martedì 6 luglio 2010

La forza dell'onestà

11 luglio 1979. In un agguato notturno sotto la sua abitazione viene ucciso a Milano l'avvocato Giorgio Ambrosoli.

Ambrosoli era stato nominato nel 1974 commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana. I vertici della Banca d'Italia affidarono a lui e solo a lui il mandato di gestire l'iter fallimentare delle attività (oggi si direbbe galassia) di Michele Sindona.

Il duello si dimostrò impari, da subito. Ambrosoli non si capacitava di dover parare i colpi delle parti che pensava di dover avere come alleate. Da subito ebbe contro un mix di settori di politica e mondo finanziario che non potevano permettersi di rendere palesi certe partnership. Il quadro torna chiarissimo elencando i principali alleati di Sindona. Andreotti, che si riferiva a Sindona chiamandolo "il salvatore della lira", Gelli, le alte sfere vaticane (incluso Paolo VI).

Forse quando nel 1974 i vertici della Banca d'Italia scelsero lui per l'incarico pensavano semplicemente a mettersi a posto la coscienza. Ci abbiamo provato, ma il nodo è inestricabile e dobbiamo tenercelo così. Forse no.

Fatto sta che Giorgio Ambrosoli non si fermò davanti a nulla. Una storia di una persona onesta, figlio della Milano bene, col Corriere e il Sole 24 ore sotto braccio. Conservatore illuminato, cattolico, addirittura con simpatie monarchiche. Lavoratore inarrestabile, dalle otto del mattino fino a notte fonda, assistito dai funzionari della Guardia di Finanza, che nel tempo arrivarono ad allestirgli anche una scorta artigianale, poichè nessuno si preoccupava di quello che stava effettivamente facendo emergere col suo lavoro. O forse, al contrario, perchè lo avevano capito e se ne stavano preoccupando davvero.

Sindona strepitava, insultava, urlava al complotto comunista, vantava crediti presso il potere, la chiesa, la finanza. Mentre il suo castello di holding, di scatole cinesi e di partnership occulte cominciava ad essere smontato, mattone dopo mattone, dal lavoro di questo avvocaticchio, come lo definiva con disprezzo.

Alla fine, non essendo riuscito a fermarlo in nessun altro modo, Sindona mise al lavoro le sue entrature mafiose. E da quel momento Ambrosoli capì che anche Sindona non si sarebbe fermato. Le telefonate del Picciotto continuavano con regolarità, fino all'ultima, drammatica e inequivocabile sentenza di morte.

P. "Pronto avvocato".
A. "Buon giorno".
P. "L'altro giorno ha voluto fare il furbo? Ha fatto registrare la telefonata".
A. "Chi glielo ha detto?"
P. "Eh sono fatti miei chi me lo ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più".
A. "Non mi salva più?"
P. "Non la salvo perché lei è degno di morire ammazzato come un cornuto. Lei è un cornuto e bastardo"".

Un killer pagato da Sindona uccise Giorgio Ambrosoli sotto casa, porgendogli le sue scuse prima di fare fuoco.

L'eredità di una figura come quella di Giorgio Ambrosoli è enorme, anche se intangibile. Nel tempo all'avvocato milanese vennero intitolate scuole, piazze, borse di studio, biblioteche. Lui lasciò alla moglie Annalori un bellissimo testamento spirituale, una lettera scritta quando ormai aveva capito di aver intrapreso una via senza ritorno.

E' una figura, un esempio da non dimenticare. Forse uno di quei casi in cui ha senso spendere la definizione di eroe. Giorgio Ambrosoli è un eroe. Non Vittorio Mangano.

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