato fuoriesce dall'impianto. Il vento è quel che è, non è selettivo. Porta la nuvola verso una stazione e una zona densamente popolata. MIC, cianuro, fosgene compongono una mistura che uccide infliggendo sofferenze atroci ai polmoni e al sistema nervoso. La Union Carbide oppose il segreto industriale alle richieste disperate dei soccorritori che si ritrovarono fattualmente nelle condizioni di non poter fare null'altro se non veder morire le persone.

Uno sterminio. Non si possono censire le vittime di un paese che non ha anagrafe. Chi interra, chi brucia. Solo le foto, per i riconoscimenti.



Warren Anderson, CEO di UC all'epoca, se la cavò con una cauzione di duecentocinquanta  dollari. Poi si eclissò con calma, mantenendo ruolo e stipendio. I risarcimenti vennero sbranati in varie sedi, e quando in sostanza le assicurazioni si accollarono il 75% degli oneri, le azioni UC in borsa ne risentirono positivamente.

Nessuna bonifica è mai stata eseguita a Bhopal. La fabbrica è ancora lì. Si ipotizzano circa quindicimila vittime. Non risulta che nessun familiare sia stato indennizzato.

Qualche informazione aggiuntiva:
The Encyclopedia of Earth: Bhopal, India
Il monologo di Marco Paolini

Meglio non dimenticare.

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