mercoledì 27 ottobre 2010

Evoluzione della specie?

Da qualche anno ho la sensazione che la semplice evoluzione della specie stia cominciando a presentare un conto troppo salato.

Mi viene in mente il classico disegnino che abbiamo visto tutti, dall'uomo di Neanderthal al Sapiens Sapiens. Si può traslare sui giocatori, sulle loro specializzazioni, sulla velocità e sulla forza fisica. E in un decennio troviamo che un safety comincia ad avere la massa di un linebacker appena sottopeso, un linebacker quella di un defensive end, un defensive end come un defensive tackle, e un defensive tackle adesso sta difficilmente sotto i centotrentacinque chili. Vale lo stesso discorso per l'attacco. Ricevitori grossi come tight end, uomini di linea raramente sotto la soglia delle 325 libbre.

E proprio perchè si tratta di una evoluzione, la velocità media dei giocatori non diminuisce, anzi. Impressionante vedere come si muovono negli spazi stretti, la loro reattività, la rapidità nei cambi di direzione.
Spesso serve il replay per apprezzare la dinamica e la tecnica di giocatori di quella massa che nella propria area si muovono con quella padronanza, e soprattutto con quella velocità.

Bellissimo. La qualità del gioco ringrazia. Il pubblico c'è, le televisioni godono e le squadre incassano i loro diritti. Quadra tutto, fin qui.

Il rovescio della medaglia? Come nelle migliori circostanze lo troviamo esattamente all'apice del successo di questo sport, visto come business, come prodotto mediatico ormai globale. Gli esseri umani al loro interno continuano ad essere fatti nello stesso modo. E forse questo sport, che continuo ad amare in modo viscerale, sta cominciando a chiedere troppo.

La scena ormai sta diventando frequente, ma non ti ci abitui. Parte il lancio, la palla è in aria, il giocatore salta per ricevere, mentre scende è un corpo inerte in caduta. Perfettamente secondo regolamento, un decimo di secondo dopo arriva un difensore a piena velocità che lo colpisce, o per placcarlo o per fargli perdere la palla. Ci scappa il casco contro casco, o altro. Uno dei due resta a terra, si vede che è caduto in modo innaturale, troppo peso morto. Tutti i giocatori intorno che fanno ampi gesti verso le panchine, urlando "He's not moving!" I medici che corrono, compagni e avversari a rispettosa distanza che pregano inginocchiati, lo stadio ammutolito. Il giocatore che viene immobilizzato, messo in barella e trasportato sulla macchinina verso l'ambulanza, col pubblico che aspetta che faccia il gesto del thumbs up come una liberazione.
Sembra ormai quasi una parte del business e non capisci se puoi farci il callo o meno. Forse in quel momento la vita di quel giocatore è cambiata in modo permanente, non puoi saperlo.

L'argomento negli States sta diventando una specie di emergenza sociale, perchè noi vediamo quello che succede ai professionisti, ma nel college football le cose non sono così diverse. Il governo della National Football League sta valutando qualche contromisura, penalizzare monetariamente o con espulsioni colpitori e colpi che siano giudicati particolarmente vicious. La controrisposta della categoria non si è fatta aspettare, e secondo me hanno una robusta parte di ragione.
James Harrison: "Quando placco io colpisco. Non ho intenzione di fare male a nessuno ma non posso farci nulla se ti infortuni"
Brian Urlacher: "Sono tutte stronzate. Io devo prendere quella decisione in un decimo di secondo. Dire che cerco di fare male per intimidire non ha senso"

Resta la giusta intenzione di penalizzare un colpo deliberatamente portato solo con il casco. Ma anche qui ci sarebbero troppe sfumature nella casistica.

Ma leggere titoli come quelli di Sports Illustrated ("Week 6 Carnage", la carneficina della sesta settimana) fa riflettere. Come pure resta aperto uno spunto di riflessione sulla suddetta evoluzione della specie. Perchè questi giocatori, che forse andrebbero controllati e disciplinati fra i sedici e i ventuno anni, sono diventati così fuori controllo dal punto di vista fisico? Dov'è il confine fra integratori, aminoacidi, sali minerali e altro? La politica di repressione contro le droghe da prestazione negli ultimi anni è stata seria. Ma resta il fatto che il giocatore arriva fisicamente già formato. Forse è questo il problema...

C'è anche un dopo. Quand'anche una carriera di un giocatore ha avuto una parabola più o meno naturale, bisogna vedere l'influenza di traumi diffusi, continuativi e non banali. Soprattutto a livello neurologico. Ma questa è altra storia. Difficile anche questa.

Un buon articolo di Joe Posnanski.

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