venerdì 8 aprile 2011

Il gelato allo zabaione

Complice l'arrivo anticipato di un bel tempo estivo, ho ricominciato a mettere il naso in qualche gelateria. In zona ne ho di valide, devo essere onesto. Gusti classici, qualche concessione etnica (e quando si va sulle diverse nuance di cacao si trovano cose buone). Allontanandomi un po' ce n'è anche una con gusti molto ricercati (pesca col vino, pera e cannella solo per citare quelli che mi ricordo) che puntualmente mi costringe al bis ogni volta.

Ma nessuna di queste gelaterie prenderà mai il posto di una piccola latteria a conduzione familiare dalle parti di Piazza Bologna. Una entrata minuscola, nessuna insegna, due tavolini di numero su una stradina ombreggiata, di quelli normalissimi, rotondi con tre zampette sottili, e le sedie con la seduta scomodissima, di plastica intrecciata, che quando ti rialzi hai lo stampo su pantaloni o cosce. Se ti rialzi, perchè in quel bar il tempo ce lo spendevo talmente volentieri che alla fine la coppia di proprietari, un po' avanti con gli anni, mi aveva pressochè adottato.

Quel buchetto aveva anche la pretesa di essere una gelateria. Due gusti più panna fatta praticamente ogni due ore, perchè poi si rapprendeva un po'. Cioccolata, niente di che. 

Ma lo zabaione!

Qualche cosa di mistico. Intanto non era a vista. Non è nemmeno detto che ci fosse sempre, non era un prodotto industriale. Da marzo a ottobre, e quando voleva lui. Entravamo, chiedevamo solamente "C'è?" e il barista, con aria da cospiratore carbonaro si assentava un attimo per rientrare con una vaschetta metallica che conteneva quella specie di oro freddo. Nemmeno cremoso: denso, pastoso, che il cucchiaio ci restava incastrato dentro. La cialdina biscottata veniva annientata subito, quasi non si poteva estrarre dal grumo giallo. Uova, zucchero, marsala. Basta. Ma il palato ne godeva cospicuamente, fidatevi. 



Sono stato iniziato a quel cibo degli dei verso i sette anni, quando passavamo da quelle parti con mia mamma e mio zio, capace di mangiarne un quantitativo tale da indurre il barista al jackpot "Se ne mangi un altro te li offro tutti!". Poi nel tempo ci sono andato da solo, con amici, con i primi flirtini adolescenziali. Si, ok, non che fosse propriamente romantico, ma se devo fare il piacione è una cosa, se vuoi una esperienza gelataia irripetibile abbi la compiacenza di fidarti, o eventuale fanciullina dell'epoca.

Nel tempo la configurazione più abituale con cui facevo i miei raid dallo zabaionaro si stabilizzò. Io, il mio indissolubile amico L, e il mio cane, ingombrante e bellissimo pastore tedesco, l'unico cane che io abbia conosciuto che avesse il senso dell'ironia nello sguardo, nel portamento (sebbene regale, era stupendo), negli atteggiamenti. Era un cane allegro!

Di solito arrivavamo dal tizio con un robusto appetito, dovuto all'età adolescenziale, al fatto che avevamo già scaricato il contacalorie dopo un paio d'orette di allenamenti di football a villa Torlonia. E poi c'era la fama dello zabaionaro. Vai, nemmeno devi chiedere. Ti siedi, ti portano la coppona da cui deborda quel preparato divino. E per quei dieci quindici minuti non avevi argomenti di conversazione. Un mugugno concupiscente ogni tanto, tra una affondata di cucchiaio e l'altra. La signora usava anche la gentilezza di portare una scodellina di acqua al cane, accucciato a fianco a me. Raramente non si faceva il bis, mi pare chiaro. Come mi pare chiaro aggiungere che da quando non c'è più quel baretto, per una specie di rispetto per l'arte, non ho mai più mangiato un gelato allo zabaione. E per tutti coloro che hanno avuto quella fortuna, quello zabaione è rimasto una specie di termine di paragone, come aver visto giocare Maradona, aver visto guidare Senna a Montecarlo: una delle tante declinazioni che il termine perfezione può assumere in questo mondo.

Anche se me lo aspettavo, per limiti di età, ma quando oggi tramite StreetView ho messo il naso lì e ci ho trovato una lavanderia ci sono rimasto un po' così. E devo anche dirlo a L.

2 commenti:

  1. Di quello zabaione si sente il profumo....
    Chiara

    RispondiElimina
  2. ... e viene voglia di avere un cucchiaio abbastanza concavo per tuffarcelo dentro, e tirarlo su sentendo il blop sordo della sofficità e densità.... il passaggio sonoro sublime che prepara il palato alla degustazione.
    (sempre Chiara)

    RispondiElimina